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I mangiatori di loto

Argomento: Psicologia

di Adolfo Sergio Omodeo
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Pubblicato il 08/03/2017 18:02:50

 

I MANGIATORI DI LOTO

 

 

 

Accade al fumatore di hashish di avvertire sensazioni varie e complesse, piacevoli o no: a volte una liberatoria esigenza di sputare, a volte nausea, spesso fame impellente, per lo più di dolci inzuppati, la tipica fame da sballo con cui si spera di compensare lo squilibrio fisiologico.

 

Queste reazioni hanno origine psicologica analoga: infatti l’hashish induce una sensazione fisica di benessere, calore, rilassamento che uno psicanalista considererebbe regressiva a esperienze della prima infanzia, rievocate sia piacevolmente sia angosciosamente suscitando delle difese. (Stafford sul tema nota il sottile piacere ipocondriaco attivato dai disturbi fisiologici dell’hashish). Così si possono avere anche regressioni conflittuali: chi nel relax del fumo teme la madre cattiva o chi per sensi di colpa mal tollererebbe un’esperienza piacevole, la svia evocando nausea e mal di testa. Infine lo sputare risulta il modo simbolico con cui ci si libera con sollievo di tutte le tensioni negative per meglio godere lo sballo.

 

Il Rose, neurofisiologo attento alle prospettive della droga, riferisce che i gatti e altri animali sono soggetti a fame e incertezze motorie dopo l’assunzione di hashish. Ciò lascerebbe pensare a un rapporto neurologico diretto dell’hashish sul sistema neurosimpatico, tuttavia pochi animali come i gatti sono terribili ladri di hashish e d’altronde regrediscono ad atteggiamenti da cuccioli allattati appena stimolati piacevolmente.

 

Sappiamo dalla psicanalisi kleiniana che la visione infantile della mamma è ben conflittuale: da un lato la madre buona che nel nostro caso dà spunto alla regressione delle zuppette, legata ad esperienze gratificanti dell’allattamento; d’altro lato la madre cattiva e punitiva che favorisce sensi di colpa e induce il rifiuto alimentare. L’etologia traccia ormai parallelamente correlazioni tra imprinting alimentari, scelte sessuali ed esperienze precoci. Spesso il fumo favorisce l’intesa tra amici. Nei rapporti tesi, il fumo diviene un rito coatto, come il vino imposto nel gioco della passatella, quando sembrerebbe adatto dire “Signore se è possibile allontana da me questo calice”. Il fumatore solitario dal canto suo vivrà pensieri ed emozioni piacevoli o spiacevoli a seconda della situazione. E’ peraltro stata notata la capacità dell’ hashish di ravvivare - anzi dar vita - a immagini, foto e ricordi, soprattutto erotici.

 

 

Dis/gusto

Le sensazioni dell’eroina, più ancora di quelle del fumo, suscitano complesse regressioni. Il flash è una repentina ondata di calore e di sensazioni spesso paragonate all’orgasmo, sembra attribuibile ad una facilitazione circolatoria analoga a quella suscitata da tecniche di rilassamento; segue a volte un vomito liberatorio e l’esigenza di grattarsi.

 

Si passa poi ad uno stato di contemplazione attenta che solo dall’esterno somiglia al sonno. Il benessere fisico tanto celebrato e criticato come illusorio, oltre a sensazioni di dormiveglia e di post orgasmo, favorisce sensazioni interne viscerali che spesso inducono un progressivo incurvarsi contraendo la pancia, autocompiacenza che l’amico Rizzino interpreta come analoga alle esigenze mistiche dell’orgasmo sterile, notando che la metafora “farsi di ero” evoca anche una simbologia autoriproduttiva. Lo svanire dello sballo, il dow, lascia sensazioni di malessere, brividi, dolori alla schiena e muscolari e accentua ogni disturbo prima anestetizzato, come per esempio il mal di denti, e suscita ansie e angosce di indefinite malattie e conseguenti inconsci sensi di colpa e deliri di abbandono. D’altronde chi è in astinenza è indotto a dire “Vedi come sto male” a chi nota invece l’espressione meno congestionata e più vivace.

 

In sintesi, il fumo suscita per lo più fame e accentua l’estroversione e l’interesse sessuale, l’eroina suscita spesso un vomito liberatorio, un certo disinteresse erotico e un fastidio per l’alimentazione superflua, poi ansie di malattie e sottili deliri di abbandono: regressioni conflittuali, perché rifiutano la dipendenza infantile dal cibo e dal contatto fisico. La dinamica dell’eroina sembra così per certi versi analoga a quella delle sindromi anoressiche con rifiuto del cibo e del sesso, che la psicanalisi interpreta come un rifiuto simbolico parallelo dello sviluppo fisico, sessuale e riproduttivo.

