Devo confessare che l’ossessione che colpisce il giovane protagonista di questo romanzo non mi è apparsa stravagante, né impossibile da succedere o, semplicemente, frutto di fantasia. Conosco molte persone per le quali il culto di un autore o di un’opera arriva a tingere di un solo colore l’intera loro esistenza senza che questi facciano nulla per arrestarne l’avanzata, anzi, se ne lasciano totalmente sommergere con la gioia di esserlo. E un autore sopra tutti è in grado di ammantare le esistenze dei suoi lettori, è Marcel Proust. I motivi naturalmente non si sanno, forse perché l’opera e la vita dell’autore sono fra loro simili ma non sovrapponibili, creando una magica galleria di specchi in cui chi ci si avventura finisce col perdersi e non uscirne mai più. O quasi.
Il giovane Jacques Bartel soccombe in tenera età al culto di Proust, sacrificandovi ogni altro piacere giovanile, sino a destare sgomento nei genitori, stupiti di tanta passione del giovane figlio verso uno sconosciuto ormai deceduto e addirittura omosessuale. Bartel regola la sua intera esistenza sul metronomo proustiano, fatto di letture, incontri, convegni, studi e articoli, sino a diventare studioso proustiano di professione. Ma il culto è tiranno e ad esso, Jacques, sacrifica ogni cosa, anche la fidanzata; solo quando il peso proustiano sembra schiacciarlo completamente egli, con un guizzo, se ne libera e scrive la sua opera, finalmente scevra di ogni traccia riconducibile a Marcel.
Il libro è molto godibile, scritto con accento spigliato e scorrevole. È denso di ironia, strappa più di un sorriso. A tratti ci si ritrova a pensare di aver fatto o detto qualcosa di molto simile, in qualche occasione, a quello che si sta leggendo. Insomma chi si sente proustiano si ritrova, almeno un po’, spettatore ma anche protagonista della storia.
Se guardiamo la trama, in filigrana cosa troviamo?
Un protagonista che vorrebbe fare un certo lavoro ma i risultati sono scadenti, se non assenti; una fidanzata infedele che dice le bugie sulle quali Jacques indaga e raccoglie anche involontariamente indizi; una madre abbastanza pressante con cui il protagonista farà una vacanza al mare; storie di prostituzione e, dulcis in fundo, dopo essere guarito dall’ossessione di fare una professione che si era rivelata sterile, improvvisamente, l’agnizione e la scrittura dell’opera, immaginiamo la medesima che stiamo terminando di leggere.
A quale libro appartengono i frammenti? Alla Recherche? Certo, ma anche a Io e Proust. Ecco l’arcano e la bellezza di questo romanzo. Pur con l’aria di raccontare tutt’altro, Uras, ci racconta pezzi di Recherche, in una sorta di caleidoscopico pastiche, che non riesce ad apparire né plagio né parodia, ma è un’opera totalmente nuova, sebbene scritta con materiale autenticamente proustiano. Geniale!
Concludendo; mi ero ripromesso di scrivere questa nota senza tirare in ballo Alain de Botton e c’ero quasi riuscito, ho messo il punto esclamativo, ed ho pensato: “Certo che Proust cambia davvero una vita!” In meglio…