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Genio e Morbus sacer

Argomento: Scienza

di guido brunetti
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Pubblicato il 14/12/2020 17:51:07

Guido Brunetti

GENIO E MORBUS SACER

1. Celebri personaggi e morbo sacro

2. L'esperienza dolente ed esaltante di Dostoevskij

3. Concetto di morbo sacro

4. Il rapporto medico-paziente, all'inizio di ogni successo terapeutico

5. Il medico, una figura in dissolvenza

 

1. CELEBRI PERSONAGGI E MORBO SACRO

 

Artisti, scrittori, poeti, filosofi, santi, imperatori e molti altri celebri personaggi hanno convissuto con l'esperienza del "Morbus sacer" (morbo sacro, epilessia) come lo definivano i greci. Citiamo, tra gli altri, San Paolo e Giulio Cesare, Maometto, Socrate, Pitagora e Aristotele, Alessandro Magno, Petrarca, Napoleone, Leopardi, Flaubert, Van Gogh, Byron.

 

Compare nelle opere di Dante, Shakespeare, Dikens, Dostoevskij. Nel XXIV Canto dell' Inferno, il sommo poeta descrive una crisi convulsiva. Lo scrittore inglese a sua volta ne parla nel "Giulio Cesare" e nella tragedia "Otello". Riferendosi all'imperatore romano, scrive: "E' caduto a terra nel foro, con la schiuma alla bocca ed è restato senza favella".

 

2. L'ESPERIENZA DI DOSTOEVSKIJ

 

Ma è stato Dostoevskij a raccontare le sue sofferte esperienze  in modo impressionante e drammatico, caratterizzate da spaventose e insieme meravigliose senzazioni. Nella sua opera "L'idiota", il grande autore scrive: "...improvvisamente gli si spalancò davanti un abisso: una straordinaria luce interiore gli illuminò l'anima. Quella sensazione durò forse un mezzo secondo, nondimeno, egli si ricordò in seguito con chiara consapevolezza il principo, la prima nota dell'urlo terribile che gli sfuggì dal petto...Poi, la sua coscienza in un attimo si spense e subentrò una tenebra fitta. Era stato colto da un attacco di epilessia".

 

Attraverso le parole del mite principe Myskin, Dostoevskij continua a raccontare il proprio rapporto con un male che lo accompagnò per tutta la vita. Un disturbo che Freud, con superficialità e inconsistenza neuroscientifica, definì (lui neurologo!) il  sintomo di una nevrosi, attribuibile al complesso edipico.

L'autore paragona il momento antecedente all'attacco  epilettico ad una "visione paradisiaca". Un momento "estatico", arrecando al paziente una visione di "grande bellezza". L'effetto che esso produce- aggiunge- "risulta sommamente armonico e sublime". 

 

Sono pagine di grande intensità emotiva. In mezzo alla tempesta e alla scarica dei neuroni, Dostoevskij sembra attraversare anche momenti di "estrema calma", come vedremo di seguito.

"Ad un tratto, nella tristezza, nel buio e in uno stato di angoscia e oppressione, il suo cervello- scrive- sembrava accendersi di colpo, tendendo in un estremo impulso tutte le proprie energie vitali. In quell'attimo, che aveva la durata di un lampo, la sensazione della vita e il senso dell'autocoscienza sembravano decuplicare  di forza. Il cuore e lo spirito si illuminavano di una luce straordinaria. Tutti i dubbi, tutte le ansie e le agitazioni- aggiunge l'autore- sembravano quietarsi di colpo, si risolvevano in una calma suprema, piena di armonica e serena  letizia, di speranza, di ragionevolezza e di penetrazione suprema".

 

E' un accendersi di sensazioni, sentimenti, passioni, afflizioni. E' un Dostoevski che si rivela un grande psicologo. Possiede la straordinaria, sottile e profonda capacità di rappresentare tutti i lati più oscuri e interiori dell'animo umano, di spiegare l'ontologica finitezza dell'uomo, le sue pulsioni istintuali, la sua complessità e i suoi numerosi conflitti.

Mykin soffre di attacchi del morbo sacro, ma è un principe "buono". Raffigura l'uomo "pienamente splendido" circondato da un mondo popolato da uomini e donne che invece vivono nella "tenebra e nel loro male interiore, e che da quello "splendore" sono attratti e respinti al tempo stesso. Contro il dolore radicale dell'essere umano e contro un mondo dilaniato dalle passioni e dall'irrompere degradante dei tempi nuovi, Myskin vive il lato estatico, lo splendore "dell'istante", che è il tempo delle crisi epilettiche. Lo splendore di Myskin è quella bellezza che  "salverà il mondo".

 

Oltre al principe Myskin, Dostoevskij ha descritto altri personaggi affetti da crisi epilettiche, come Smerdiakov nei "Fratelli Karamozov", Nellie in "Uminiati e offesi", Kilrillov ne "Gli ossessi" e Ordynov in "La padrona".

 

3. CONCETTO DI MORBO SACRO

 

Genio e morbo sacro, dunque. Un binomio ricco di feconde, meravigliose prospettive e di sorprese.

Giunti a questo punto, dobbiamo definire il concetto di epilessia. E' una sindrome caratterizzata da un "polimorfismo sintomatologico"(Vizioli), improvvisa perdita di coscienza (dal greco epilepsìa, attacco improvviso), crisi convulsive e da una serie di fenomeni motori, sensitivi, neurovegetativi e psichici. Si tratta di un disturbo del sistema nervoso, la conseguenza di un disordine parossistico dell'attività elettrica del cervello, provocato da una scarica esagerata di neuroni. E' stato Ippocrate a riconoscerne per primo l'origine cerebrale.

