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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Come parlavamo

di Alberto Sonego
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Pubblicato il 29/03/2012 22:28:53

Spunti per invogliare ad un viaggio nella Grecia arcaica.




“Che ruolo ha il linguaggio nella società di oggi?”: in un modo o nell'altro, è una domanda che tutti ci poniamo. Gli SMS, le chat, le tecnologie più avanzate fornite dai sistemi operativi dei PC; la comunicazione, il modo con cui avviene, i soggetti che coinvolge: sono tutte questioni che ci stanno a cuore, perché ci coinvolgono direttamente, perché raffigurano (talvolta in semplici gesti, un batter di tasti) la viva espressione della nostra contemporaneità.
Certo, è un problema la cui complessità - per dirla matematicamente -è direttamente proporzionale alla curiosità che ci muove verso lo stesso, e si presenta a noi con una forza tale che ogni altra questione storico-culturale passa in secondo piano. Allora che utilità ha studiare l'uso e le modalità del linguaggio nella Grecia arcaica? A prima vista sembra una ricerca fine a se stessa, un intento dilettevole il cui fine è una pura erudizione. Ma se analizziamo il problema da vicino, le cose non stanno esattamente così.
Dirci eredi e discendenti della cultura greco-latina, di quel retaggio culturale che formandosi dall'VIII secolo si è rafforzato, modificandosi, attraverso l'Ellenismo non può lasciarci indifferenti. Ammettere queste radici che dalla sfera prettamente letteraria si sono consolidate, nel corso dei secoli, entro tutti gli ambiti dell'umanità occidentale (politica, società, matematica, psicologica, ecc..) ci obbliga ad una ricerca esattamente in quel passato che troppo spesso tendiamo a dimenticare (o che, sovente, giudichiamo noioso e privo di fascino). Capire per comprendere: un'espressione banale ma mediante la quale non solo riabilitiamo tutto questo passato, ma lo rapportiamo direttamente al presente. Sicuramente non si avrà mai notizia di un ateniese del VI secolo che invia un SMS a sua moglie confermandole che “cmq stasera torno + tardi xk ho un simposio”; ed è altrettanto certo che nessun documento ha mai confermato un'originale ipotesi quale quella di spettacoli tragici intervallati dalla pubblicità di qualche mercante di anfore. Eppure SMS e media in generale, oggi, non rappresenterebbero nulla senza quella solida base storica che è quella in cui tali forme di comunicazione, quali linguaggi, affondano le loro origini. Un messaggio in Facebook vuole dirci qualcosa, così come una réclame non è una semplice successione d'immagini; ogni figura rivolta al grande pubblico ha alle sue spalle una strategia comunicativa (un trend di riferimento), la quale ha sua volta sì: ha una storia.
Ma cosa c'entra tutto questo con al poesia arcaica e con i poemi epici? Presto detto: nella misura in cui noi indaghiamo i mezzi di comunicazione interroghiamo, nemmeno troppo implicitamente, il loro ruolo, il compito a cui assolvono.
E così le poesie dei lirici (tra gli altri: Alceo, Saffo) e degli elegiaci (Archiloco, Solone) altro non sono che veicoli di significati. E per quanto possa sembrare banale, molte volte lo si perde di vista: troppo concentrati sulle emozioni che questi scritti riescono ad ispirarci, o al contrario su studi filologici asfissianti, ci scordiamo la funzione a cui sono preposti, per la quale sono stati concepiti. Saffo non scriveva per se stessa, né per lasciare una traccia della propria abilità letteraria nella storia: i frammenti che ci sono pervenuti delle sue opere mostrano chiaramente che ognuna di queste rispondeva ad una situazione particolare. Ad un'occasione. E così vale anche per i poemi epici, i quali venivano recitati in pubblico al fine di educare e formare l'uditorio, oltre che per compiacerlo (ne sono testimonianza quei passi dell'Odissea in cui l'aedo canta dell'aedo: uno straordinario esempio si mise en abym letteraria). E così tutta quella letteratura derivante dalla tradizione orale dell'età arcaica ci mostra che ogni genere è collocato in un contesto ben preciso; che ogni opera esaurisce un compito, un ruolo; che ogni testo, scultura e canto possiedono un'identità che va oltre la tecnica, oltre il metodo di composizione ed esecuzione.
La Grecia arcaica, insomma, utilizzava dei mezzi (quali la poesia e l'epica sopra citate) per trasmettere dei messaggi, dei valori, dei significati. Guardare a questa tradizione, oggi, significa allora riappropriarci di conoscenze che ri-conferiscano al linguaggio le sue proprietà specifiche, tipiche – oserei dire – caratterizzanti. E qui il post-moderno non può farci davvero nulla, perché riusare, riutilizzare e riciclare risultano essere perfettamente in disaccordo con il concetto di occasionalità dal quale, dopo tutto, la nostra stessa civiltà proviene. Spunti per invogliare ad un viaggio nella Grecia arcaica.

