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La scrittura dell’handicap

Argomento: Letteratura

di Adolfo Sergio Omodeo
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Pubblicato il 30/05/2016 16:15:52

 

Saggio filosofico, finalista nel concorso “premio nazionale di filosofia” ANPF 2016

 

LETTURE  DELLA DISABILITA’

Sviluppo di una moderna mitologia,

tra comprensione  e forse altri tabù

 

 

Scrivere una prefazione a un libro di memorie di un caso di handicap motorio (Romanzo di una vita diversa,di Francesco Scarin), mi ha fatto osservare una grave antinomia tra mente e corpo nei casi di handicap: il protagonista è a sua insaputa affetto da una malattia degenerativa che riduce via via la sua mobilità. Gran parte della vicenda verte su come possa riuscire a compensare l’avanzare dei danni nella sua vita quotidiana. Quando si arrende all’uso della carrozzina suo padre gli dona il suo anello, quasi come amuleto. Il libro prosegue con l’aggravarsi dei disturbi, con una continua ricerca di risalire la china, con farmaci, corsi di yoga e forse la rottura del matrimonio quando la moglie chiede di avere lei la gestione della sua firma bancaria.

 

 

 

L’handicappato, o disabile, procede quasi a caso- per prove ed errori, come direbbero gli psicologi- ignorando spesso la dinamica di eventuali miglioramenti o di peggioramenti, e con il rischio di errori di interpretazione o di ripetere come utili atti inutili, per cui la psicologia propone il termine di comportamenti superstiziosi.

 

L’handicap, con le sue attese di cura, le sue ansie di peggioramento, ripropone quindi il vecchio problema mente-corpo, ma in modo nuovo, direi più articolato ed operativo. Come si possono sviluppare le cosiddette funzioni vicarianti, strategie con lui i disabili ottimizzano le loro risorse?

 

 

 

Il concetto di “schema corporeo” proposto da P.Bonnier sembra indicare una via di comprensione, potrebbe essere definito infatti come l’immagine mentale che uno ha di se stesso e delle sue capacità operative, immagine in gran parte inconscia e come tale soggetta a incomprensioni proprie e fin’anco altrui.. L’uso dello specchio nella ginnastica riabilitativa sembra essere una buona indicazione. Sappiamo però dalla nuova psicoanalisi che lo specchio ci rimanda inevitabilmente non solo l’immagine di noi ma pure della nostra desiderabilità sociale, conscia e inconscia.

 

 

 

Così più che in scienze quali la neurologia o l’ortopedia, potremmo trovare un fertile terreno di studio e di comprensione in vari campi dell’estetica, di cui forse quello letterario è il più proficuo. E come vedremo l’estetica applicata alla letteratura sull’handicap sembra comportare impreviste e forse ingiustificate conclusioni di tipo etico.

 

 

 

«Odio che mi si disturbi il sabato pomeriggio, ma naturalmente sono uscito dalla stanza e ho sceso le scale. E tu sai com’è, che scena patetica sia, prima la gamba buona, poi quella matta, poi il bastone, gamba buona, gamba matta, bastone, comunque sono arrivato in fondo, vecchio ben oltre i miei anni, e la pelle di un grigio così cachettico che persino tu avrai notato il dolore che provavo, un dolore cronico…» Così il protagonista de Il morbo di Haggard di McGrath esprime le complesse difficoltà, da quelle fisiche a quelle emotive che si possono sommare proprio nei momenti sociali più impegnativi per chi utilizza ausili Il protagonista che cosi bene esprime il disagio per il suo handicap e le sue conseguenze sulle sue aspirazioni  di socializzazione risulterà un perverso depravato, con tendenze incestuose, omosessuali e fors’anco necrofile.   Un riferimento letterario che sembra un buon primo passo per entrare in tema. Infatti come nota Freud i poeti hanno la capacità di esprimere problemi umani che la psicologia deve ancora trovare modo di analizzare – e l’osservazione è fatta ne l’interpretazione dei sogni del 1900,  proprio in riferimento al mito di Edipo, il quale come suggerisce il nome, zoppicava alquanto, e forse per questo seppur giovane  risultò  già tanto esperto di vita e maturo da poter risolvere l’enigma della Sfinge .