 

 

Le regressioni

 

Certe metafore sembrano esprimere i tabù sessuali impliciti nel gioco della droga: cocaina ed eroina sono dette Dama Bianca, quasi evocassero il pietrificante fascino della Regina delle Nevi di Andersen.

 

Nel ’73 comparvero scritte murali provocatorie  dei freak: my sister Morphine! Che sembra evocare un casto amore da piccola fiammiferaia. Cristiane F. dice che non erano fratello e sorella, ma si volevano bene come lo fossero stati, fratelli di ero, precisa lei, per spiegare la rinuncia sessuale.

 

Da tempo è noto un rapporto privilegiato tra il tossicomane e la madre, spesso immaginato, sperato o amplificato dal soggetto (quindi non attribuibile necessariamente alla madre). La nuova psicologia familiare sistemica considera il caso di droga come un equilibrio familiare in cui proprio il figlio, suscitando preoccupazione, tiene coinvolti due genitori altrimenti più distaccati. Così la nota frigidità sessuale e impotenza data dalla droga non è forse solo regressione ma pure sublimazione per l’ideale familiare. Dal punto di vista psicanalitico il ricorso alla droga consente di continuare - anche a costo di altri conflitti - la seduzione infantile verso il genitore, e di sviluppare un gioco simbolicamente analogo con il partner e non a caso la droga emerge più spesso in figli di coppie in crisi.

 

Secondo la recente visione sistemica, che relativizza e confronta il problema soggettivo, il figlio drogato assume generalmente la funzione di tener unita la coppia genitoriale, potenzialmente in crisi, dandole una preoccupazione unificante, strutturando quindi la famiglia con la propria regressione.

 

Un altro psicologo relazionale, il belga Elkain, notava un’altra situazione esclusivamente sociale che induceva la genitorializzazione  del figlio, negata solo mediante la droga. Quando l’immigrazione e l’ignoranza fanno dipendere culturalmente i genitori dai figli, la regressione della droga cerca tragicamente di riequilibrare il rapporto filiare. Va peraltro notato che i casi di incesto da me conosciuti sembrano favorire la droga, forse come tentativo di ridefinire il proprio ruolo filiale. Allora anche la prostituzione per droga sembra una dolorosa razionalizzazione che maschera la denuncia del torto subito.

 

 

Tanatos

 

Freud (in Al di là del principio del piacere) notava che la regressione alla madre è uno stato di beata sicurezza che peraltro evoca angosce di morte. Di qui l’esigenza di rituali di tipo ossessivo che simbolicamente ammazzino il tempo: i riti che vanno dal classico gioco del nascondino descritto da Freud, ai rituali politici descritti da Facchinelli per scongiurare la morte di una Era (La freccia ferma, Edizioni L’erba voglio) fino agli aspetti rituali del bucare e forse di decidere di smettere.

 

Secondo Freud le regressioni quindi comportano angosce e pulsioni di morte evocate proprio dalla ricerca di una calma inanimata, e piccoli riti quotidiani di cui quasi ognuno si compiace hanno la funzione di dimostrare che tutto si ripete e che quindi è possibile un ritorno di nostre sicurezze come una volta era possibile far riapparire la mamma.

 

La psicanalisi stessa si presenta come esperienza regressiva ripetitiva in cui ci si confronta con le ambiguità della propria storia e si decolpevolizzano  le proprie inibizioni. Così la regressione delle psicoterapie in cui si ricerca se stessi può non essere ne banale ne facile, ed è forse parallela e analoga a quella della droga, come dice Watts.

 

Tornando alle droghe possiamo quindi interpretare alcune componenti rituali già note, come riti che scongiurano l’ansia ritualizzandola.

 

Fumare hashish in compagnia è codificato nelle funzioni e nei ruoli: chi offre il fumo ha diritto al privilegio di accendere, il che con la brusca e forzata combustione aumenta l’effetto. Chi rolla, spesso un altro per fugare il sospetto di parsimonia, può aver concessa l’accensione. Attenzioni, corteggiamenti e sgarbi sono tuttavia possibili nel giro della canna, in piccoli errori di giro. La decisione di spegnere lo spino richiede un ruolo di autorità. Gli ultimi tiri contro il filtro di cartone, detti i tiri della morte o della strega, vengono commentati per prevenire le aspettative altrui.

