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Mariella Bettarini

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 06/06/2008 18:05:13

CONVERSAZIONE CON MARIELLA BETTARINI


DOMANDA. Partiamo dalla tua esperienza di scrittura.

RISPOSTA. L’inizio della mia esperienza di scrittura risale a vari decenni fa, ai primi anni '60. Da allora non ho più smesso di scrivere e insieme a testi poetici ho scritto anche prosa, sia creativa che critica, e tantissime lettere: specialmente da 15-20 anni, sono, in pratica, una scrittrice di “epistole”. Sono davvero molte le persone che si rivolgono a me, a noi sia per la casa editrice, che per la rivista, che con la corrispondenza personale.
La poesia, la scrittura credo siano state (e siano tuttora) una grandissima “fetta” della mia vita, forse la più importante, anche se dire “la più importante” fa torto alla vita: senza vita non ci può essere scrittura, però nella mia esperienza personale una vita senza scrittura non potrei concepirla. Credo che la scrittura sia stata “un grande dono”, nato però da gravi privazioni, da problemi affettivi, familiari, da cose che sono state assenti. La scrittura è sempre stata, se non allegra in sé certamente felicitante; mi ha dato tenerezza. Attraverso la scrittura ho trovato modo di riempire quei grandi vuoti, e parlo in particolare della figura di mio padre che, pur essendo fisicamente presente, era invece del tutto assente, anzi purtroppo molto negativa.
Questo è il senso del mio vivere. Se ripartissi dal principio, rifarei le stesse cose: leggerei, scriverei moltissimo, vivrei ugualmente. Ho anche insegnato per molti anni ed è stato bello ed importante, ho esperienze di vita bellissime, certo non solo cartacee, ma la scrittura è forse la cosa che mi ha dato più felicità.

DOMANDA. Hai toccato un punto diciamo "critico" in quanto secondo alcune autrici un nodo nella poesia della donne è proprio legato alla figura del padre più che della madre.

RISPOSTA. Nella scrittura poetica delle donne, la connessione “centrale” con la figura del padre è stata teorizzata da alcune donne-poeta. Per la verità, io non arriverei a farne una teoria specifica. Il fatto è che il problema del rapporto “corpo-mente” nella scrittura delle donne è molto complesso. Certo, ci sono moltissimi casi di scrittura poetica di donne nelle quali c'è, da una parte, forse, una carenza della figura materna e spessissimo una presenza in negativo di quella paterna, ma generalizzare mi sembra una forzatura: sarebbe come dire che la mente, il pensiero, la scrittura, l’arte, sono forme maschili, mentre il corpo è il femminile. Che la donna abbia sempre avuto, tragicamente, il “primato” della corporeità e solo di questa, è da attribuire a un dato storico, ad una terribile sudditanza secolare. Ripeto, però, che il problema è molto complesso, e non mi pare il caso di semplificarlo troppo.

DOMANDA. Parliamo delle riviste che hai diretto: "Salvo Imprevisti" e ora "L'Area di Broca".

RISPSOSTA. Salvo Imprevisti ha sempre avuto un forte legame con il sociale, è stata una rivista che, in sintesi, coniugava letteratura e società. L’Area di Broca ha, poi, individuato un’apertura verso tematiche legate alla conoscenza in senso più ampio, ad esempio abbiamo affrontato temi come il cervello, la fotografia, le macchine, il caos, sino ad arrivare ai fascicoli più recenti, uno dei quali dedicato al tema “Terra”; un interesse, dunque, anche scientifico (e persino tecnico), che tuttavia in qualche modo si riallaccia a tematiche a noi sempre care (ricordo due piccoli fascicolo di “Salvo Imprevisti” dedicati ai fossili e agli alberi).
Come si vede, ci sono certe differenze tra le due riviste, ma anche una precisa continuità, tant’è vero che la numerazione dei fascicoli è proseguita dall’una all’altra.
Più recentemente, con “L’Area di Broca”, data la terribile situazione politica italiana (e mondiale), abbiamo ripreso con forza un discorso sociale. Infatti, il prossimo fascicolo della rivista sarà dedicato al tema “Contro”.