 


Ricordate “la caduta” del Parini ? è il primo testo letterario che viene in mente sul tema delle difficoltà comportate dalla disabilità: Dice il poeta; “ e per avverso sasso \ mal tra gli altri sporgente \ o per lubrico passo \ lungo il cammino stramazzar sovente … “  e prosegue descrivendo il dileggio dei bambini che si muta in turbamento e l’aiuto e la banale comprensione del passante che lo soccorre. Sul motivo della caduta, sulla sua dinamica specifica, il Parini glissa, e si nota una certa eccessiva brevità e superficialità, una difesa psicologica che esprime il disagio ad analizzare i propri cedimenti, comprenderli e possibilmente evitare che si ripetano. Umano sei, non giusto, la frase con cui il poeta zoppicante prende le distanze dal suo soccorritore, esprime certo rifiuto al servilismo che questi  gli suggerisce, ma – oserei dire - apre un altro interrogativo: Cosa si potrebbe dire in una situazione del genere per essere a un tempo umani e giusti? La struttura stessa della Caduta, col suo inizio apocalittico e il suo finale umanissimo sembra una protesta contro il destino. De Sanctis nota che Parini è il primo letterato non servile dopo secoli, e dice anche che zoppicava fin da giovane. Circa due secoli dopo Alda Merini sembra schierarsi con il tanto biasimato soccorritore del Parini  – “Quelle come me “ … tendono la mano \ e aiutano a rialzarsi, pur correndo il rischio \ di cadere a loro volta…

 

 

 

Il romanticismo poi, si è a volte  compiaciuto di proporci i temi della disabilità e farci immedesimare in essi: Victor Hugo ci propone il travaglio de l’uomo che ride e del gobbo di Notre Dame, le loro passioni anche erotiche, oltre l’emarginazione e il pregiudizio di cui sono vittime. Forse più poetico ma notevolmente distaccato, Baudelaire che nel suo celebrato sonetto sui ciechi ha invece il coraggio di prendere le distanza da tale infermità: “ Anima mia contempla, guarda che orrende pose!  \ …\... I loro occhi sempre levati  al cielo \ ..\  Io dico: Cosa chiedono al Cielo tutti questi ciechi?”

 

 

 

Ancora nell’Ottocento ricorderei Andersen: Nella sua favola, il soldatino di piombo, zoppo per un difetto di fusione, si innamora della piccola ballerina di carta suscitando l’odio di piccoli demoni della casa;  e i Grimm che ne Il Pifferaio Magico, riferiscono che gli unici bambini che si salvarono dalla sua flautata deportazione furono un piccolo storpio e una bambina cieca; il che ha fatto supporre che la favola sia riferita a un arruolamento coatto di bambini per la guerra, oppure si riferisca a epidemie di bambini che lasciarono solo pochi sopravvissuti handicappati. Nel Novecento  Calvino, scrittore e esperto di fiabe,  torna sul tema handicap con Il Visconte Dimezzato. Il visconte rimasto diviso in due in battaglia, sopravvive scisso in una metà buona e una malvagia … ma   più che l’aspetto fisico, quello che turba l’amata Pamela sono i  disturbi di personalità, delle sue due distinte metà.

 

 

 

Louis Stevenson, medico e romanziere autore de il dootr Jekyll, ne l’Isola del Tesoro evoca il sofferto e malvagio pirata privo di una gamba, che fa il cuoco di bordo legandosi al banco della cucina per non cadere ai movimenti della nave, e che infine usa la stampella come arma micidiale per difendere il tesoro ritrovato.  La stampella come arma! Il giorno dello Sciacallo di Frederick Forsyth, uscito nel 1971, è la fantapolitica storia di un fallito attentato a De Grulle. Il sicario si camuffa da invalido di guerra, con una gamba tenuta ripiegata da una cinghia per simulare il moncherino ( e ci viene detto che dovrà ben massaggiarla per lenire il dolore quando la libera)  nascondendo la carabina nella stampella.

