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Campo lungo

Poesia

Ivan Fedeli
puntoacapo

Recensione di Marco G. Maggi
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Pubblicato il 22/08/2014 12:00:00

 

La nuova raccolta di poesie “Campo lungo”, di Ivan Fedeli, rappresenta uno spaccato di vita urbana nella periferia di una grande città, in questo caso Milano, un affresco, non allegorico, di un’umanità che si arrangia a sopravvivere nella giungla quotidiana, costituita dal traffico sulla tangenziale, dai palazzoni in aree degradate, dalle grandi ed anonime superfici dei centri commerciali sul sempre eterno sfondo del grigio asfalto.

Fedeli vede le zone di periferia a ridosso delle tangenziali come un anello chiuso, che comunica sì, con il suo centro, ma non ne subisce alcuna osmosi, così anche all’esterno, nel verde della campagna, che viene descritto appena sfumato, un colore sempre indefinito, quasi in lontananza; un’illusione che, pur non essendo lontana, rimane irraggiungibile, come se l’ambiente in cui si muovono i personaggi li tenesse attratti ad esso, senza possibilità di scampo.

Resta la fuga nei non luoghi, nei centri commerciali illuminati, che non sono però nient’altro che parte di uno stesso quadro desolato. Fedeli non cede mai al surreale, le figure che si muovono sull’asfalto, nei mezzi pubblici, e sostano nei bar di quartiere, non escono mai dalla realtà quotidiana, la loro storia non ha mai il fascino astratto, se pure commiserevole, di un Marcovaldo di Calvino.

Il rifiuto di qualsiasi eccesso è dimostrato anche dal fatto che non sfrutta i rigori della stagione fredda, quell’inverno che a Milano può essere tremendo e che renderebbe il paesaggio descritto nei versi ancora più cupo. Molto spesso i mesi sono segnati con precisione,  quasi a volere fissare il momento dell’ispirazione, e non pare casuale che tutto si muove nei mesi di primavera e d’estate, al massimo nel primo autunno, come se Fedeli volesse dare un po’ di tregua al grigiore dei suoi eroi, ed allora compaiono i fiori vicino alle rotonde, la luce del sole, anche quando il caldo è torrido, la speranza di una gita fuoriporta.

Poi c’è sempre l’illusione di un gratta e vinci, quel colpo di coda che può cambiare la vita e renderla come quella della pubblicità sui cartelloni, con uomini e donne bellissime, in paradisi tropicali dove le spiagge ed il verde si fondono con una natura incontaminata, lontana anni luce dallo squallore.

Il sogno del popolino, dei poveri cristi che passano il loro tempo tra i piani dei palazzoni, tutta quella specie di proletariato disoccupato, sottoccupato e indifeso, dove la più bella cosa della giornata per gli adulti può essere la gonna di una studentessa di medicina o di qualcuna in visita al San Raffaele, mentre per i ragazzi la partita di pallone, dove se non sei forte stai in panchina, ed è tutta un’umanità questa che è rimasta in panchina, senza nessuna prospettiva di giocarsi un ruolo nella vita.

Del resto, non trovano una consacrazione neppure nella morte, restano eroi senza nome, che scompaiono come la neve al sole e nessuno più se li ricorda, storie di vita senza scopo, se non quello della tribolazione quotidiana, ed in questo l’autore compie un’operazione sottile, quasi impercettibile, ma profondissima, in cui il lettore è portato a spingere la visuale dentro la propria esistenza, lo sguardo che guardava fuori ora guarda dentro e sente la stessa rassegnazione. Questa poesia dà quindi condivisione, la vita di periferia è una vita senza luci della ribalta, non ci saranno cantori di “Sepolcri” per queste esistenze piatte: esse sono destinate all’oblio. Ecco, con la sua opera Fedeli sente tutta la comunione con questo mondo, una comunione che va al di là della città stessa e da ogni localismo ma che diventa universale e, mi si consenta il termine, maieutica, dove ognuno deve  trovare dentro di sé la conoscenza della compassione, senza bisogno di premere sulla tragicità per convincere il lettore.

Una poesia che, spesso sottotraccia, a volte in modo più esplicito,  trattiene sempre un filo lirico continuo con l’autore stesso che, da testimone, compie la sua missione di raccontare.

Un testo, infine, reso con un linguaggio accessibile anche a chi di poesia non si interessa, e si presta quindi alla divulgazione più ampia rappresentando la quintessenza di un poeta moderno che, con la propria opera, vuole compiere anche un’azione civile e di civiltà.

 


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