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Poesie di un’estate

Poesia

Silvana Palazzo
Manni Editori

Recensione di Maurizio Soldini
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Pubblicato il 03/04/2015 12:00:00

L’ANGOSCIA DEL RICORDO E LA MALINCONIA, RISCATTABILI DALLA POESIA E DALL’AMORE

 

 

Nella silloge Poesie di un’estate, da poco uscita per l’editore Manni, Silvana Palazzo scandisce i movimenti della vita quotidiana attraverso uno scavo, sui propri sentimenti, da una parte psicologico dall’altra esistenziale, facendo un diario che specchia l’anima sul paesaggio nei mesi dell’estate da giugno a settembre in un gioco di ombre e di luci. Tanto è che sono quattro le sezioni che costituiscono questa silloge e ogni sezione corrisponde a uno dei mesi estivi: Giugno, Luglio, Agosto e Settembre.

La Parte Prima, Giugno, si apre con la poesia Navigo al buio, che già dal titolo non sembrerebbe promettere nulla di buono, ma nel finale c’è un repentino passaggio dalle nuvole al sole, dal pessimismo all’ottimismo:

 

 

Tutto è nero d’intorno

ma so che presto

una luce alla vita

m’aprirà.

 

C’è tutto un lavorio, nello scavo interiore, un prepararsi per un altrove al di là di questa vita, ma con l’occhio teso ad aspettare qualcosa che accada, anche senza sapere se sia meglio l’adesso o il poi, e quindi cercare un punto di gravità nell’acqua, leggera e forte nello stesso tempo, uno scorgersi che tenta l’indicibile teso a quell’altrove in cui forme e connotati sono un mistero.

 

Scorgere

i tuoi lineamenti

attraverso il buio

di un’eco.

Cercare un tratto

che ci rassomigli

non certo per casualità.

Rintracciare forme

che porterai

lungo la vita

che verrà.

 

Ma è proprio in questo sconcerto, che immalinconisce, che avviene il miracolo e dal pensiero di una vita nell’aldilà riporta la poetessa alla realtà della vita presente con la Figlia di mia figlia, con l’avvento di una creatura che nascendo continua la vita, non la spezza, e che “figli avrà/ petali di fiori/ intatti nella loro/ bellezza”, donando così la speranza di vita nella bellezza. “Scrivere una poesia/ per allegria/ non m’era capitato/ ancora in vita mia”, dice la poetessa, ma ora è giunto il momento di farlo, per cantare una stella venuta dall’alto a dare speranza, a rinfocolare l’amore e i sentimenti e non da ultimo il senso della vita. Silvia, questo il nome della bimba, è un bocciolo, è un regalo che “sazia tutti per intero”, che ha riportato il sale della vita là dove era ormai perduto ogni sapore dell’esistenza e tutto era divenuto insipido. Silvia è fonte nuova di giovinezza che dona la mattina nuova come la può donare solo l’acqua di rugiada attraverso i teneri baci.

Nella Parte Seconda, Luglio,  si riprende lo scavo esistenziale. La poetessa si sofferma sul fatto che il mondo non cambia nonostante la voglia di cambiarlo, che le certezze sono finite, che non si dà un porto sicuro, che perfino i poeti smettono di scrivere… Ma ecco che l’estate si riaffaccia anche nella coscienza del poeta e la nudità della bellezza e della libertà con la solarità scevra da nuvole riporta alla tautologia di estate e poesia (“L’estate è poesia/ e la poesia è l’estate/ senza nubi nel cielo arroccate”).

L’estate evoca la sensualità, il calore la esalta, il vento la lambisce e ecco allora che la poetessa si lascia irretire dall’estate come da un amante:

 

È il vento che

gioca

con la mia gonna

a darmi un piacere

come mano

leggera

che accarezza

i miei glutei

le anche

le mie cosce.

Lo lascio fare

ferma restando

e di ciò godendo.

 

L’estate evoca anche la curiosità per gli altri, per i luoghi, per le cose. Vi è un ritorno non all’effimero, ma alle cose stesse perché parlino nella loro semplicità e allora tutto diventa interessante, come una valigia perduta, con il suo contenuto di cose intime e segrete, una chiazza sul mare, una stella marina vivente, come gli innamorati e i loro sussurri, che destano invidia tanto da volere essere al loro posto. E fanno tornare col pensiero a amori e a volti di questi amori ormai lontani.

Ma l’estate porta anche la pioggia e lo stare dentro coatto invita nuovamente a pensare l’esistenza, la poesia e la necessità di dire e di scrivere (“Datemi un/ foglio di carta/ per favore/ è un bisogno/ impellente visto che fuori/ piove”).

Anche la Parte Terza, Agosto, si apre sul lato melanconico di una vita navigata per mari lontani, una vita logorata e spezzata, ma per fortuna non ancora affondata. E anche qui prevale la speranza, un ottimismo che fa credere nella ripresa, che dà senso, comunque, al futuro. I momenti in cui il pensiero si fa nero e ti sorprende alle spalle non mancano, come non mancano le lacrime. Desolazione e straniamento. Ma in questi è sufficiente un SMS, per quanto vuoto, a ridare fiducia. Scrutare lo specchio mette l’angoscia di riconoscersi e diventare folle così come è angosciante stare con se stessi. E la paura di vivere in un futuro senza emozioni e senza colori fa rabbrividire. Bisogna pur uscire da uno stato simil-vegetativo.  La poetessa sa come poter fare. Affidando alle parole la ricerca di senso attraverso i propri sentimenti nel bene e nel male, ma soprattutto attraverso l’amore (“Avrei voglia/ d’innamorarmi/ ancora”). C’è una forte voglia di uscire fuori dal tormento del passato, di lasciare alle ortiche i ricordi del tempo andato (“i ricordi sono il cimitero/ di ciò che siamo/ meglio tenerli a bada/ oggi come domani”) e finalmente incominciare ad accettarsi come si è nel presente per meglio affrontare il futuro (“È una vita che cerco/ di capirmi/ devo incominciare/ ad accettarmi”). A far sì che nella vita avvenga quello che accade quando si dissolve il buio della notte e appare il sole e si intravede il suo splendore nonostante ci siano ancora le nuvole:

 

Il buio della notte

scompare al lento

apparire del sole

che non c’è questa mattina

ma che tra le nubi regala

lo stesso la sua luce.