 

 

 

Solo nei primi decenni del Novecento le tematiche della disabilità sembrano trovare libera espressione, superando silenzi e forse tabù precedenti. Credo per effetto dello sviluppo della medicina che consentiva la sopravvivenza dopo gravi lesioni fisiche, e alle guerre che avevano lasciato un gran numero di invalidi. La penicillina viene scoperta nel 28 e perfezionata durante la guerra, e da allora l’handicap è sempre più presente in letteratura. Gadda, ne La Cognizione del Dolore, pubblicato a puntate tra il ’38 e il ’41 e poi dopo la guerra., apre il romanzo narrando del dopoguerra di due paesi immaginari. Una situazione popolata da invalidi e falsi invalidi, impegnati e favoriti in quanto tali, a collaborare a un servizio di vigilanza e sicurezza, non per ultimo dedita a minacce e ricatti. Stuazione in cui si riconosce la satira della nascita del Fascismo italiano. Si usciva così da una retorica dei libri per la scuola,che andava dalla Rupe Tarpea  e dall’apologo di Menenio Agrippa a Muzio Scevola; dalla gamba amputata di Maroncelli, fino all’eroica morte in battaglia di Enrico Toti, invalido del lavoro, che scaglia la stampella contro il nemico.

 

 

 

Poco prima della II guerra usciva L’ardito del Conte Verde di Olga Vicentini, scrittrice per l’infanzia, autrice di varie opere educative – civili. Qui troviamo un’intensa pagina in cui il nobile  montato a cavallo esprime la sua disperazione per il proprio handicap motorio che lo blocca e lo espone allo scherno pubblico, e così coinvolge il piccolo protagonista eroe del libro. Il Conte Verde è Amedeo VI, un condottiero Savoia del tardo medioevo, pare con un braccio leso,  e così il romanzo sul piccolo ardito insegnava rispetto per la disabilità… Intanto gli Americani  avevano un presidente Roosvelt in carrozzina, per questo motivo volgarmente  sbeffeggiato da Mussolini che pur aveva un figlio colpito dalla polio. La prima edizione del libro è del 1941 e la seconda del 54, sempre della SEI, casa editrice cattolica, quindi il messaggio civile del libro viene riproposto oltre il declino Savoia.

 

 
Altri testi hanno affrontato le tematiche della disabilità. Il Compagno, di Cesare Pavese è un breve ma complicato romanzo socio–politico. Amelio, il giovane e invidiato rubacuori motociclista resta paralizzato in un incidente. La storia prosegue tra vari amori e coinvolgimento politico di altri. Ma è proprio lui, Amelio, che dalla sua condizione svantaggiata risulta tirare le fila di movimenti antifascisti. L’interrogativo che Aurelio si pone all’inizio, quando toglie l’ingessatura - carrozzina o stampelle - resta senza risposta, sapremo solo che è stato portato in carcere in barella. Fu Pavese che mostrò a Fernanda Pivano l’antologia di Spoon River di Lee Masters, un complesso intreccio di storie umane in forma di epitaffio, di cui molte riferite a diversi tipi di handicap. La Pivano restò affascinata dall’umanità dell’opera, la tradusse e la pubblicò e fu per questo imprigionata dal Fascismo.

 

 

 

Cito brani dell’”antologia” significativi dell’antieroismo che indignava il Fascismo. La cieca  Lois Spears dice di sé “ madre di bambini dagli occhi limpidi e corpi sani \ (io nacqui  cieca) \..\ Fui la più felice delle donne. “ Da notare il chiasma tra gli occhi dei figli e la propria cecità posta tra parentesi; generalmente il chiasma enfatizza l’enunciato finale, in questo caso invece dato per ovvio dalla parentesi. Il malato Paul McNeely cui l’infermiera gli diceva con un sorriso “ non siete poi così malato - starete presto bene “ concludendo  “ Cara Jane, l’intera fortuna dei McNeely \ non avrebbe potuto comprare la tua cura di me \\ Mio padre provvide per te alla sua morte?\ Jane, cara Jane “ anche qui sviluppando un ricco intreccio stilistico tra salute e malattia,  valore affettivo e rimborsi economici dell’assistenza ricevuta.

 

 

 

Aggiungerei infine il malato di cuore, nella versione di De Andrè: “ …e mai poter bere alla coppa d’un fiato \ ma a piccoli sorsi interrotti…\ eppure un sorriso io l’ho regalato \... \ e il mio cuore le restò sulle labbra “ Così l’handicap viene perfino cantato! Ricorderei allora Pirangelo Bertoli, cantautore in carrozzina, che nei testi delle sue canzoni ha fatto quasi costantemente riferimento alla disabilità come ispirazione di vita da tutti condivisibile . Vedi A Muso Duro, e Voglia di Libertà dove dice, quasi alludendo alla continuità tra le cosiddette barrire architettoniche e quelle mentali; “ Se libertà vuol dire rinunciare a tutto ciò che offre la realtà \ Per te io vincerei questa paura di uscire nudo e stanco dalle mura \ di questo mondo piccolo e banale \ dove regna chi bara e chi non vale “

