Il mare respirava piano.
«A cosa stai pensando?» chiese l’uomo.
Lei non rispose. Guardava l’acqua.
Il vento le spostava i capelli, ma non li sistemò.
«A niente» disse infine.
Poi, dopo un silenzio lungo: «O forse a tutto. A quei sentimenti che si confondono. Non sai più cos’è felicità, cos’è stanchezza. Tutto si mischia. Tutto diventa uguale.»
Lui la osservava. Il viso immobile, come se la paura di perderla lo avesse già pietrificato.
Lei si chinò, raccolse un sasso, lo gettò in mare.
«Vedi? Sparisce subito. È così la felicità. C’è, poi non c’è più.»
Lui abbassò lo sguardo. «Non sei felice?»
«Felice…» ripeté piano. «È una parola che suona falsa. Io cerco solo un momento di calma. Ma non dura mai. Scappa sempre.»
Il mare sembrava ascoltare. O forse fingeva.
Lei continuò: «Siamo fatti per cercare. Anche quando non c’è niente da trovare.»
Si fermò. Respirò piano.
«L’amore è lo stesso. Corri, ti butti, e poi ti accorgi che è già finito. Restano solo i resti. Come le maree dopo la tempesta.»
Lui voleva toccarle la mano, ma non lo fece.
«Penso a mio padre» disse lei. «Alla sua pelle bianca. Al silenzio. Alle uova di notte. Ai passi sul corridoio. A quando saltavo la corda. A quando ho creduto di scappare per amore, e invece stavo tornando indietro.»
La voce le si incrinò appena, ma non pianse.
Il tramonto si spaccava in due, come un’arancia stanca.
«Non c’è un senso» disse, quasi tra sé. «La vita non spiega niente. Esiste, e basta. Come questo mare che continua a rompersi su se stesso.»
Si alzò. Camminò verso la riva.
L’acqua era fredda, ma non fece un passo indietro.
Si immerse. Le onde la accolsero senza fretta.
Per un attimo sembrò sorridere. Poi chiuse gli occhi.
L’uomo rimase fermo. Guardava l’acqua, ma non la vedeva.
Il vento gli passò accanto come una mano estranea.
Non la chiamò.
Il mare, intanto, continuava a respirare.
2024
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