È uno di quei giorni in cui la malinconia ti si siede accanto e decide che non se ne andrà fino a sera.
È l’alba, non ho dormito. Mio figlio è rientrato tardissimo… o prestissimo, dipende da come vuoi guardarla.
Non riesco a stare in casa. Ho bisogno d’aria, di silenzio, di qualcosa che somigli alla pace.
Il paese è immobile, le strade vuote. La luce ha quel colore ambrato che inganna, sembra bello tutto, ma non lo è. Palermo è a un passo, ma qui pare di stare altrove, in una cartolina che ha smesso di commuovere.
Cammino piano. Cerco il silenzio, e invece trovo il rumore del mondo che non muore mai: gli uccelli, centinaia, che cantano come se ci fosse ancora qualcosa da festeggiare.
Guardo le case, i giardini, le finestre. Le vite degli altri sono un mistero rumoroso. Io le spio, ma non per curiosità: per ricordarmi che esistono ancora persone che non si fanno domande.
Incontro un’anziana che lava la soglia di casa. Mi fermo, la saluto, dico due parole. Mi stupisco di me stesso: di solito passo oltre.
Arrivo in piazza. Quella piazza che tutti criticano, troppo moderna accanto alla chiesetta del Quattrocento. Mi viene da ridere: la fede è roba che si scrosta come l’intonaco, ma entro lo stesso.
Non credo in niente, ma oggi non ho di meglio da fare.
Guardo le vetrate colorate, la Madonna, e penso: “Proviamo anche con Dio, non si sa mai.”
Gli parlo con la voce di chi ha smesso di aspettarsi qualcosa:
“Fa che vada tutto bene per i miei figli. E se ti resta un avanzo, buttalo pure su di me. Se no, fa niente.”
Non è vero che fa niente. Ma chi sono io per pretendere miracoli da un Dio in cassa integrazione.
Mi siedo, resto in silenzio.
E come un idiota ripenso alla felicità.
Quando sono stato felice? Forse quasi sempre, forse mai.
La verità è che ho dato tanto, a volte troppo, e ho salvato poco.
Di un’intera vita spesa a tentare, non ho tenuto che qualche cicatrice.
“Chi lo sa? Domani è un'altro giorno…”
Già.
Ma domani non lo so. E non mi interessa più saperlo.
@G.L. 2016-2025
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