 

Italo Calvino ne La Giornata di uno Scrutatore, pensata dal ‘53 e uscita nell ’63,  traccia un quadro quasi antropologico dei disabili che votano al Cottolengo, una città nella città cinta da mura e soggetta ad altre regole. E descrive il faticoso impegno dei ricoverati per dare il loro voto, forse suggerito ma – nota - che esprime la riconoscenza per chi si occupa di loro; D’altro canto, Calvino registra nei colleghi di seggio una strana modifica della voce, quando riconoscono che - anche loro hanno diritto… (L’argomento sembra ancora attuale se si vedono i reclami di tanti disabili impediti al voto, dopo ogni elezione). Lo scritto mi portò a una considerazione socio-economica che piacque anche a Basaglia che pur non era marxista, cioè che il circuito dell’assistenza all’handicap tende alla mercificazione dell’handicap stesso, riducendolo a oggetto di commercio, come altri prodotti deteriorabili e in scadenza.

 

 

 

La Salamandra, romanzo politico ambientato nell’Italia dei possibili colpi di stato, opera dell’autore australiano West Morris, ci presenta a sorpresa un appassionato squarcio su un istituto per handicappati, tema che forse colpisce l’autore per la sua diffusione nella realtà italiana; il che mi ricorda le pagine di  Ernst Bernhard, psicoanalista junghiano, ebreo fuggito in Italia durante il Nazismo, che restò colpito da certe specificità della vita italiana da lui giudicate archetipe, tra cui una attenzione affettiva e iperprotettiva verso l’handicap e una rassegnazione consolatoria diffusa ( Cfr. La grande Madre Mediterranea, in Mitobiografia  )

 

 

 

Molta letteratura del Novecento ha fatto riferimento all’handicap, senza quasi esplicitarlo. G.G. Marquez in occhi di cane azzurro (1974) ci propone la vita interiore di disparate disabilità, a partire dal tipo paralizzato che da quando fu detto alla madre che sarebbe vissuto come morto, viene mantenuto in una bara adatta dove vive di luci, odori e sogni. Fiori per Algernon, romanzo di Keyes del ’59, narra un fantascientifico e travagliato esperimento di riabilitazione neurologica in cui il protagonista, un povero debole mentale divenuto geniale, studia Algernon, topo usato come campione di controllo; dal cui declino prevede il proprio successivo fatale tragico crollo mentale. E  ricorderei anche “ la metamorfosi” di kafka, in cui il protagonista, da bravo e inserito impiegato quale era, si sveglia una mattina come grosso e schifoso scarafaggio… una vicenda che sembra una metafora di certe malattie degenerative. Forse anche Il Processo è un riferimento simbolico ai difficili iter fiscali di casi di inabilità, di cui poteva essersi occupato Kafka, letterato e assicuratore … E perché allora non citare come magistrali esempi della letteratura dell’assurdo le sempre attuali comunicazioni istituzionali, tipo: - la SV. è invitata a presentarsi alla visita di controllo… pena (sic!) non presentandosi, la cancellazione dall’elenco degli aventi diritto…

 

                                                     
Carmelo Samonà scrisse Fratelli, romanzo ispirato alla sua convivenza con un caso di autismo, in cui viene narrato il suo coinvolgimento e la sua partecipazione, ma pure un’esasperazione involontaria e quasi non riconosciuta. Si veda l’elaborazione costante di una tabella mentale delle risorse e delle incapacità dell’altro, quasi con la speranza di potersi così meglio rapportare a lui. Fino allo smarrimento del ragazzo autistico in mezzo al mercato, a un banco di mele… In una mia recensione notavo che la mela era pure presente ne Il Diario di una Schizofrenica, con la funzione di oggetto simbolico che mediava tra l’esperienza infantile dell’allattamento e il mondo esterno. Samonà mi disse poi che conosceva il Diario ma che scrivendo non ci aveva affatto pensato consciamente. A me il libro Fratelli fece ripensare a una storiella zen più volte citata da Hrair Terzian, neurologo impegnato con Basaglia in Psichiatria Democratica: In un paese ferocemente dittatoriale si trovano in un carcere tre uomini: un politico, uno sciocco debole mentale e un tipo qualunque. Il politico si impegna subito al massimo per cercare di evadere, finché dice disperato al tipo qualunque: aiutami, cosa stai facendo!? E lui gli risponde, ti sto aiutando, non vedi, sto cercando di capirmi con questo sciocco, se riusciamo a evadere non vorrai mica lasciarlo qui!

