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La Mantide Religiosa

di Giuseppe lonatro
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Pubblicato il 06/10/2025 11:21:29

 

Sinossi

 

(Si tratta di un dramma psicologico di una donna di nome Tecla, la quale è condannata a guardare in faccia la propria mostruosità. Per tanto cerca un atto di espiazione e liberazione per il male che ha fatto. Una profonda immersione nella psiche umana. (spero di esserci riuscito).

Mi chiamo Tecla. Ho divorato uomini come insetti. )

 

   Li ho amati e poi strappati a pezzi con la precisione fredda di chi sa come si infligge una ferita che non guarisce.

    Non sono mai stata una donna: sono stata fame. E adesso questa fame mi tiene sveglia in una notte senza luce.

   Mi sono alzata nel buio, le gambe pesanti, l’odore di terra bagnata che sa di tomba. Cammino tra alberi che sembrano croci, inciampo, cado, mi rialzo. Ogni passo è un ricordo che mi morde. Non c’è alba. Non ci sarà più alba per me.

    Davanti a me, piccole luci. Non lucciole, non angeli. Frammenti di coscienza. Le guardo, tese, e mi sento come una bambina davanti a un giocattolo che non può avere. Allungo le mani. Sorrido, ma il mio sorriso è un ghigno che sa di sangue. Le luci scappano, si fanno gioco di me. Io, la divoratrice, ridotta a mendicare bagliori nell’oscurità.

    Corro. Rido. Una risata secca, da follia. Poi cado, distesa nel fango come un animale che muore. Le luci mi guardano dall’alto, testimoni muti. Chiudo gli occhi, ma non c’è sonno.

    Quando li riapro, il tempo è fermo. La notte non passa, il vento non cambia. E allora le luci tornano. Da una di esse emerge un volto. Loris. L’unico che abbia provato a scavare in me per trovare qualcosa di umano. L’unico che ho finito per distruggere.

    Lo vedo, luminoso e muto. Gli occhi dolci, ma sono occhi di morto. Allungo una mano, le dita tremano.
«Loris», dico, e la mia voce è un sussurro di ferro.
    Ricordo le liti, le accuse, la gelosia che gli ho inoculato come veleno. Ricordo il colpo di pistola, la bocca piena di metallo, il sangue. Sono stata io a scavargli la fossa con le parole, con il mio atteggiamento. 

    Cammino ancora. Loris mi segue come un lume funebre. Io, la mantide, so cosa devo fare. Non per pentimento. Non per redenzione. Per ordine cosmico. La bestia deve divorare se stessa per smettere di esistere.

    Arrivo al dirupo. Il mare sotto di me urla. Il vento mi graffia la pelle. Mi volto. Loris è lì, non c’è odio nei suoi occhi. Non c’è perdono. C’è soltanto un addio senza voce.

Faccio un passo indietro. Corro verso il vuoto. L’urlo che mi esce dalla gola non è supplica: è il verso di un animale che finalmente capisce cosa ha fatto. Il mare sale verso di me. Loris svanisce.

    L’impatto è violento. Il freddo mi prende. Sento la coscienza spegnersi. E nell’ultimo istante, io, la mantide, smetto di divorare. Mi lascio mangiare finalmente.

   

    @G.L.2024 

 

 

 


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