Lento è il suo risveglio

graduale ma costante.

Punto fermo su cui

si può contare.

 

E il sole rappresenta allegoricamente l’amore, in quanto unico a togliere la malinconia e a donare speranza, togliendo i dolori dell’anima che sono peggiori di quelli del corpo.

E eccoci a Settembre, la Parte Quarta, l’ultima del libro, che è anche l’ultimo mese dell’estate, quello che per antonomasia immalinconisce, in quanto

 

Settembre

ha con sé

la malinconia

delle cose finite

e l’inquietudine

delle cose

non ancora

iniziate.  

È un mese

di transizione

più triste

di ogni altro

cambio di stagione.

 

Proprio in questo frangente stagionale è più facile l’alternanza di depressione e di euforia, di tristezza e di voglia di riscatto. E allora nei periodi in cui vi è tregua con la desolazione si aprono porte di speranza e la poetessa ruggisce come una leonessa e ha voglia di aggredire questo mondo che non va. Come poter fare? Certamente affidandosi alla poesia, come nella supplica

 

Ti prego aiutami poesia

tu che sei stata

fedele compagna

della vita mia

quando ancora la speranza

mi era sorella

ed ora non mi rimane più neanche quella.

Ti prego aiutami ora

cara poesia

perché questa vita

diventi più mia.

 

Anche se alla fine riemerge con tutta la sua potenza la nostalgia e la poetessa non può non riprendere a tema il discorso a proposito dei ricordi.

 

Come si dimenticano

i ricordi?

 

È più forte di lei la memoria, proprio non sa scacciare i ricordi e il brutto è che nella sua anima riemergono non solo i bei ricordi ma anche i più brutti, come quello dell’abbandono. E comunque secondo la poetessa non vi è ricordo, anche bello, che non sia malinconico, proprio perché fa parte dell’indole del ricordo. Ancor di più, dice la poetessa, “ I ricordi/ fanno parte di noi”, ci sono connaturati e allora l’indole malinconica non è del ricordo, ma dell’uomo.

Alla fine di questo excursus veloce sulle Poesie di un’estate, devo dire che si esce dalla lettura compiaciuti di avere trovato un libro molto interessante. La silloge è giocata con un filo rosso che attraverso il diario dell’anima della poetessa, nell’alveo di una stagione quale è l’estate nel passaggio di mese in mese, si snoda presentandoci le notazioni che da sempre l’uomo ha cercato di denotare e connotare attraverso lo scavo non solo psicologico, che sarebbe poco, ma vieppiù esistenziale e spirituale nei riguardi del proprio destino, dove non si può non venire a contatto con la vita e con la morte, con la tristezza e con la gioia, col diavolo e l’inferno da una parte e con Dio e il paradiso dall’altra, col bene e il male, col bello e il brutto e così via. Così come l’uomo non può non imparare a fare i conti con il proprio ambiente e finanche con le stagioni con le quali scambia sentimenti specchiandosi nel sole più splendente o nelle nubi più nere. Questa ulteriore prova poetica di Silvana Palazzo merita davvero di essere letta e soppesata, non solo perché rispetto alle prove precedenti, pur pregevoli, mostra un notevole salto di qualità formale e sostanziale, che ne dimostra un accrescimento delle proprie capacità espressive in poesia, ma val la pena leggerla perché riesce a rendere universali i sentimenti a partire da quelli suoi particolari.

Per concludere, mi si lasci dire che, se dovessi definire la poesia della Palazzo in sintesi, lo farei dicendo che si sostanzia in un esistenzialismo in cui prevalgono l’angoscia del ricordo e la malinconia, che solo la poesia e l’amore possono riscattare. E in effetti la nostra poetessa scrive ormai da anni fiumi di inchiostro con un romanticismo indefesso, per denotare e connotare l’esistenza, alla stregua di quello che hanno fatto da sempre la maggior parte dei poeti e degli scrittori a partire da Omero e Virgilio e giù di lì, scrittori per lo più inclini alla malinconia, come ha messo bene in evidenza il critico ginevrino Jean Starobinski nel suo saggio L’inchiostro della malinconia, dove ad un certo punto dice: “Oppure l’inchiostro della malinconia, a forza di opacità e di tenebre, perviene a conquistare un meraviglioso potere di barbaglìo e scintillanza? Il fondo tenebroso comporta la possibilità del bagliore, se gli si sovrappone del materiale liscio. Shakespeare lo intuisce, evocando il miracolo di un amore che risplende, salvato dalla devastazione universale del Tempo, nell’inchiostro nero della poesia: Che in nero inchiostro, l’amor mio splenda fulgido per sempre. Ma, in quest’ultima trasformazione metaforica, la malinconia divenuta inchiostro, diventa infine la foglia di stagno grazie alla quale l’immagine si irradia. L’oscurità più densa oppone alla luce una superficie da cui zampilla, luciferina, come da una seconda sorgente”, che sposerei anche per la silloge della Palazzo, per tutti i motivi che ho detto prima.

 


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