 

 

 

A proposito di handicap mentale, Pirandello ci porta spesso sul tema in modo così “normale” che quasi non si nota. Così è, Se vi Pare, rappresenta la follia nella sua ambiguità di ruoli e di messaggi reciproci; e non a caso un personaggio si chiama Morena. Pirandello aveva conosciuto di persona Moreno, l’ideatore della tecnica terapeutica dello psicodramma, metodo in cui si rievocano e si recitano reiterate volte situazioni di disagio psicologico; e così ruotando via via le parti con altri, si sdrammatizzano e si comprendono tali situazioni, e le dinamiche sempre reciproche, che le provocano. L’attenzione di Pirandello era comunque precedente; come non ricordare La Giara ? L’artigiano gobbo costretto a riparare il coccio dall’interno, dove resta incastrato. Ho usato tale situazione per brevi psicodrammi formativi per operatori sociali, in particolare quando il gobbo incastrato viene aiutato a cercare di uscire, strattonato e colpevolizzato per la sua gobba ... Esperienza tragicomica non buonista, che puù rivelare sgradevoli retroscena delle cosiddette relazioni di aiuto, ma proprio per questo formativa.

 

 

 

Di brocca in brocca… Nel ‘48 esce L’Innominabile di Beckett,. Un grandioso e pacato soliloquio che diventa romanzo, di qualcuno del tutto invalidato, forse dalla guerra, senza braccia e senza gambe, tenuto in una giara all’ingresso di un’osteria, come insegna per i clienti. Lagrima molto nel suo parlare o nel suo soliloquio, ma non può tergersi le lagrime. Sembra che abbia molta esperienza di vita, e ricorda quando utilizzava le stampelle e cadeva; riferisce pure malinconici scherzi che fa alla buona donna che di tanto in tanto lo accudisce, abbassandosi nella giara e fingendo di essere scomparso. Il finale sintetizza il paradosso esistenziale dell’innominabile inamovibile: “ non  posso andare avanti, andrò avanti “ forse morendo. Un intero romanzo che rischia di risultare sgradevole o conturbante, ma non per questo risulta meno interessante e coinvolgente.  

 

 

 

Proprio alla fine della prima guerra mondiale, Freud scrisse Il Perturbante, un saggio di analisi letteraria. Il concetto di perturbante (già proposto da Ernst Jentsch a proposito de L’Uomo della Sabbia di Hoffmann) viene interpretato psicanaliticamente. Cavare gli occhi ai bambini insonni è un’evocazione dell’angoscia di castrazione, ma i temi del conturbante secondo Freud sono ampi: il sepolto vivo e il morto vivente, le ripetizioni ossessive e l’animazione dell’inanimato, e tutti evocano fantasie e annunciazione di morte, il presentimento del lutto di noi stessi. E’  per questa ragione che la letteratura sull’handicap, che dovrebbe farci immedesimare nel problema, non può non indispettire. Come ci dice la psicologia: gli affetti sono estensioni di noi stessi, e allora diremmo che l’handicap è invece una limitazione di sé stessi, una perdita, un lutto; lutto che come tale richiede di essere elaborato tra fasi di rabbia e di idealizzazione, fino a una sua normale accettazione e a un po’ di idealizzazione. Ma l’handicap altrui può risultare – appunto – conturbante.

 

 

 

Anais Nin, nei suoi diari, descrive artisti e letterati da lei conosciuti, forse con eccessiva pretesa di intuizione psicologica, ma nel 3° volume riferito ai tempi di guerra, nota anche,  con preoccupazione razzismi e pregiudizi che esplodono, come quando il gelataio cinese appone ombrellini di carta  made in japan. Turbata riferisce anche che in una loro serata animata vedono comparire, fermandosi a mezzo busto sulla scala antincendio, il vicino invalido che protesta per il rumore; e poi scompare come se affondasse retrocedendo senza voltarsi per mantenere la presa alla ringhiera; registrando stavolta non pregiudizio ma stupore e turbamento, su cui riflettere.

