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La barca di piume

Poesia

Maria Squeglia
Genesi Editrice

Recensione di Martina Federici
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Pubblicato il 27/03/2012 12:00:00

(Un viaggio d'amore e altre poesie)

L’idea del leggero, dell’inconsistente. Sono le piume di cui è fatta questa barca su cui salgo e mi lascio trasportare. La marea è piena e profonda. Il soffio del vento è presente. Sono sogni fatti di aliti sottili che prendono per mano emozioni reali. Così mi coinvolge questo viaggio di amore. Trovo infatti un filo meravigliosamente ispirato in questa raccolta della poetessa Maria Squeglia, parole che toccano i sensi di chi vi si accosta. Un’apertura che sa di vivo proposito: “questo racconto d’amore, mio amato/è l’impegno costante del cuore/che, nel respiro intenso/del tempo, conserva/e difende il suo sogno”. La delicatezza nei toni abbraccia spesso visioni carnali del sentimento amoroso creando con l’ambiente naturale un legame profondo. “Queste corolle che tessono/abbracci di luce/sul tuo corpo di bronzo chiaro”. Cielo e terra si confondono come a fare da spettatori a questo sogno fantastico che si realizza semplicemente, con una tale spontaneità che lascia estasiati. “Fioriva quella domenica di giugno/le sue rose perfette/e l’acqua del lago intrecciava/esili gigli di nuvole…si stava, le tue labbra dentro/il mio respiro”. Ma l’amore seppure al suo apice non può mai dirsi perfetto e pienamente compiuto. È un sentimento in continua evoluzione, è “plasmato nella sabbia/in pieno divenire/a forme sempre nuove”, non costretto in tipologie troppo compiute perché la vita lo cambia di continuo. Come se quelle forme recassero con sé la speranza di un amore non solo sempre nuovo ma anche eterno. “Su questo amore imperfetto/non è sceso mai il finito/della perfezione”. Forse proprio la perfezione, come raggiungimento di uno stato immobile, segna la fine dell’evoluzione di ogni materia reale e di ogni essenza spirituale.

È il tempo che scandisce i momenti di questa riflessione cullata dalle onde tra sogno e realtà. “Ti dico/ questo fiume che/ corre è il canto/ di ogni benedetto giorno/ quando invecchia l’ora/ e ci guardiamo/ con il sortilegio/ che ci fa invisibili/ ed eterni”. Il sortilegio d’amore che dona, a chi lo sfiora, l’eternità, rende il trascorrere delle ore puro contorno all’abbraccio della passione. La magia di un amore indissolubile ed eterno trova espressione nel componimento dedicato alle figure mitologiche di Filemone e Bauci che conferisce, mi pare, un alone come di antico all’intera raccolta: “Nel mosaico del bosco/ vivono in vista/ di eterni cieli/ anime antiche/ alla terra legate/ dalla terra deste/ nello stormire/ delle alte fronde,/ in una immortale/ mutazione d’amore”. Direi che si snoda delicatamente e nello stesso tempo con solida concretezza tanto l’idea di un amore mai uguale ed in continua evoluzione quanto quella di un tempo eterno che tiene uniti i due amanti come un unico tronco dello stesso albero... anima unica della stessa esistenza.

Il mare sul quale la poetessa Squeglia ci conduce si fa più denso e tortuoso nella seconda sezione della raccolta dedicata a tematiche differenti, tutte trattate con una concreta profondità. Ne “L’amicizia” si dice ”Se dal fondo sale il vuoto/ sulla fronte, il tuo fiato/ si fa ponte sul vuoto/ si fa velo sul petto/ la tua voce vera”, esprimendo così, attraverso molteplici figure retoriche, l’importanza nel godere di un sostegno che ci renda più sopportabili tanti dolori. E la lettura si allarga a parole di dolore, di guerra, di vita semplicemente, sempre contando su una natura complice di tutte le esperienze sensibili o irreali. L’impressione che ancora ne viene è di una poetica che pur accostandosi ad aspetti complessi non ne rimane mai coinvolta o costretta da filamenti troppo asfissianti. Così, a volte, ne emerge un soffio leggero, una speranza …“Vado, fra le stelle cadute/ perché al principio/ nulla c’era./ Vado, perché principio/ è questa notte,/ domani ci saranno ancora passi.” E questo domani trova un ulteriore appiglio ne “L’ombra abbandona il viale” quando i versi recitano “Sono ali, certo, sono ali,/ questa lucentezza,/ sulle ferite il Sole/ radica piume di luce” come a donare un segno tangibile di calore e di compassione. E quasi la speranza che, alla fine di tutto il vissuto doloroso o benigno, sulle nostre palpebre simili ad un campo arato possa sopraggiungere “un fringuello…a beccare qualche chicco rimasto, / e sarà festa.”.

Nel finale, viaggiando sul mare ondoso delle emozioni, di nuovo l’idea della nave, ora nera di ruggine e stracci, per dedicare versi commoventi alla sorella perduta. La natura si presta nuovamente a sostenere metafore ricche di pietas…Sei nella briciola d’erba/ che indica il pane/ spezzato insieme./ Sei la foglia nuova che mi sfiora,/ la speranza di rinascita/ nel mistero che mi congiunge/ all’estrema tua esistenza,/ alla tua non-morte”. Ed ancora una piuma, questa volta bianca come un albatro annegato, a simboleggiare la mano abbandonata della sorella Pina nel momento in cui il suo destino si compie.

La barca di piume prosegue il suo cammino leggera e possente su flutti che narrano storie d’amore, di sogni e di poesia.



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