Una visione. Stamattina l’ho visto.
Sembrava un dio stanco, sceso tra i mortali per una breve e bizzarra vacanza.
Quell’uomo era un inatteso contrasto: turbante color sabbia, completo doppiopetto nocciola, e uno skateboard sotto i piedi. La reincarnazione di un vecchio profeta indiano finito per sbaglio in una pubblicità della Nike.
Il mondo era un brusio lontano, un sottofondo confuso e inutile. Lui non era sopra, né sotto: era oltre, in quel punto dove il rumore del mondo non riesce ad arrivare.
Spuntò tra le carcasse d’acciaio nel traffico come un miraggio. Scivolava con una grazia assurda, come se l’asfalto gli obbedisse, come se tutto intorno a lui fosse solo un’eco sbiadita. Aveva lo sguardo di chi ha visto troppo e per questo ha smesso di avere paura.
Le auto lo sfioravano ma non lo toccavano mai. Mi sembrò che fosse il vento stesso a spingerlo, un soffio antico e lento come un vecchio blues che non vuole finire.
Lo vidi allontanarsi, sempre a bordo dello skateboard, mentre dal taschino o da chissà dove cominciava a lanciare oggetti per strada. Erano piccole bambole, nude, con i capelli arruffati. Rimbalzavano sull’asfalto e restavano lì, come sogni fragili dimenticati da una generazione ormai troppo stanca.
In quel momento l’aria si fece pesante, carica di un suono metallico e sfiatato che sembrava venire da un’armonica dimenticata.
Lui si voltò, mi salutò con un gesto quasi regale della mano, e sparì nel frastuono della città.
ottobre 2025
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