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Il gioco della campana

Poesia

Marcella Graziosi
Aletti

Recensione di Anna Maria Vanalesti
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Pubblicato il 27/03/2015 12:00:00

 

Scrivendo questo libro, che ha fortemente sentito e voluto, la Graziosi ha compiuto un viaggio, fuori e dentro di sé, ripercorrendo tutti gli itinerari e i sentieri attraversati, per ritrovarsi e per capir meglio la sua vita. E’ questo del resto che fanno i poeti, ridisegnano l’esistenza e mentre penetrano e ricostruiscono quella propria, spalancano finestre su quella altrui. Il gioco della campana , o della rayuela, come si dice in argentino, è titolo ma anche metafora di questa silloge di poesie ed il lettore ne è avvertito sin dall’incipit, non solo dalle parole della stessa autrice nell’introduzione, ma dalla lirica di apertura che dando il via alla prima sezione dell’opera, Autobiografia, annuncia il viaggio, ne mostra le difficoltà e le sofferenze, con una serie di frammentazioni di immagini che si potrebbero definire folgorazioni della memoria, unico filo conduttore e guida del procedimento poetico. E’ la memoria, infatti che presiede alla scrittura, rintracciando i momenti del passato e ricomponendoli con una proustiana operazione di recupero, per restituirli ad un loro più autentico significato. Il segreto è volver ( verbo spagnolo che intitola la prima poesia), cioè tornare indietro, non per restare, ma per riandare con maggior sicurezza avanti. Il viaggio comincia lungo una mappa che ha evidenti segni da distinguere, come il mare, il dolore, la notte, la nave, canti di sirena e poi sole, vento, natura. Sono parole chiave che troveremo disseminate nelle liriche, quasi a mostrarci come il poeta non possa che immergersi nella natura, per cantare il suo paesaggio interiore. La realtà è sempre presente, una realtà da deformare, come dice in una poesia, o da modellare, che poi significa riedificare, vivificata di senso e avvalorata dall’esperienza. C’è anche una continua esigenza di riaffermare l’amore, come necessario e indispensabile, infatti leggiamo che non risorgerà chi non ha creduto nell’amore( in Valchirie) e ne sentiamo la forte mancanza nel verso inesorabili labbra spensero/ la coscienza dell’amore( in Verso casa) e ancora in messaggi d’amore mai scritti è quasi presente il rimpianto di non averlo dichiarato mai abbastanza questo amore. Lacrime, solitudine, sogni, accompagnano il percorso, ma c’è sempre la speranza di rinascere, di progettare, di arrivare alla terra promessa. Tutto è espresso in modo molto emblematico, mai scopertamente, perché l’autrice custodisce gelosamente i suoi segreti, li conserva serrati nel cuore e parla per immagini, lasciando intravedere solo frammenti delle sue lacerazioni e dei suoi sentimenti. C’è un pudore che sorveglia la lingua e la ancora a metafore, a simbolismi, a figure, mentre la parola inventa nuovi paesaggi da posare su pagine bianche ( in Scrittura). La prima sezione termina con la lirica Al sud che è in qualche modo la conclusione del viaggio iniziale, dall’Argentina, terra natia, al sud d’Italia dove la Graziosi ha trascorso l’adolescenza, tra la Sicilia e Napoli: adagio al sud/la mia anima nuova rende l’aspettativa di un nuovo e migliore domani. In sostanza tutta la prima sezione è un racconto accorato e sofferto della infanzia e di quel periodo che vide l’autrice transitare in territori diversi, dal sud America, al sud di Italia con il carico delle speranze, dei sogni e delle difficoltà che lei e la famiglia affrontarono. Ciò che sorprende è comunque la fiducia nell’avvenire e il profondo senso di attaccamento ai cari e alla terra, che le impedisce di perdere le persone amate e, grazie alla poesia, gliele fa sentire vicine e presenti. La seconda sezione del libro si intitola Malattia e si svolge in un tempo ingrato, caratterizzato appunto da una lunga e grave malattia. Il poeta non dice di che cosa si tratta ma racconta e rivede quell’iter angoscioso attraverso la trasfigurazione che solo la poesia sa operare. Inventa uno stratagemma, ben evidente nella lirica intitolata Mongolfiera, prova ad astrarsi e a rappresentare la sua condizione dal di fuori, come se il cuore fosse fuggito tra terra e cielo, in una mongolfiera per guardare stupito il mondo e fottersi di risate. L’espressione è molto forte, trasgressiva e denigratoria ma proprio per questo vale a sdrammatizzare il male e ad esorcizzarlo. La paura della malattia, però, non svanisce, rimane, specie di fronte a quelle impronunciabili parole con cui la malattia stessa viene denominata. C’è un’altra presenza accanto a lei, sorella nel dolore, nel cui abbraccio ripone il suo capo di allodola, felice e poetica metafora, che indica tutta la tenerezza e la debolezza della creatura, ma ancor più felice è il verso in cui si ammette che in quell’abbraccio l’angoscia non poteva arrivare a trovare le sue vittime. La terza sezione si intitola Amore e reca, in apertura, la lirica Rayuela. Siamo nel vivo del gioco della campana: la bambina ha già saltato con una gamba sola nelle caselle per inseguire il sasso che ha lanciato, è ormai nel bel mezzo della vita, ma deve tornare indietro, alla casella di partenza, per non perdere il giro e ritrovare se stessa e soprattutto per ritrovare l’amore, un amore aspettato, atteso, desiderato. Proseguono le immagini che frastagliano il pensiero in sequenze naturalistiche che catturano lo