La mattina, i passi sulla terra battuta diventano il ritmo del mondo.
Non c’è nessun volto da incontrare, nessuna parola da scambiare: solo il mio respiro che si mescola al vento e si perde tra gli alberi.
La luce del sole, filtrata dai rami, è sufficiente. Non parla, non consola, ma so che c’è.
Devo correre. È un dialogo senza interlocutori, una ribellione silenziosa contro la solitudine umana.
Non cerco mani da stringere né sguardi che mi comprendano: il contatto umano è troppo complesso, troppo fragile.
Qui, invece, ogni foglia, ogni albero, ogni ombra, ogni nube, ogni respiro mi accetta senza chiedere nulla in cambio.
Mi sento libero. Non c’è bisogno di spiegare, di giustificare, di essere altro da ciò che sono.
La terra sotto di me e il cielo sopra di me bastano: testimoni della mia esistenza, senza giudizi.
Forse è questo il segreto di una corsa mattutina: un ritorno a ciò che è essenziale, una riconciliazione con il mondo, con la vita.
Non lotto. Non corro per arrivare da qualche parte.
Corro per sentirmi vivo, per sentirmi parte di qualcosa di più grande.
2025
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