“Che ruolo ha il linguaggio nella società di oggi?”: in un modo o nell'altro, è una domanda che tutti ci poniamo. Gli SMS, le chat, le tecnologie più avanzate fornite dai sistemi operativi dei PC; la comunicazione, il modo con cui avviene, i soggetti che coinvolge: sono tutte questioni che ci stanno a cuore, perché ci coinvolgono direttamente, perché raffigurano (talvolta in semplici gesti, un batter di tasti) la viva espressione della nostra contemporaneità.
Certo, è un problema la cui complessità - per dirla matematicamente -è direttamente proporzionale alla curiosità che ci muove verso lo stesso, e si presenta a noi con una forza tale che ogni altra questione storico-culturale passa in secondo piano. Allora che utilità ha studiare l'uso e le modalità del linguaggio nella Grecia arcaica? A prima vista sembra una ricerca fine a se stessa, un intento dilettevole il cui fine è una pura erudizione. Ma se analizziamo il problema da vicino, le cose non stanno esattamente così.
Dirci eredi e discendenti della cultura greco-latina, di quel retaggio culturale che formandosi dall'VIII secolo si è rafforzato, modificandosi, attraverso l'Ellenismo non può lasciarci indifferenti. Ammettere queste radici che dalla sfera prettamente letteraria si sono consolidate, nel corso dei secoli, entro tutti gli ambiti dell'umanità occidentale (politica, società, matematica, psicologica, ecc..) ci obbliga ad una ricerca esattamente in quel passato che troppo spesso tendiamo a dimenticare (o che, sovente, giudichiamo noioso e privo di fascino). Capire per comprendere: un'espressione banale ma mediante la quale non solo riabilitiamo tutto questo passato, ma lo rapportiamo direttamente al presente. Sicuramente non si avrà mai notizia di un ateniese del VI secolo che invia un SMS a sua moglie confermandole che “cmq stasera torno + tardi xk ho un simposio”; ed è altrettanto certo che nessun documento ha mai confermato un'originale ipotesi quale quella di spettacoli tragici intervallati dalla pubblicità di qualche mercante di anfore. Eppure SMS e media in generale, oggi, non rappresenterebbero nulla senza quella solida base storica che è quella in cui tali forme di comunicazione, quali linguaggi, affondano le loro origini. Un messaggio in Facebook vuole dirci qualcosa, così come una réclame non è una semplice successione d'immagini; ogni figura rivolta al grande pubblico ha alle sue spalle una strategia comunicativa (un trend di riferimento), la quale ha sua volta sì: ha una storia.
Ma cosa c'entra tutto questo con al poesia arcaica e con i poemi epici? Presto detto: nella misura in cui noi indaghiamo i mezzi di comunicazione interroghiamo, nemmeno troppo implicitamente, il loro ruolo, il compito a cui assolvono.
E così le poesie dei lirici (tra gli altri: Alceo, Saffo) e degli elegiaci (Archiloco, Solone) altro non sono che veicoli di significati. E per quanto possa sembrare banale, molte volte lo si perde di vista: troppo concentrati sulle emozioni che questi scritti riescono ad ispirarci, o al contrario su studi filologici asfissianti, ci scordiamo la funzione a cui sono preposti, per la quale sono stati concepiti. Saffo non scriveva per se stessa, né per lasciare una traccia della propria abilità letteraria nella storia: i frammenti che ci sono pervenuti delle sue opere mostrano chiaramente che ognuna di queste rispondeva ad una situazione particolare. Ad un'occasione. E così vale anche per i poemi epici, i quali venivano recitati in pubblico al fine di educare e formare l'uditorio, oltre che per compiacerlo (ne sono testimonianza quei passi dell'Odissea in cui l'aedo canta dell'aedo: uno straordinario esempio si mise en abym letteraria). E così tutta quella letteratura derivante dalla tradizione orale dell'età arcaica ci mostra che ogni genere è collocato in un contesto ben preciso; che ogni opera esaurisce un compito, un ruolo; che ogni testo, scultura e canto possiedono un'identità che va oltre la tecnica, oltre il metodo di composizione ed esecuzione.
La Grecia arcaica, insomma, utilizzava dei mezzi (quali la poesia e l'epica sopra citate) per trasmettere dei messaggi, dei valori, dei significati. Guardare a questa tradizione, oggi, significa allora riappropriarci di conoscenze che ri-conferiscano al linguaggio le sue proprietà specifiche, tipiche – oserei dire – caratterizzanti. E qui il post-moderno non può farci davvero nulla, perché riusare, riutilizzare e riciclare risultano essere perfettamente in disaccordo con il concetto di occasionalità dal quale, dopo tutto, la nostra stessa civiltà proviene.

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