DOMANDA. Come ti pare sia la situazione della produzione delle donne in poesia, oggi, dal tuo osservatorio privilegiato di rivista e casa editice.

RISPOSTA. Oggi indubbiamente c'è una produzione ricca, vasta, con ottimi esempi di vera poesia. Dire “vera poesia” può sembrare un’affermazione limitante ed élitaria, poiché così si fa una distinzione rispetto a produzioni meno “vere” e quindi meno valide, come a dire che una poesia che ha meno senso di essere, anche se poi ognuno ha il diritto di scrivere ciò che vuole e quanto vuole. Ma quando parlo di “vera” poesia intendo poesia di un certo livello, testi poetici formalmente consapevoli. Ci arrivano molti scritti di donne interessanti, importanti, con un taglio di ricerca originale, anche se, a mio parere, oggi si pubblica troppo. Molti testidi poesia mi pare avrebbero bisogno di una maggiore sedimentazione, rielaborazione, ma questo dipende anche dall'editoria cosiddetta “minore”, che non seleziona affatto, contribuendo ad un eccesso di sedicenti “poeti” e alla (si fa per dire) “circolazione” di libri che potrebbero forse anche non esserci…
Oggi siamo in molti a scrivere, a lavorare, c’è una ricchezza, uno scambio, ma spesso manca il collegamento, il coordinamento, cosa che peraltro si dice da molti anni. Una grave carenza, poi, è nella critica: ci vorrebbe un maggiore atteggiamento critico e soprattutto autocritico.
Un discorso a parte è, infine, quello che riguarda le antologie di poesia. Qui - per quanto riguarda le donne - siamo ancora agli anni '50 (o peggio). Le antologie, diciamo classiche, sono quasi completamente “al maschile”, generalmente scritte e curate da uomini. Viceversa, nella quantità del materiale che arriva anche da noi, nella bellezza di certi testi, spesso nei discorsi teorici fatti da molti critici, la poesia delle donne risulta assai importante. Ho ascoltato più volte tali critici (che poi magari, quando curano un’antologia, non le antologizzano), rilevare la novità e l'importanza della poesia espressa dalle donne, dicendo che oggi quest’ultima è più originale, talora più forte di quella degli uomini. C’è, quindi, un'incongruenza da cui non sembra facile uscire, anche perché è legata a fattori spesso extraletterari, relativi a ruoli, relazioni personali, ecc. Ciò vuol dire far emergere solo la piccola punta dell’iceberg-poesia: il resto rimane sotto, e sono tutte, tutti coloro che non riescono ad accedere a quelle quattro-cinque case editrici di rilevanza e diffusione nazionale; coloro che, per pubblicare, si rivolgono a piccoli o piccolissimi editori.
Per quanto ci riguarda, Gabriella Maleti ed io, con Gazebo, pubblichiamo testi spesso straordinari di autrici e autori, che magari non hanno neanche tentato di proporsi alle case editrici maggiori. Ma se talora si confrontano testi di autori e autrici non antologizzati, non “storicizzati” a livello nazionale con quelli di poeti antologizzati, si notano talvolta delle differenze macroscopiche nel senso della ricerca, dell’espressività, della rilevanza del discorso poetico. E tutto ciò magari proprio a favore degli autori meno noti rispetto ai soliti noti. Per questa quantità di donne ed uomini, si tratta di un trauma, di una sconfitta, poiché rivolgendosi a piccoli editori generalmente si è costretti a non avere distribuzione, quindi a non farsi leggere, o a farsi leggere pochissimo. In più, per le donne (che da poco tempo sono arrivate ad avere una “visibilità”), la sconfitta sembra anche maggiore. In realtà, oggi - come dicevo prima - ci sono voci di donne anche giovani, trentenni, molto rilevanti, ma presso gli editori “nazionali” o nelle suddette antologie ne “passano” veramente pochissime, una o due su molte, magari ugualmente valide. Non credo sia un problema da poco.
Certo, quel che più conta è la consapevolezza soggettiva - per quelle che veramente operano con originalità - di essere “abilitate” alla poesia, anche avendo magari solo trenta lettori, che tuttavia confermano la valenza della voce. Quel che più conta è il tesoro della propria passione, della propria dedizione, della propria vita. Per il resto le notizie non sono confortanti.