sguardo: c’è il finire del giorno, c’è l’approdo immaginario all’infinita quiete di un’isola, c’è un abbraccio che scioglie ogni paura (Al calar del sole). E prosegue il flash back lungo i giorni trascorsi di un autunno in cui si scioglie una canzone a due voci, mentre il cammino va avanti insieme per scongiurare la meta, con un passo a due che conforta e dà coraggio. Il ritrovamento del compagno viene ad un tratto arditamente paragonato al momento in cui avverrà il ritrovamento da parte della morte, con dolcezza, come se anche la morte le dovesse mettere una mano sulla spalla, come ha fatto il compagno e dirle “ti ho trovata”. Sono versi che scolpiscono gli stati d’animo, li scandagliano impietosamente rappresentandoli con colori e suoni. L’amore per esempio viene paragonato ad un boato (nella lirica Questo amore) per l’esplosione di gioia e di passione che suscita, le giornate acquistano consistenza, cioè calore, odore e sapore soltanto se condivise con chi si ama; e ancora la bocca amata diviene una rosa e il poeta sente le ore cantare. Si avverte qua e là l’influenza della poesia di Prevert a cui l’autrice rende omaggio, ma soprattutto si sente il bisogno di condivisione, di stare insieme, di incontrarsi. Parole chiave sono calore, assieme, viaggio, corpi, ancora allodola. L’ultima sezione si intitola Intorno a me perché siamo all’oggi, al mondo circostante che c’è intorno al poeta, il gioco della campana si sta concludendo, con una vittoria ed un traguardo, il sasso è ancora inseguito, ma la bambina che lo ha lanciato non è più sola. Intorno ci sono persone amate, alcune delle quali scomparse come l’amica che appare nella prima poesia (Sandra) o il giovane ucciso a Monaco di Baviera, o Lorenzo che cade in un incidente stradale, tuttavia non c’è disperazione, dolore sì, ma lenito dalla certezza che il mattino possa far luce, nella solitudine ( si legga Giunchi). Ed è evidente in quest’ultima parte del libro che l’autrice parteggia per le donne, stima lo spirito femminile e lo crede invincibile: un dono ci rende regine……fatte d’amore/non temiamo la morte/ ci precedono angeli in cielo. Che altro c’è intorno? C’è la babelica Roma, il territorio in cui la Graziosi è approdata definitivamente dopo il suo lungo peregrinare, una città disincantata, colma di contraddizione, affollata, eppure lei ci vive, protesa verso un dio nascosto. Un altro omaggio ad un poeta letto ed amato è quello a Saint – Exupery, segno che la lunga frequentazione della poesia, viene anche da letture care e predilette: rosa, dolcissima rosa/pungesti le dita/ del poeta. Poi, di nuovo, uno sguardo di commiserazione alla precarietà umana, del mondo e della storia; i resti maestosi dell’impero, nello scenario romano, sovrastano la pochezza degli individui, la loro inconsapevolezza, dinnanzi alla quale il poeta è certo che le nostre idee non voleranno oltre questo cielo. Il libro si avvia alla conclusione, il gioco della campana sta per finire definitivamente, la bambina ha saltato tutti i quadrati, rincorrendo il sasso con bravura, pur su di una gamba sola. Si è difesa dalla vita, ha recuperato il tempo perduto, ha salvato l’amore, ha riannodato i fili della sua esistenza, ha incontrato un’altra se stessa, come dice in Rinascere, una se stessa che è rinata con ali di farfalla. Ora lo skyline che ha di fronte è completamente diverso, sembra quello delle case che si specchiano dalla collina nell’acqua, ma in verità è il confine e il limite di noi stessi che il poeta vede, di noi uomini né ignari mitili, e quindi ben consapevoli del destino mortale, né eterni fossili e quindi consci di non poter durare eternamente. Chiudono la raccolta due liriche assai emblematiche, Incantesimo e Compleanno. La prima fa pensare alla magia della parola poetica che copre la deforme realtà ed offre orizzonti di giada. Basterebbe riflettere su queste due espressioni per comprendere il potere salvifico della visione poetica che ogni cosa sa sostanziare di valore e di significato, creando un’immagine che ne idealizza la forma. La seconda ed ultima composizione, pur sembrando alludere ad una banalissima ricorrenza, quale può essere un compleanno, riassume l’intero percorso compiuto, nella vita e in questo libro: una strada disseminata di sassi scalciati da piedi in corsa, una strada su cui l’onda del vento ha sollevato piumini evanescenti di pioppo, una strada che conta gli anni vissuti e che ancora può portare lontano. Ma per raggiungere la meta, per sentire l’eternità, il poeta ha bisogno dell’altro, che l’altro sia vicino ed è ancora una volta una scelta di condivisione che suggella il cammino. In definitiva il libro della Graziosi si connota per una sua grazia interna, per una lingua leggera ma sostenuta sempre da un saldo legame tra significante e significato, per un ritmo quasi elegiaco, che non nasce dalla rima, ma da assonanze e consonanze sonore, facilitate da un armonioso disegno strofico che privilegia l’accoppiamento dei versi, disposti in una sorta di distici anomali a verso libero. Riguardo ai temi si è visto che i principali sono il viaggio, il ritorno, l’amore, il dolore, la morte, temi che Borges riteneva fondamentali in poesia, perché insiti nella natura umana. Si potrebbe aggiungere il tema del gioco, che qui è quello della campana, come canovaccio di fondo, archetipo del gioco della vita e al tempo stesso trama sottesa della creazione poetica.

 


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