 

 

 

Dacia Maraini , nel suo romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa ambientato nella Sicilia del 700, narra di una nobile ragazza sordomuta che viene finalmente presa in sposa da un vecchio parente, proprio colui che ha provocato il suo disturbo violentandola da bambina. Già nella metà dell’800 La Cieca di Sorrento, romanzo di Francesco Mastriani, ex studente di medicina passato al giornalismo, narrava di una ragazza divenuta cieca dopo aver assistito a un omicidio, cui l’amore e la competenza medica del suo amato ridonano la vista. La letteratura evidenzia così la componente psicosomatica dell’ handicap, che può aggravarlo o perfino provocarlo e a volte alleviarlo, storie umane  ben reali e sofferte seppur rimosse. Per evitare rimozioni, come non ricordare anche Metello di Pratolini, romanzo storico-sociale ambientato nella vita vissuta dal proletariato dell’ottocento. In questo contesto il protagonista ha la sua iniziazione con una prostituta, formosa di petto ma con gracili gambe disabili.  E’ un rarissimo riferimento a come la sessualità si intrecci normalmente con l’handicap. e tanta rarità rivela  forse il persistere di qualche tabù. Noterei invece, che non trovo neppure un riferimento letterario moderno sul tema handicap e miracoli (tema presente invece nel cinema).

 

 

 

Rari sono i riferimenti letterari alla carrozzina per disabili, simbolo fin troppo e anche a sproposito usato nella segnaletica  urbana.  Un cavallo per La Strega, romanzo del 1961 di Agatha Christie, ex crocerossina di guerra, presenta un protagonista in sedia a ruote, invalido per polio, sospettato di aver assassinato un parroco, e forse di essere un falso invalido; L’accusa è avanzata proprio dal vero assassino, che gestisce omicidi a pagamento sotto forma di regolari scommesse, effettuate sulla vita delle vittime designate. Dostoevskij ne Il Giocatore ci presentava una ricca vecchietta  russa, costretta in sedia a rotelle, di cui tutti aspettano la morte per ereditare. Ma questa arriva nel centro termale tedesco, e induce il protagonista, e quasi lo seduce, per farsi accompagnare con la carrozzina al casinò, dove entrambi precipitano nel vizio dell’azzardo.  La sedia a ruote come simbolo dell’azzardo?

 

 

 

Recentemente l’handicap ha iniziato a esprimersi in prima persona: dopo Diario di una Schizofrenica curato da Margherite Sechehaye, citerei Il mio Piede Sinistro di Christy Brown, la storia di un ragazzo nato con gravissime difficoltà motorie, che avvalendosi disperatamente del rapporto con operatori assistenziali recupera un po’ di mobilità e la capacità di scrivere. Le pagine più toccanti e coinvolgenti sono quelle relative al suo innamoramento per una ragazza, che sembra quasi ricambiarlo; e in ottica psicoanalitica sembrano confermare che sono le valenze erotiche la chiave della socializzazione. L’amico Francesco Scarin ha scritto Romanzo di una vita diversa, dove narra l’avanzare di una sua  malattia degenerativa, le sue ansie e la continua ricerca di trucchi per compensarla, fino al crollo nell’inefficienza assoluta, crollo da cui riparte però con miglioramenti rapidi e progressivi, impegnato in una nuova vita con una nuova compagna. Dall’introduzione che mi ha chiesto deriva la prima idea del presente scritto.

 

Nei primi anni novanta promossi, tramite il Quartiere Centro di Padova, un concorso letterario sulla scrittura dell’handicap, da cui derivò un fascicolo di scritti, tutti non banali: vinse Roberto Bison con uno scritto autobiografico molto incisivo. Ricordo il brano in cui lui bloccato in carrozzina, si sta per incontrare con il Papa, ma i suoi accompagnatori lo abbandonarono festosi, per andare loro incontro a Sua Santità. Come poeta Bison ha scritto  Essere, varie liriche d’amore sempre sofferte e mai banali o leziose, e una sulla propria morte in cui chiede di essere cremato per non restare tra i vermi, che troppo gli sono stati intorno. Nel fascicolo del concorso ripubblicai anche uno scritto di Palazzeschi, ricevuto, ritrovato credo su “La Voce”: l’impianto era futurista e dichiarava che era ora di finirla con il pietismo, l’assistenzialismo e la malattia… quantomeno deridendoli. Dobbiamo a Palazzeschi, futurista, forse la più decadente adesione al manifesto di Marinetti che dice :“ Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.”  E Palazzeschi sembra rispondere :“Qualcuno cammina più profondo / e pigia una sua stampella / credendo di sfondare il mondo. /E di sopra a spiare argutamente,/ carovane di stelle luccicanti.”