(a cura di Gabriella Musetti)


INTEGRIAMO LA CONVERSAZIONE CON ALCUNE RIGHE IN CUI MARIELLA PARLA DI SE' E DELLE SUE PUBBLICAZIONI:

Vivo e lavoro a Firenze (dove fino al ’92 ho insegnato nelle scuole elementari), città dove sono nata il 31 gennaio 1942.
Dopo una parentesi torinese negli anni dell’infanzia e un doloroso soggiorno di tredici anni a Roma, e dopo corroboranti esperienze nella mia città natale (la città di La Pira e di don Milani, di padre Balducci e dell’Isolotto: le mie radici), nel 1973, in un postsessantotto colmo di disperate speranze, con alcuni amici scrittori diedi vita a “Salvo imprevisti”, quadrimestrale autog12/11/06cato fascicoli monografici dedicati a temi come “Cultura e meridione”, “Donne e cultura”, “Dopo il sessantotto”, Pasolini, “Poesia e inconscio”, “I bambini/la poesia”, “Poesia e teatro”, “Poesia e follia”, “Del tradurre”, ecc: Ho, infatti, sempre sentito strettissimamente connessa la mia ricerca etico-estetica con il rovello, la ricerca, l’esperienza etico-culturale di altre persone (prima che poeti/scrittori), in una comunitaria, non competitiva passione insieme letteraria e sociale.

Dal 1992 “Salvo imprevisti” si chiama “L’area di Broca”, semestrale che privilegia temi scientifico/conoscitivi, oltre che letterari.
Intanto, dal 1961 scrivevo molto, soprattutto poesia (ma anche prosa creativa e critica: recensioni prefazioni, brevi saggi), leggevo moltissimo, traducevo la Weil, partecipavo attivamente, su fogli e riviste, al dibattito in corso sui sempre difficili rapporti tra letteratura e società.

Da allora ad oggi ho pubblicato ventisei titoli di poesia, sette tra libri e plaquettes di narrativa,due di saggistica (sulla condizione della donna e la sessualità nel 1978 e nell’80 una serie di interviste a 33 poeti di varie generazioni); ho partecipato a dibattiti, letture pubbliche, convegni, ecc.
Poiché credo nella cooperazione culturale (e amo profondamente la scrittura degli altri), sono sempre stata contraria ai premi letterari. Così, dal 1984, in questa linea di intensa partecipazione e collaborazione, assieme a Gabriella Maleti (che ne è stata l’ideatrice) curo la piccola Editrice Gazebo, che ha collane di scrittura creativa e critica. Nel 1996, con i genitori di Alice Sturiale, ho curato Il libro di Alice (ripubblicato da Rizzoli nel 1997).

Oggi continuo a lavorare molto, ad amare la parola: scritta, letta, orale, creativa, saggistica, epistolare. La parola/segno. La parola/bi-sogno. La parola/intenzione di dialogo, affinità, amore. Così come amo da sempre l’archeologia, l’arte, la botanica, l’astronomia, la fotografia, il cinema e la matrice poliedrica di tutto questo: la misteriosa/”naturale” natura: dall’infinitamente grande e lontano, interstellare, invisibile, all’infinitamente piccolo e prossimo (anch’esso talora invisibile). Parola che si fa carne. Carne (minerale, vegetale, animale) che si fa parola. Misteriosamente. A specchio.

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