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Pubblicato il 09/12/2019 14:26:54
a Poienauti 2 Camminavo nella solitudine della mia ignoranza, ardeva dentro di me un fuoco. Vagavo ai margini d'una selva, lontano dalla città dei poeti. Il verso mi costringeva il collo nel suono della lebbra d'una distanza, nessun canto antico risucchiava in sé il pianto della mia infelicità, l'assenza d'un nome, la convocazione d'un appello, lo sguardo di chi sa dare una forma libera alla mutilazione d'ogni forma, alla vita che non ebbe nobili natali di lingua e di parola e per sapere solo una piccola stalla di cultura tra il bue del desiderio d'imparare dei colti l'erezione dell'occhio e l'asino della curiosità di scoprire il senso d'una cometa nella notte dell'ignoranza che lascia il vuoto della bellezza. Non che si sia tutti dei bambini divini o dei futuri cristi, eppure coi poeti spezzammo il pane dell'estasi del verso, in estasi nel verso, in estasi col verso. Dicevo camminavo nel deserto della solitudine, quando la bellezza del dire non ha chi l'oda, quando il passo che la cerchi ignori il suo nome, finché non m'apparve un uomo, forse un dio, più semplicemente un messaggero della dea, che mi guardò con compassione e mi disse: 'Parla, poi scrivi' e mi rammentò di Rilke, Budda, Cristo e della libertà dalla colpa dei miei respiri. Mi disse ancora: 'Se dentro il tuo grembo urge una voce, tu cerca di darle la luce, sii una partoriente; la forma della bellezza che tu cerchi come in un sogno non vive solo nella misura, rapporti, proporzioni: è forma e non forma; è non forma della forma; è forma oltre ogni forma'. E fu acqua pura alla sete. *Ringrazio Rodolfo Lettroe per la stupenda lettura
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