 

 

 

La sua famosa poesia in sintetici versi trisillabi, La fontana Malata, esprime forse il primo, allusivo accenno all’eutanasia: “ …\ mettete \qualcosa \ per farla \ finire \ magari… \ magari \ morire.”  

 

 

 

Molti titoli cui ho fatto riferimento hanno dato vita a film, confermando il diffondersi della tematica dell’handicap nel cosiddetto immaginario collettivo, tra questi ne ricorderei soltanto due, piuttosto diversi tra loro:  il dottor Stranamore, ex scienziato nazista, in sedia a rotelle; la cui protesi al braccio scatta convulsamente nel saluto romano e poi tenta di strozzarlo, mentre lui annuncia entusiasta la bella vita che aspetta i pochi sopravvissuti del dopo-bomba.   L’altro film, Profumo di Donna, derivato da un racconto di Arpino, e interpretato nel 74 da Gassman e poi in un remake del 92 da Al Pacino. Qui proprio nel finale, dopo tentati suicidi e una corsa in Ferrari da lui guidata alla cieca, il vecchio militare cieco di guerra, si introduce nell’assemblea scolastica che vorrebbe espellere il suo giovane accompagnatore, e in un memorabile discorso ricorda che la guerra tragicamente produce ciechi ma anche corpi mutilati, e diffida la scuola dal voler mutilare, invece, l’anima dei giovani.

 

Una bella e amata mia collega psicologa, Bruna Sartena, divenuta cieca ha poi scritto "Uno sguardo al buio", "Psicologia dei ciechi", ora anche in internet. Qui ci dice come salvarsi la vita perdendo la vista... spaziando dalle possibilità assistenziali (inizialmente rivolte ai ciechi di guerra) all'inserimento familiare e lavorativo; fino alle esigenze affettive ed erotiche dove occorre evitare pietismi e iperprotettività. Dandoci  pochi garbati incisivi riferimenti al suo percorso personale; così il suo istruttore cieco le confidava la propria attenzione erotizzante per il suono dei tacchi delle accompagnatrici, e lei invece dice che si coinvolge alle sensazioni del braccio dell'accompagnatore. Riferimenti questi che, alla presentazione del suo libro, provocarono un brusco scompiglio tra accompagnatori e ciechi. D'altronde un altro breve scritto della Sartena su Edipo, esplicita che egli si acceca dandosi la peggiore delle punizioni, per aver seppur involontariamente violato le norme e i tabù sociali.

 

Edipo, prima zoppo, poi anche cieco! Secondo Freud Edipo è metafora della travagliata affettività umana e di una imprevista continuità tra pulsioni ed eventi, coscienti e inconsci. Uno spettacolo di Nin Scolari, attore e regista padovano, si dilungava sulla difficile riabilitazione del piccolo reso zoppo, e ciò mi fece intuire in quel suo trauma remoto, il motivo di tanta rabbia assassina, nell'incrociarsi col padre neppure riconosciuto...

Scoperti gli arcani Edipo si acceca con la fibbia della cintura della moglie-madre incestuosa che si è impiccata. Nel dramma di Sofocle il fatto viene detto sempre "disgrazia", ma la recente psicoanalisi considera l'accecamento di Edipo come simbolo di una dolorosa ricerca nel proprio inconscio. Bruna Sartena ha rilevato il frequente lapsus per cui il titolo del suo libro "Uno sguardo dal buio", viene letto; uno sguardo "nel" buio, e allora si potrebbe  dire che la cecità è anche metafora del persistente rifiuto sociale di vedere i problemi dell'handicap.

