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Il Natale dei cristiani perseguitati nel mondo

Argomento: Società

Articolo di Claudia Cirami 

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Pubblicato il 22/12/2016 16:06:50

India, Eritrea, Nigeria, Siria, Congo. Ma anche Messico e molti altri sono i Paesi nel mondo dove il Natale del 2016, come già tanti ancora, sono accompagnati da «pianto e lamento grande». Stringersi a loro è un dovere d’amore per gli altri cristiani, e vanno pubblicizzate le iniziative volte a promuovere la comunione concreta e il soccorso vicendevole per i fratelli disagiati.

 

Sarà Natale anche per loro, tra poco. Quegli uomini e donne lontani, bambini e anziani, fratelli tutti nella fede in Cristo, che subiscono anche oggi persecuzioni e discriminazioni per religione professata o perché testimoni della novità di vita che il Vangelo reca nell’esistenza quotidiana, se abbracciato con estrema convinzione. Anche da questa parte del mondo si muore, è vero. Davanti ad una Chiesa, mentre sei ferma in fila alla bancarella di un mercatino. Non proprio per uno scontro epocale tra fedi, certo – come molti uomini di Chiesa si affannano a dire – ma per motivi che hanno a che fare anche con la politica, con l’economia. Eppure, ora che siamo colpiti anche davanti ad una Chiesa, anche durante una Messa – come è accaduto a padre Hamel in una parrocchia francese – ci viene forse più naturale rivolgere il pensiero anche a chi con la realtà della persecuzione religiosa è costretto a misurarsi da tempo. Come i cristiani nello Stato di Rajasthan in India. Pochi giorni fa, un gruppo di fedeli, mentre stava lasciando un’abitazione privata in cui – come tradizione – aveva eseguito canti di Natale, è stato picchiato in modo selvaggio, con manganelli e bastoni.

 

Il motivo: la fede professata e la convinzione che facessero proselitismo (ma che proselitismo si può fare in un’abitazione privata di cattolici?). Come ci ha spiegato Asia News, i picchiatori, più numerosi dei fedeli, gridavano: “Bharat Mata ki Jai” (Vittoria alla madre India). I 20 fedeli raggiunti dal gruppo di aggressori erano della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Tikariya, nella diocesi Udaipur: tra loro c’era anche il parroco Stephen Rawat, alcune suore e qualche bambino. Alcuni di questi fedeli, compreso il parroco, rimangono ricoverati, mentre altri sono stati dimessi dopo essere stati medicati. L’atmosfera natalizia e festosa, portata dai canti di Natale, è finita tra botte e sangue. Si soffre per Gesù Cristo anche in Eritrea, altro paese ben posizionato nella triste classifica delle persecuzioni ai cristiani.

 

Certe volte si viene persino arrestati per la propria fede, anche se in apparenza le confessioni cristiane, dal 2002, sono accettate dallo Stato. Questo però non vuol dire che nel paese ci sia vera libertà di professare la propria fede. Come un testimone ha raccontato a Tempi, il Natale è il momento in cui la famiglia sa di essere divisa, perché molti componenti sono fuggiti altrove per il clima pesantissimo che si respira nel paese, tanto più se si è cristiani. Il Bambino sta per arrivare, ma gli Eritrei hanno davvero poco da festeggiare. Continua anche la persecuzione in Nigeria da parte dei Fulani Herdsmen Terrorists (FHT). Non perché sia Natale, ci si attende un freno alle persecuzioni che, in questi anni, soprattutto in certe zone, sono state davvero feroci, con 12.000 cristiani uccisi dal 2006 al 2014. I cristiani, paradossalmente (ma non troppo, per chi sa come “funziona” la storia del sangue dei martiri) sono in crescita e questo è motivo di odio religioso (ci sono ovviamente mescolate altre motivazioni, ma il motivo religioso è uno dei principali). A Mosul, nella Piana di Ninive, che è stata recentemente liberata, non c’è tutta questa voglia di festa. Come ha ricordato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre Mons. Yohanna Petros Mouche, che è l’Arcivescovo siro-cattolico di Mosul (Iraq), i cristiani temono il ritorno nei loro villaggi per paura di nuove persecuzioni.

