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Trovare le parole

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 19/10/2022 13:18:39

TROVARE LE PAROLE

Il tragitto rinnova la memoria dei ricoveri d’urgenza. Quattro in cinque mesi.
L’appuntamento è fissato per le nove.
La macchina procede piano. C’è calma nell’aria. Sole ottobrino.
Francesco telefona quando ha appena raggiunto il centro nei pressi della stazione.
-Ma dov’è la mamma? Non la trovo.
È trangugio di saliva. Anche Mario si agita.
-Non so. Sto arrivando.
C’è affollamento di mezzi intorno alla camera mortuaria di fianco al nosocomio. Un gruppo di operai sistema ramaglie, tagliate di fresco, su un furgone.
Uno spazio risicato per depositare l’automobile.
Scende. Alcune persone si muovono qua e là. Da un capannello di gente si stacca una signora che le viene incontro.
-Ciao, T. Ciao!
Lei guarda con gli occhiali scuri. Chi è questa signora? E' un attimo, poi la riconosce.
-Ah, sei tu Raffaella! Grazie, grazie per essere venuta. Mi ha telefonato mio cugino. Non sa dove hanno messo la mamma.
-Sì, è qua. Anch’io ho chiesto.
E indica col dito.
Fanno ingresso tutti e cinque. Giada si è vestita di scuro, mentre Francesco è in giacca blu come Mario.
La bara nella stanza è l’unica, a ridosso del muro. Una cassa di faggio, semplice e con la croce. È già sigillata e sopra c'è un piccolo mazzo di gerbere rosa. Non si può osservare il volto della defunta, la gonna nera a fiori e la camicia bianca che avrebbe voluto.
Ha ricevuto il trattamento dei pazienti covid, avvolta in un sacco e portata in obitorio a cassa chiusa, anche se il male che l’ha stroncata è stato più grave.
Si rimane impietriti davanti al feretro e uscire all'aria aperta è riflesso spontaneo.
Elisabetta delle pompe funebri sollecita per andare. Il corteo è composto da tre macchine. Ci si avvia verso il piccolo santuario del cimitero di M.L.
La strada da percorrere è nota. Qualche rotonda, un ponte sopraelevato sul fiume da superare, un tratto alberato e infine, dopo l’ultima curva, la svolta verso il vialetto fiancheggiato dai cipressi che sbocca di fronte alla piccola chiesa.
È tutto così semplice, naturale e previsto.
La bara viene adagiata sul carrello e sistemata davanti all’altare col suo mazzetto di gerbere rosa.
Il prete ha preparato le parole per l’omelia: il ritorno alla casa del Padre, la continuità della vita dopo la morte, l’eternità dell’anima.
L’ingresso nel cimitero è scandito dal rumore che fa il ghiaino sotto le scarpe e dal suono triste della campana che prima, all’arrivo, suonava a festa.
Il tumulo di terra è là, davanti alla ruspa. Le corde sono adagiate vicino allo scavo. Tutto è pronto per l’inumazione. Polvere alla polvere.
Il prete asperge, recita il Credo e l’Eterno Riposo.
Ha finito. Saluta i parenti rannicchiati nei pressi, sotto un tempietto di tomba.
C’è anche Nilde: è venuta per offrire all’amica T. la sua partecipazione. E Anselmo, che aggiustò il tetto della casa tanti anni prima.
Nessun altro. Anagrafe e vita schiva producono i loro naturali effetti.
Adesso, lei non sa se troverà le parole.
Non sa se riuscirà a identificarne la voce.



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