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Lampeggianti

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 27/12/2020 09:16:19

LAMPEGGIANTI

Lontano dalla provinciale, lungo le strade sterrate, l’odore della frutta arrivava alle narici. Nei giorni autunnali, verso le cinque di sera, si potevano incontrare i migranti che tornavano a casa dopo aver raccolto le mele o l’uva. A Valerio Carlo piaceva avvistare i lumi delle loro biciclette che venivano accesi prima che facesse buio. C’era una magia nei lampeggianti silenziati che gli ricordava l’infanzia quando il mondo andava a marce più basse.
Lui, che usava da tempo la macchina per andare in paese a svolgere commissioni e il mestiere di tecnico comunale alle soglie della pensione, adesso trovava più stimolante nei pomeriggi liberi percorrere le vie con la bicicletta.
Quella folla di reclutati stagionali, alcuni dei quali aveva visto istruire nei pressi di un filare o di una vecchia cisterna, gli dava una sorta di euforia: da una parte si risvegliava il ricordo del suo impegno sessantottesco acclarante i diritti dei lavoratori, dall’altro le letture di Steinbeck, Zola e anche della Beecher Stowe gli ridavano la carica di consapevolezza.
Un disturbo congenito all’intestino, la non più verde età, il mutato sistema lo tenevano lontano da prospettive di lotta, ma non poteva smettere di pensare alla realtà dei lavoratori immigrati che raccoglievano le mele e l’uva o potavano i filari nella sua campagna .
Si era messo a seguirli quando uscivano dai campi e con le biciclette si dirigevano verso la loro abitazione. Non sapeva bene perché lo facesse, che cosa volesse dimostrare, che cosa voleva.
Solo che li seguiva. Spesso erano in coppia e li vedeva chiacchierare. Forse avrebbe voluto entrare nel loro mondo, semplice come il suo e distante da quello reale.
Lui, che quando rincasava trovava ad attenderlo la vecchia madre, silenziosa e schiva, sentiva il peso di una vita che si risolveva nel ripetuto giro delle frasi consuete.
Li considerava una presenza amica. Gli piaceva quel rumore delle ruote sulla ghiaia, quelle sagome un po’ impacciate curve sui bicicli d’occasione.
Li aspettava a un incrocio, alla fontanella, appoggiato alla spalletta del ponte. Li guardava passare e poi li seguiva con la vecchia bicicletta su cui aveva montato dei lampeggianti nuovi. Loro non vi facevano caso. Forse erano ancora troppo presi dal problema dell’ inserimento e non in grado di mettere bene a fuoco gli elementi di quella micro realtà.
Una sera un operaio, nel forzare le pedalate sul ghiaino, sentì stridere l’interno del carter e la ruota anteriore cominciò a girare a vuoto.
Scese dalla bicicletta e si accorse che la catena era uscita dal suo alloggio. Allora capovolse il mezzo e cercò di sistemarla. Ma non ci riusciva perché aveva una mano infortunata. Quando Valerio Carlo lo scorse accanto alla bicicletta capovolta, orientò i lampeggianti e si fermò. Con la punta di un temperino tirò la catena e la riportò sulla ruota dentata.
“E’ un po’ lenta, però, dovresti andare dal meccanico per farla stringere oppure puoi venire a casa mia domani che ho gli strumenti adatti”.
“Sì, venire a casa domani” ripeté quello un po’ stranito ma attento.
“Lo sai dove abito?”
“No” rispose l’operaio.
“Ecco, vedi, là quella casa là, rosa col tetto a rialzi” e indicava col dito le falde rosse oltre le cime dei meli.
“Sì, domani vengo là”.
Cauto, il lavoratore straniero montò sul mezzo, voltò le spalle e riprese il cammino.
Quando Valerio Carlo raccolse la sua bicicletta e si rimise a pedalare, la vista dei frutteti intorno si stagliò nitida davanti ai lampeggianti accesi e alla luna piena sorta all’improvviso .



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