Hope abita sotto il blu come tutti
solo che il suo è qualche tono più giù.
Lui parla una lingua sconosciuta - ma non è quello-.
Dice “siamo con noi” non è un'incertezza
“io sono te, tu potresti essere me”.
Ci crede: il dentro è uscito e intorno è così grande.
Perciò colpisce a ripetizione la tempia: pulsa la vita circolare dei gesti.
Il carillon della giostra meccanica dà vita a un balletto da burattino
senza un compagno, dietro al volo passato per lui e rimasto da sempre.
Un richiamo in un Fuoritempo dove ogni lingua è coro -è spiazzante-.
Lo spartito lo leggono tutti -anche Hope trova la chiave-.
(Hope è ogni bambino, ragazzo, adulto, affetto da autismo. Termine non ancora ben compreso da tutti. Più sarà compreso, più largo e accogliente sarà l’abbraccio ai “figli della luna”)
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