 

 

 

Cercando una sintesi di questa rassegna sulla letteratura dell’handicap, ricordo una conversazione sul tema, a New York con uno psichiatra russo lì rifugiatosi e che lì fu mio mentore, e mi spiegava che fare psicoterapia in un mondo interculturale come gli USA (e in prospettiva  ovunque) richiedeva un costante riferimento all’antropologia.  E quanto all’handicap mi fece osservare che le storie dei super eroi dei fumetti di Stan Lee & Jack Kirby, tracciavano una nuova mitologia dell’handicap: Infatti supereroi buoni come i Fantastici Quattro, sono diventati tali a seguito di irradiazioni nucleari dello Spazio e i loro “superpoteri” sembrano una ottimistica  reinterpretazione di ciò che si chiamavano “funzioni vicarianti” al danno.  Cosi Hulk, giovane scienziato rimasto contaminato da radiazioni durante un esperimento, quando si indigna contro i cattivi diventa a sua stessa insaputa un mostro colossale e fa giustizia… La morale della storia sembra essere che il pericolo di radiazioni nocive potrebbe avere effetti positivi. Come non ricordare invece, Il Diario di Hiroshima, di Michihiko Hachiya, medico che dopo la bomba manda avanti l’ospedale crollato, e anche quando  capisce che si tratta di radiazioni mortali continua il suo impegno, forse eroico ma senza superpoteri.

 

 

 

I fumetti dei supereroi  esplicitano una mitologia ottimistica rivolta al futuro, che sembra volerne negare le possibili nocività; ogni mitologia prevede delle varianti:  Se l’handicap non fosse umano!?  Ricordo così un bel fumetto di Frank Hanpson, che leggevo da bambino, Dan Dare, astronauta del futuro impegnato contro il  malefico Mekon, piccolo venusiano verde, frutto di esperimenti scientifici,  con una testa grandissima e super efficiente e un gracile corpicino quasi inutile, costretto a vivere e spostarsi su una sorta di scodella antigravitazionale; e una volta che viene rovesciato dal supporto sospeso lo si vede annaspare pateticamente.  Dan Dare lo chiama spregevolmente lo Zuccone. Per inciso, invece, Gambadilegno, il gattaccio che perseguita il buon Topolino di Disney, proprio durante la guerra ha montato una scarpa coprendo la sua protesi… cattivo, ma non invalido di guerra.

 

 

 

Miti d’oggi di Barthes ha proposto di indagare le mitologie  della nostra società usando i metodi della moderna antropologia: Così, dalle auto innovative, alle attrici più seducenti, dalle tematiche razziste, alle patate fritte alla francese, si evidenzia lo svilupparsi di un unico linguaggio simbolico che sembra rivolto a farci ben accettare presente e futuro. Analogamente potremmo rileggere il nostro excursus sull’handicap in letteratura come un unico discorso, come un susseguirsi di temi diversi ma collegati in una sola struttura simbolica, che traccia  ruoli, tabù e indicazioni morali. Così troviamo: l’handicap motorio visto con sospetto e potenzialmente malvagio, l’handicap sensoriale che maggiormente si adatta alla ingenuità delle vittime, l’handicap mentale più profondamente tabù, che insidia anche noi stessi a nostra insaputa.

 

 

 

Secondo la psicologia della comunicazione è possibile classificare gli handicap (e soprattutto i loro aspetti più evidenti) come “simpatici o antipatici”, a seconda della comprensione e del coinvolgimento che possono suscitare… La pubblicità che raccoglie donazioni utilizza soprattutto gli aspetti simpatici, ma la letteratura può calarci nella dimensione più rifiutata,  antipatica anche per chi è coinvolto con le disabilità. D’altronde gli eufemismi usati soprattutto dalle Istituzioni non aiutano certo la comprensione: pensiamo a strausate locuzioni quali: persone diversamente abili o  portatori di handicap (strana metafora quasi colpevolizzante); eufemismi peraltro mai  riscontrati nei testi letterari sul tema. e che sembrano esprimere il proprio distacco  dall’argomento.

 

 

 

Come dicevo, la letteratura può essere una buona via per accostarsi e confrontarsi con la varietà delle disabilità, dei suoi problemi e  delle sue fantasie, nonché delle repulsioni che può suscitare. Mi pare allora adatta come sintesi conclusiva, la poesia di Silvia Plath, L’Aspirante, che sembra evocare ogni sorta di handicap,  forse nel contesto di una visita medica fiscale… 

 

 

 

Prima di tutto ce li hai i requisiti?

Ce l’hai?

Un occhio di vetro, denti finti o una gruccia.

Un tirante o un uncino,

Seni di gomma, inguine di gomma,

 

Rattoppi o qualcosa che manca? Ah

No? E allora che mai possiamo darti?

Smetti di piangere

Apri la mano.

Vuota? Vuota. Ma ecco una mano.

 

 

                                                                         Adolfo Sergio Omodeo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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