 

Anche per abuso di droghe occorre riprendere il concetto di regressione. Freud, pur considerando e accettando il bambino visto come un perverso polimorfo, definisce la normalità adulta come una sessualità riproduttiva e/o sublimata. D’altronde critica e respinge come regressivi piaceri come la sessualità orale. La confluenza di psicanalisi e antropologia svela tuttavia in qualunque adulto le potenzialità del perverso polimorfo, in momenti come il carnevale, il giocare coi figli, le vittorie politiche o sportive.

 

 

Le stimmate

 

Esistono segni da cui riconoscere il drogato? Come sapere se il figlio, l’allievo, il partner o l’amico si buca? Tre sembrano le stimmate inequivocabili. Il grattarsi, la pupilla ristretta, i segni dell’ago.

 

In ottica lombrosiana il bestiale grattarsi sembra svelare una regressione scimmiesca, e analogamente la pupilla ristretta  esprime indisponibilità e sentimenti ostili inadatti al commercio umano (tant’è che sistematicamente la grafica pubblicitaria impone larghe pupille alle modelle). Altri e più essenziali segni vengono forse letti ma taciuti. In caso di morte da overdose sembra che il timore di una resurrezione messianica vieti di far sapere e capire l’esito delle autopsie: nelle notizie dei giornali e nel rimpianto degli amici restano così confusi i suicidi, gli omicidi e gli incidenti, impedendo a seguaci e amici di trovare senso di una vita gettata nel mondo.

 

Venendo al significato relazionale delle stimmate del drogato, sembra che per definizione il tossicomane non riconosciuto tale possa evitare parte dei condizionamenti indotti dal ruolo; solo se connotato come drogato può dispiegare in famiglia o con gli altri la funzione.

 

Teoricamente e praticamente sembra difficilmente gestibile a un tempo il ruolo paradossale di poliziotto e confidente. Tale stallo tende a emergere nella disintossicazione con metadone, farmaco oppiaceo offerto dai centri antidroga come succedaneo dell’eroina.

 

Per conoscere i livelli di consumo si usa la prova oggettiva dell’esame dell’urina. Ciò induce spesso l’utente che chiede il servizio a un aumento forzato di eroina prima del prelievo in visita di maggiori dosi di farmaco. Tuttavia nel breve (!?) volgere di tempo necessario alle analisi, il gioco tra abuso e astinenza rischia di portare situazione impreviste e ingestibili, dall’ overdose, ai debiti, ai ricatti conseguenti.

 

Anziché suggerire ipotesi per conoscere il drogato con l’improbabile obiettivo di essergli d’aiuto, converrebbe suggerire la riservatezza: analogamente la terapia di fenomeni regressivi come l’anuresi di una bella ragazza timida e mammona si risolve suggerendole di tenere segreti in famiglia progetti amorosi e pipì notturne.

 

 

L’ultima cena

 

Da un punto di vista psicodinamico il piacere regressivo della droga si differenzia tra hashish ed eroina per diverse regressioni alimentari che evoca: la fame infantile del fumo e le angosce anoressiche dell’eroina (mi si fa notare peraltro una propensione degli eroinomani per un’alimentazione raffinata). Anche il gergo della droga presenta una serie di metafore che rimandano a una varietà di regressioni.

 

L’hashish è detto in inglese shit (merda) e un certo marocchino è detto chocolat (cioccolato). In italiano troviamo il termine caccola per una stecchetta apprezzata e non grande, termine affettivamente carico che evoca a un tempo regressioni orali, anali e piaceri nasali. Il termine “farsi” sottintende di ero, ma evoca fantasie sessuali autogenerative. Chi vive per farsi è detto in inglese junjie (rifiuto). In Italia il “farsi una pera” rimanda all’omonimo rito anale purgativo, e sempre in Italia dopo una volontaria astinenza si dice sono pulito…

 

Dal termine “strafatto” deriva “strafattura” che sembra evocare imprevedibilmente le fatture della temuta cucina delle streghe.

 

Di tali regressioni, perverse o polimorfe, l’antropologia sembra rivelare i complementari aspetti sociali. Levi Strass nota che la struttura simbolica dei miti lega in una serie di chiasmi elementi e attributi tra loro spesso contrastanti, fissando così nessi e conflitti di una  cultura. Nota quindi il nesso tra cibi bolliti con acqua e riti di intimità, e tra cibi arrostiti e riti verso la natura e gli stranieri, fino al purissimo esempio del fumo del calumet della pace. Un canto pellerossa dice senza amichevoli infingimenti: quello che hai fatto è brutto, è brutto, è brutto; ora fumiamo insieme, il Fumo è sopra di noi.

