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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Ritorno ad Ancona e altre storie

Racconti

Lorenzo Spurio – Sandra Carresi
Lettere Animate

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 09/10/2012 12:00:00

Una raccolta di tre racconti, scritta a quattro mani, per parlare di sentimenti, traducendoli in tessere musive, piccoli frammenti di esistenze raccolti minuziosamente per dare vita e corpo alle moltitudini di sentimenti che albergano in un cuore. Quando si parla di sentimenti, si sa, la banalità o il grottesco, attendono acquattati – con ghigno ed artigli di belva – dietro ogni angolo, pronti a divorare in un boccone libro ed autore che troppo indulgono in sdolcinatezze, o particolari anatomici, facendo scomparire l’opera al lettore, il quale si troverà a sfogliare un libro vuoto, un catalogo di banalità che scomparirà dalla sua mente man mano che gli occhi avranno terminato di compitarne il testo. In questi racconti, invece, le belve restano a bocca asciutta, la trama e l’ideazione dei tre racconti non risentono della sindrome della banalità. I due autori (mi piace immaginarli anche amici) scelgono di raccontare il nascere e il crescere dei sentimenti dal punto di vista più semplice, e per questo più complicato: immersi nella quotidianità. Il racconto scorre come ticchettando sulle lancette di un orologio, gli autori scandiscono il volgere di minuti e giornate, creando così la fitta e solida trama sulla quale poi il ricamo dell’amore compie il resto. Non per magia, ovviamente, ma grazie alle sapienti pennellate dei due, al loro sezionare la spinta di un sentimento nei passi che lo costruiscono, studiandone e tracciandone la traiettoria, sia che giunga al bersaglio, sia che dopo arcuata e mirabile traiettoria il dardo si conficchi nel semplice e poco glorioso prato. Un parlare di sentimenti quello del duo Spurio/Carresi che nasce dalle cose semplici, dai gesti quotidiani, dal vivere in semplicità dei giorni nostri e comuni. Un linguaggio quasi minimalista fatto di semplici pensieri, e di altrettanto semplici gesti: un caffè, le piante da bagnare, una vacanza, i giorni di scuola dei figli. Nei gesti sono racchiusi i sentimenti, non viceversa, non sono grandi gesta dettate dai sentimenti – quelle dei protagonisti – ma semplici atti del vivere quotidiano, sul quale sboccia e si irradia l’amore. Tre trame sincere ed avvincenti, narrate con linguaggio semplice ed immediato, senza ricorrere a frasi roboanti, o a scenici artifizi, che scoprono quella parte tanto frequentata quanto sconosciuta dell’essere umano: il cuore. Ma oltre che di trama anche di parole è fatto un libro, e in questo caso sembra che qualcosa sia andato un pochino storto. Forse non vi è stata una maniacale rilettura del testo, o forse gli autori hanno voluto mettere totalmente in risalto la forza del pensiero senza curare la forma dello scritto. Questo non sono in grado di saperlo, tuttavia la mia opinione di lettore è che i troppi scivoloni del testo riescano alla fine ad irritare l’occhio che legge, ponendo in un cono d’ombra il testo che ne risulta così svilito. So che è abbastanza comune trovare piccoli refusi di stampa ma quando la collezione si ingrossa sorgono alcune domande, tra cui la più banale: ma nessuno ha letto il manoscritto? Anche perché se qualcuno l’avesse fatto si sarebbe accorto che è impossibile andare da Campo dei Fiori a via Traspontina con la metro, o che un personaggio nel volgere di poche pagine si trasforma da ciccione a macilento, o che la parola melangiate forse ha un sinonimo dal suono più armonioso, che la macchinazione non è una produzione o che una open house non è la stessa cosa di un open space. E così via, tra consecutio non rispettate, spazi mancanti, date che slittano o frasi ripetute – si direbbe – col copia e in colla, giù giù sino a definire “discutibile” il metodo Montessori, ma quest’ultima è solo un’opinione ed esula dal discorso sviste. Insomma un ottimo libro caviardé – per approfittare stiracchiandolo un po’ di un termine caro alla diplomazia zarista – da una serie di trabocchetti in cui il lettore rischia di deragliare dalla lettura, soprattutto nel primo dei tre racconti, che risulta quello più raffazzonato. Forse una rilettura più attenta avrebbe potuto donare al lettore un piacere più sopraffino. E queste sono semplicemente opinioni personali.



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