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Notturno nr. 8

di Giuseppe lonatro
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Pubblicato il 21/09/2025 08:14:25

Le capitava spesso di cercare legami invisibili.

Non sapeva se fosse follia, superstizione o semplicemente paura di vivere a caso, ma il numero otto la inseguiva, e lei non riusciva a scrollarselo di dosso.

Otto erano stati gli amanti che Tecla ricordava davvero, il resto solo comparse e nulla più. Otto i mesi di quella gravidanza che non era mai arrivata al termine. Otto i piani dell’ufficio legale dove aveva iniziato a sentirsi morta dentro. Ogni coincidenza era un chiodo piantato, un'altra prova che la sua vita non era altro che una trappola numerica.

Il Notturno di Chopin continuava a scivolare nell'aria, ma non era più musica. Era una domanda che non aveva risposta: "A che serve tutto questo?". Si guardò intorno: il divano invecchiato, i capelli sparsi sul pavimento, l'odore di polvere. Non c'era nessun numero, nessun simbolo, nessun Dio che potesse dare un senso al vuoto che portava dentro.

Si accorse che piangeva, non per la tristezza in sè, ma per la consapevolezza che tutta la sua ossessione per l’8 era solo un modo per non dimenticarla. Era una catena meschina, eppure l’unico fragile ponte con il passato.

Chiuse più forte gli occhi, ma non arrivò il silenzio. Arrivò invece un ricordo, preciso come una lama: la sala d’attesa. Il neon tremolava, la puzza di disinfettante si attaccava ai vestiti, il rumore di passi rapidi nel corridoio spezzava l'aria immobile.

Era l’8 marzo. Sua madre le teneva la mano troppo forte, come se volesse stritolare le ossa. “Aspetti qui, avvocato, le faremo sapere.” La voce del primario era stata un martello. Da quel giorno aveva imparato a odiare i numeri, e a cercarli nello stesso tempo. L’8 era la data della diagnosi, il tempo che le restava, l’attesa di una morte che non perdona. Aveva solo trentadue anni, e la vita da lì in poi era stata una corsa disperata tra pratiche legali e amori sbagliati, come se volesse sfidare il destino a darle un senso.

Il Notturno si faceva più lento, più cupo. Ogni nota le riportava il viso di sua madre sul letto d’ospedale, gli occhi pieni di luce spenta.

Tecla si alzò dal divano con un movimento lento, quasi stanco. I capelli le scivolarono via dalla spalla come un peso che non voleva più portare. Andò verso la scrivania, aprì un cassetto e prese il vecchio taccuino nero che teneva lì da anni. Pagine fitte di numeri, date, segni, cerchi, frecce. Tutto l’archivio della sua ossessione.

Sfogliò senza leggere, solo ascoltando il fruscio della carta. Ogni cifra era un chiodo piantato nella carne. Otto, otto, otto. Sembrava quasi ridere di lei. Lo chiuse di colpo, lo strinse al petto e poi, senza pensarci troppo, lo gettò nella spazzatura. Il cestino era un buco nero che inghiottì anni di paura. Un gesto minuscolo, ma che la lasciò tremante come dopo una lunga corsa.

Il Notturno era quasi finito. Nell’ultima nota c’era una dolcezza che non ricordava di aver mai sentito prima. Rimase in piedi, a guardare il cestino. Nessun applauso, nessuna redenzione, solo un silenzio che finalmente lo era davvero.

Per la prima volta dopo anni, l’8 non significava niente.

E fu quasi bello.

 

@G.L. Settembre 2023-25

 


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