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Il nodo.

di Stefano Verrengia
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Pubblicato il 08/12/2018 17:09:59

IL NODO

 

Non vi è modo
che io sciolga 
Questo nodo 
che mi lega 
A te, poesia. 
Fino agli orli 
Della pazzia 
Mi hai trascinato
Con le tue mani 
Che odorano 
Di macinato, letame,
gelsomino, fumo, 
erba fresca appena
Tagliata ... 
E mi consumo, 
sdraiato su questo letto,
nel pensiero più nero,
il più vero d'ogni uomo
solo con sé stesso, 
Che sa di esser solo
nell'umida terra 
Dell'eternità.  
Ed io so che tu sola
Potrai esser salvezza
Per questo ateo disperato, 
per questo fiato spezzato ...
entra nei miei versi di carne,
nelle mie strofe fatte di fegato,
viscere, stomaco e galassie,
nelle mie rime, concime
Di questo giardino 
Dove fioriscono 
Solo papaveri insanguinati,
Girasoli già aridi
mentre avidi
i miei occhi 
Gemono ululati 
Verso la luna. 
La mia penna 
Sta per ammazzarmi, 
dea intransigente, 
dea spietata
alla quale la gente,
lo stupido volgo, 
ha sempre pisciato 
Sopra come il monumento
Di un eroe qualunque! 
Ma io ti proteggerò sempre,
con tutto me stesso, 
E ti custodirò nel cuore,
Nel tuo feroce segreto,
nel tuo atroce insegnamento. 
Concedimi solo un verso, 
uno soltanto, 
che sia il pianto 
di un futuro poeta,
che sia la meta
della sua penna
e che guidi il suo passo,
come per me Baudelaire
o il dimenticato Tasso. 
Concedimi una lettera 
Fatta di fiamme o veleno,
Un'altra che sia una carezza
Dolce come il vento
Nella calura estiva. 
Oh Diva, diva invincibile!
Lascia che io beva
Dal tuo ventre, 
Gigantesco come l'oceano, 
e che l'immensità
Scorra come un fiume 
Nelle piume delle mie parole,
Pronte a librarsi 
Come uno stupido uccello.
Sarò pronto, pittore svergognato,
a dipingere il mio pisello
Che entra nella figa 
Come un torrente
Che sfonda una diga, 
sarò pronto a disegnare
Un cadavere putrefatto
divorato dai topi

Con zanne brusche,  
Un tempo anfratto, 
casa di un uomo,
Ed ora di bigattini e mosche. 
Sarò prono a ritrarre 
Le nostre anime losche, 
In tutta la loro brutalità, 
in tutta la loro ferocia 
Di scimmie intelligenti.
Sarò pronto a viver di stenti,
Sarò pronto a tutto purché 
Tu faccia di me 
La salvezza di un disperato, 
purché io sia lo sconto 
Di pena d'un carcerato. 
Fai di queste fragili melodie
Le omelie dei reietti,
dei diseredati e dei bastardi,
dei tardi e di tutti coloro 
Che fanno oro di un goccio
Di luce, del truce respiro 
Che ci riempie il corpo
Prima che sia la terra
A Pesarci addosso 
Come l'universo,
Eppure è solo un fosso. 
Mi consolo, 
Mi consolo col tuo violino
Dolce come un gelsomino
Bianco, ma son stanco, 
stanco del sole,
Stanco dell'amore,
Stanco del mare, 
stanco dell'infinito,
Stanco come Sisifo 
Dannato, come il latrato 
Di un vecchio cane 
Che ha rincorso 
Rane e lepri 
Nei boschi, 
nei foschi sentieri
Di questo ignorare. 
Ad amare son tutti bravi, 
ad odiare solo gli schiavi
son predisposti, 
ma ad essere indifferenti,
Indisposti alla vita, 
Sono veramente pochi:
E’ a loro che guardo, 
A loro, gelidi Epicurei, 
Con occhio bastardo. 
Ma io so già 
Che non mi arrenderò, 
Perché sento l'eternità,
Sento la musica 
Del vento scivolare 
Sull'erba come pioggerellina di Marzo,
Come la mano di un amante
Il seno caldo dell'amata,
Come il vento una montagna. 
E già sento le scosse
In questo petto,
Come lava che stagna
Sotto un vulcano,
Come un tuono fuggito
Verso gli abissi, 
Come il ruggito selvaggio
Di un raggio mattutino. 
Poesia, Concedimi 
Un solo verso, 
O una sola parola,
Consola questo tormento:
Ho cercato di fuggirti, 
Ma non vi è modo
Che io sciolga 
Questo nodo. 


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