 

La liberazione non è tutto, infatti: occorre qualcuno che tuteli la loro permanenza nei luoghi da cui sono dovuti fuggire e ancora questa sicurezza non è così netta. Il problema non è solo l’ISIS, ma anche certe fasce di fondamentalismo islamico. Aria di discriminazione religiosa anche in Indonesia. Ad inizio mese, una grande manifestazione di mussulmani integralisti ha chiesto l’incriminazione per blasfemia di Basuki Tjahaja Purnama, governatore cristiano della regione. Il governatore si è difeso strenuamente, anche perché la sua famiglia adottiva è musulmana: «Essere accusato di aver insultato l’Islam – ha detto in lacrime durante la prima udienza del processo – per me significa essere accusato di aver diffamato la mia famiglia musulmana». Nonostante durante il suo governo si fosse adoperato anche per costruire moschee, questo non è bastato – al momento – a salvarlo dalla pesantissima accusa di aver interpretato in modo blasfemo una sura del Corano. Situazione molto difficile anche in Congo.

 

Non riguarda solo i cristiani – è un problema di transizione politica – ma anche loro ne fanno le spese, come è successo a suor Marie Claire Agano, che apparteneva alla congregazione delle Francescane di Cristo Re, uccisa il 29 Novembre, mentre era nell’ufficio di un centro di formazione professionale, di cui era responsabile, nella parrocchia Mater Dei di Bukavo. Il Congo soffre da tempo e proprio ieri, al termine dell’udienza, il Papa ha rivolto il suo pensiero a questo paese martoriato: «Alla luce di un recente incontro – ha detto – che ho avuto con il presidente e il vice-presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo, rivolgo nuovamente un accorato appello a tutti i congolesi perché, in questo delicato momento della loro storia, siano artefici di riconciliazione e di pace. Coloro che hanno responsabilità politiche ascoltino la voce della propria coscienza, sappiano vedere le crudeli sofferenze dei loro connazionali e abbiano a cuore il bene comune.

 

Nell’assicurare il mio sostegno e il mio affetto all’amato popolo di quel Paese, invito tutti a lasciarsi guidare dalla luce del Redentore del mondo e prego affinché il Natale del Signore apra cammini di speranza». Non possiamo poi dimenticare anche le violenze che in questi mesi sono state perpetrate nei confronti dei sacerdoti messicani, di cui più volte ci siamo occupati in questi mesi. Tra uccisi e torturati, per aver denunciato le violenze dei narcotrafficanti, più volte è stato un accanirsi feroce nei confronti di uomini fedeli al mandato che Cristo ha dato loro.

 

La Conferenza Episcopale Messicana ha chiesto spesso preghiere per questa situazione sociale sempre più disordinata. Anche in questo caso, la professione di fede non è un elemento determinante: non perseguitati come fedeli a Cristo, ma certo come testimoni di giustizia e di speranza. Il pensiero, in questo Natale, va allora a tutti questi luoghi lontani geograficamente ma estremamente vicini al nostro sentire, perché lì vivono uomini e donne che amano Cristo come noi e il cui desiderio sarebbe quello, come il nostro, che il Verbo di Dio incarnato, che si fa contemplare in una mangiatoia come un bambino, trasformi il cuore di chi perseguitata e accarezzi quello di chi è perseguitato. A questi fratelli va la nostra preghiera, ricordando inoltre che possiamo sostenerli in vario modo, anche economicamente, con le tante iniziative che le varie organizzazioni cattoliche approntano tutto l’anno.

 

Nel novero di queste iniziative, segnaliamo anche la presentazione del libro “Sulle tracce di Cristo, Viaggio in Terrasanta con Luigi Giussani”, proprio oggi a Roma, nella Parrocchia di San Giovanni Battista De Rossi, Via Cesare Baronio 127, dalle 18:00 alle 19:30. Rizzoli pubblicò il testo nel 1993 per la collana “I libri dello spirito cristiano”; è stato poi rieditato nel 2006 e attualmente è fuori catalogo. L’idea è quella di raccogliere fondi durante questo incontro che saranno così suddivisi: un terzo servirà a rieditare il libro, un terzo a pagare le spese e un terzo sarà donato all’associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre, fondazione pontificia che assiste i cristiani perseguitati ovunque si trovino. Sarà un modo per “rivivere” l’approccio fecondo con cui don Giussani si rapportava alle persone – in questo caso i cristiani di Terrasanta – e, al tempo stesso, sostenere i diversi progetti che ACS ha avviato in favore di chi è perseguitato per la propria fede.

 

Che sia un Natale che non ci trovi con le mani vuote di preghiera e di aiuto.

 

(La Croce quotidiano, 22 dicembre 2016.)

 


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