La volontà è quintessenza della manifestazione della forza umana. La volontà può portare ad un nuovo tipo di forza, oppure autodistruggersi con l'ospite che la esercita.
Parafrasi concessa è questo che il game designer di Fromsoftware, in Elden Ring, propone al giocatore. La difficoltà del gioco risiede nel suo essere difficile.
Non esistono meccaniche corrette per vincere; l'unica meccanica risiede nel giocatore di voler perseverare verso il completamento del gioco.
Sono indicativi quei giocatori viscerali che, resisi conto della vastità dell'open world in questione e della difficoltà ciclica, hanno preferito defilarsi da questa impresa videoludica per evitare che il mondo del proprio avatar prendesse il sopravvento.
Chi scrive quanto segue e precede è un amante delle metafore. Il videogioco, in quanto metafora della vita, talvolta, è interessante già solo in quanto tale; quanto più esista un'aderenza tra reale e finto, più diventa importante la sottiglienza del confine (provate a pensare un secondo al film eXistenz del dottor David Cronenberg).
Viviamo in un'epoca molto veloce. Tutto è instantaneo e tutto è serializzato, la contemporaneaneità spinge verso questo concetto in ogni aspetto della vita. Elden Ring non è veloce. Elden Ring non è serializzato.
Elden Ring richiede qualità del tempo, oltre che l'infinita quantità. In altri termini: il tempo occorre per osservare il mondo, per parlare con i png (personaggi non giocanti), per annotarsi letteralmente l luoghi visitati e le quest da completare, per scoprire,visitare e, ovviamente, combattere.
Occorre una lenta e completa qualità del tempo per poter eseguire questo. Bisogna spegnere in qualche modo la vita reale per poter accedere alla vita del nostro senzaluce.
E' per questo motivo che ritengo che questo gioco sia un toccasana per chiunque non giochi. Il videogiocatore incallito che conosce le dinamiche, si spinge attraverso i meccanismi di un open-world, capisce immediamente qual è il modo di affrontare questa epopea.
Non è tuttavia nemmeno il casual gamer della situazione che trarrebbe credito personale da questo gioco; si ritiene che esso debba essere propinato ai non-neofiti, i non-gamer. Possibilmente più radicati nella convenzione (sub)popolare che videogiocare equivalga a sprecare tempo.
E' del tutto dimostrabile che un'opera così possa stroncare alcune convinzioni. "Risolvere" e finire Elden Ring senza l'uso di strumenti esterni alla sola fruizione (guide in rete ad esempio), porrebbe virtualmente chiunque nella condizione di sopravvivere in un mondo ostile, violento, in grado di ferire e distruggere.
"La morte deve essere vista come esperienza del gioco. Nella vita la morte corrisponde a cose terribili e sofferenti. In questo gioco può anche succedere qualcosa di più gradevole. Si premia il giocatore, che pone volontà assoluta di completare il gioco, con il piacere di superare le difficoltà più ostiche." Quello che precede è un estratto di ciò che Miyazaki (il game designer del gioco, non il regista) intende come mood/vibes/feel d'approccio per Elden Ring.
Ed è per questo che si ritiene che i gamer, essendo dei "tecnici del videogiocare", conoscono gli approcci appena dopo il prologo. Il non-neofita invece, conquista la possibilità di gioire di un'esperienza terrificante e durissima. Ciò che conta è quel che c'è dopo; non importa cosa sia perchè sono i tratti della gioia che si avvertono.
Ci siamo tutti svegliati dopo un grande sonno di non-sfida, di non-difficoltà. I videogiochi, da osservatore interessato alla stato dell'arte corrente, da anni iniettano la dose quotidiana di gratificazione sul tempo libero contaminati dall'era dei servizi. Come netflix. Il videogioco di massa (e non solo) è oggi ormai diretto verso quell'allineamento che porrà tutto l'ambito dell'home entertainment come unificato.
Elden Ring schiaffeggia fortemente questo concetto. Elden Ring riporta il videogiocatore in un mondo ostile, dopo che questo ha appena spento l'interrutore della real-life. Il nostro avatar non ha più possibilità di noi, anzi. Elden Ring torna a manifestare ciò che più amo di questo intrattenimento: la metafora pungente con la vita.
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