 

All’opposto si può notare che l’eroina con la sua preparazione con acqua calda e limone rimanda alla dimensione dei riti di intimità dei cibi bolliti. Non a caso l’eroinomane può rinunciare al fumo, ma verso il joint  spicca, finchè se ne esclude, per scarsa cortesia: non rispetta il giro, chiede lui di accendere o trattiene lo spino, mostrando di concepirlo egoisticamente solo come pallido sostituto dell’ero.

 

Derivazioni simboliche di questi intrecci si riconoscono in situazioni di confronto interculturale ritualizzate quando lo straniero viene visto sia come simile sia come cacciagione, terreno spontaneo dei riti antropofagici. Sul confine della droga, Il pasto nudo di Burroughs rilegge la sua vicenda di tossico, come un circo cannibalico offerto alla società perbene. Così un oste, come un orco, interloquiva con presunti spacciatori, invitandoli infine a una rituale cena di rispetto reciproco: se li trovo li abbatto con un solo pugno… peso troppo, dovrei mangiare meno, ma me magnaria un puteo, vivo! (mangerei un bambino vivo).

 

Altro rito di confine il funerale della piccola tossicomane (stridente solo il Pater Noster per la sua fuga da casa incalzata dal patrigno a 12 anni). Il prete rievoca la sua morte per droga come per Cristo la spugna d’aceto. Segue la comunione di vino e ostie tra viventi, e l’incenso per la piccola straniera finché parta. Parallelamente gli scandalosi doni rituali di hashish nella bara e la sua comunione di eroina con gli zombi strafatti.

 

 

Cfr. sull’argomento

 

Al di là della vasta e travagliata bibliografia sulla droga indico i testi che favoriscono un’analogia tra uso di droga e fenomeni alimentari, da quelli psicologici e a volte psichiatrizzanti, a quelli socioantropologici. Quanto all’emancipazione dalla droga essa ha per lo più carattere di svolta spontanea, tuttavia contro il noto pregiudizio che vuole si passi dallo spino all’eroina, molte redenzioni sono attribuite dai protagonisti alla socializzazione del fumo.

 

Sugli aspetti regressivi della droga vedasi in chiave psicanalitica Claude Olivenstein, Il destino del tossicoman, Borla e in chiave relazionale il seminariodi Stanten, Heroin my baby, Fondazione C. Erba, Milano (ciclostilato); testi di cui il primo è più attento a vissuti e fantasie individuali, il secondo al cosiddetto invischiamento di ruoli tra genitori e figli. Per l’interpretazione della regressione e dell’oralità sia normale che patologica elaborata da Freud, vedi Tre saggi sulla sessualità, Boringhieri; sulla tendenza a compensare l’ansia con regressioni e ritualizzazioni vedi Nevrosi sintomo e angoscia, Boringhieri, e infine  Al di là del principio del piacere, Boringhieri, su come la regressione evochi sensazioni di morte.

 

Il punto di vista relazionale decodifica i disturbi alimentari rispetto al contesto: si veda l’ormai classico M.S. Palazzoni, L’anoressia mentale, Feltrinelli.  Per l’interpretazione e la gestione relazionale del rapporto tra ansie e ritualizzazioni si veda: A.J. Ferriera, Mito familiare e omeostasi, AA. VV., Famiglia e comunicazione, Feltrinelli, nonché M.S. Palazzoni e AA.VV., Paradosso e controparadosso, Feltrinelli (cap. 9, I rituali familiari). Analogo distacco, brusco ed essenzialmente spontaneo da ruoli e simbologie è detto psicanaliticamente acting out; sulla sua funzione terapeutica nel lavoro istituzionale vedi numero monografico di “Prospettive psicanalitiche”n. 1, 1984, Il Pensiero Scientifico.

 

Dal punto di vista dell’antropologia, la simbologia dell’alimentazione viene rapportata ai tabù verso l’animale totemico, alla meditazione tra natura e cultura e tra gruppi umani diversi; vedi: C. Levi Strass, Il crudo e il cotto, Saggiatore, opera classica dello strutturalismo applicato all’antropologia; e M. Harris, Cannibali e re, Feltrinelli, tendenzialmente più materialistico.

 

Quanto alle fantasie sociali sulla regressione delle droghe vedasi per marijuana: Dario Fo, La marijuana della mamma è più bella, Bertani; e per una visione cannibalica dell’ero W. Burroughs, Il pasto nudo, Sugarco.

 

Per l’economia delle droghe, domestica o meno, e per le analogie con il proibizionismo vedi L.P. Esposito e M. Sinibaldi, Marijuana in cucina, Stampa Alternativa, e B. Inglis, Il gioco proibito, Mondatori.

 

Saggio pubblicato su "La Gola" nel gennaio del 1985.

 

                                                                                                      Adolfo Sergio Omodeo

 

 

 


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