 

Le crisi sono polimorfe e spaziano dalla semplice assenza (pochi secondi di perdita di coscienza) alle mioclonie (brevi scosse muscolari), alle crisi convulsive della durata di qualche decina di minuti con irrigidimento degli arti e del tronco, bava alla bocca, caduta a terra.

 

Si distinguono due tipi fondamentali di epilessia: il grande male e il piccolo male. Essa insorge più di frequente durante l'infanzia, ma può comparire anche durante l'età adulta. Elementi principali sono l'accessualità (compare all'improvviso), la transitorietà della crisi e la tendenza a ripetersi.

L'accesso compare saltuariamente con frequenza varia da soggetto a soggetto, spesso preceduto da segni premonitori e dalla cosiddetta aura (malessere, cefalea, malumore, allucinazioni) o parastesie, come formicolii, solletico, intorpidimenti.

 

Molte le definizioni, come ad evidenziare la sua inafferrabilità: "morbus sacer", "morbus demonicus", "morbus astralis", "morbus herculanus". Sono denominazioni che  indicano  connotazioni magico-religiose, a denotare cioè come gli dei, i demoni e gli astri fossero considerati i responsabili del disturbo.

A differenza di tutte  le altre patologie, l'epilessia- afferma Raffaello Vizioli- è un "pattern", un modello di comportamento preformato del sistema nervoso centrale. Questo significa che, date determinate condizioni, "ogni essere umano può presentare una crisi epilettica". Questa sindrome inoltre presenta una grande varietà di cause, come trauma alla nascita, traumi cerebrali, fattori genetici, ecc.

 

Circa la terapia, dobbiamo precisare che sono numerosi i farmaci indicati per la cura dell'epilessia. E' stato osservato poi che una dieta ricca di lipidi, povera di carboidrati, ipocalorica e con scarso contenuto di glucosio è in grado di ridurre le crisi.

Nella terapia antiepilettica occorre eliminare assolutamente o per lo meno ridurre drasticamente l'assunzione di bevande alcoliche, evitare la perdita di sonno e i cibi piccanti. Importante, infine, non interrompere bruscamente la terapia in corso.

La formazione del medico infine -cultura e professionalità- è "essenziale" per diagnosticare in modo esatto una delle malattie più complesse del sistema nervoso, per eliminare tabù e pregiudizi e per consentire al soggetto una normale vita di relazione. Questo significa che occorre "evitare di medicalizzare un paziente che  si vorrebbe sempre meno medicalizzato" (Vizioli).

 

4. IL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE, ALL'INIZIO DI OGNI TERAPIA

 

 Come in tutte le patologie, anche in quella epilettica risulta fondamentale il rapporto medico-paziente.

In realtà, l'irrompere della tecnica in medicina sta minacciandi di "oscurare" l'importanza di questo rapporto e la considerazione del malato come persona. Il medico è chiamato a sviluppare la sua capacità empatica e di ascolto, mostrando di essere capace di gestire non solo gli aspetti tecnici della medicina, ma anche quelli che includono il rapporto umano. Che per noi, d'accordo con autorevoli studiosi, è la base del successo di ogni terapia.

 

Occorre allora recuperare la dimensione umana della medicina, delle malattie e dei malati.

L'ascolto del medico richiede partecipazione emotiva, capacità di tacere e di interloquire "soltanto al momento giusto e nel modo giusto" (Cagli). La saggezza ha una funzione maieutica di ascolto e di attenzione, di analisi e di conoscenza interiore, di controllo dell'Io e delle proprie emozioni, degli stati d'animo e del mal di vivere.

Una parola non gentile, infelice, pronunciata dal medico può causare "ferite che sanguinano". Una parola gentile, felice, invece, può generare benessere fisico e mentale. Nessuna parola deve arrivare sulle labbra che prima non sia stata nel cuore (Gide).

La gentilezza è saggezza, qualità estranea nell'epoca in cui viviamo.

Non c'è cura, cura dell'anima (mente) e cura del corpo se non è "intessuta" di saggezza e dunque di gentilezza.

 

5. IL MEDICO, UNA FIGURA IN DISSOLVENZA

 

I concetti finora esposti concordano con i dati emersi dalla ricerca di autorevoli studi che mostrano come la medicina moderna abbia acquistato in tecnologia quello che ha perduto in "umanità".

Un cambiamento traumatico.

Una svolta antropologico-medica.

Una barriera calata tra medico e paziente.

Evidenziamo un paradosso presente nella medicina: quello di dover rendere "umano" ciò che che umano dovrebbe essere per statuto e definizione e che invece si ammette di essere "scaduto" a "disumano" qual è una cura stravolta in "incura" (Cosmacini).

E' la disumanizzazione della medicina.

I medici appaioni ansiosi, insicuri, frustrati e dunque aggressivi, rigidi, scostanti, algidi. Sono tutti sintomi di meccanismi di difesa per controllare uno stato di angoscia e insicurezza e contro una minaccia (inconscia) al proprio equilibrio psico-emotivo.

Bonomia, serenità, affabilità, gentilezza, empatia: qualità invocate, ma scomparse.

 

Il medico? Una figura consumata, in dissolvenza, talora "superstite" in qualche sconosciuto esemplare. E' la rinuncia alla propria vocazione "umanologica". Un medico burocrate, "somatologo", tecnico di un corpo scisso. Attento soltanto ai dati che emergono dagli infiniti esami di laboratorio.

Il paziente? E' ciò che risulta da questi esami. Un corpo scisso in un Io scisso, frantumato, senz'anima?

La persona? Non c'è più. C' è solo un insieme di organi su cui indagare. E sempre per tentativi ed errori. La medicina infatti non è una scienza esatta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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