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Quattro tazze francesi

Racconti

Maria Pia Moschini
Edizioni Gazebo

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 30/10/2015 12:00:00

 

Il titolo di questa raccolta di racconti – brevi e brevissimi – richiama alla mente qualcosa di elegante, fragile ma anche un po’ passato di moda. Racconta di un garbo, di una delicatezza che, ormai, sempre più spesso viene messo da parte per far posto alla faciloneria, alle cose urlate e buttate lì; invece con delle tazze francesi bisogna avere modi delicati, sapere apprezzare il loro fine decoro, ammirarne la passione per i dettagli, preziosi e magari non immediati. Immagino delle belle tazze di Limoges, con un disegno che richiama i fasti di un impero che esiste solo per chi ha abbastanza fantasia per rammentarlo e fare propri quei chiaroscuri che animavano i salotti più intimi, dove storie vere venivano raccontate e ricamate così tante volte da assumere i contorni della fiaba o della leggenda. Immagino una di queste tazze, tolta al suo ambiente diurno, ad attendere, paziente, accanto ad un lume da notte, le mani di chi, lì accanto, sta avidamente leggendo un libro: attende che la raccolgano, per lasciarsi scaldare le membra da una delicata tisana, il cui gusto di oriente accompagna il viaggio della mente infervorata dalla lettura. Tutte queste suggestioni, profumi e sapori si ritrovano, insieme a tante altre coloriture, in questa bella raccolta di racconti di Maria Pia Moschini. I racconti sono piccole e magiche storie: Storie, storie… la vita immaginata, creativa, disegna il destino di ognuno con fatti che hanno dell’incredibile, ma per chi ha il dono della percezione assoluta sono solo piccole incidenze del caso, fenomeni mirati a una visione più complessa dell’esistenza, a una sua interpretazione magica dispersa nel pulviscolo del quotidiano come una polvere cosmica (pag. 44).

Le storie qui raccontate hanno un gusto marcatamente noir, o del soprannaturale, genere che attraversa da sempre gli anni della letteratura e si ripresenta, per mano di Maria Pia Moschini, con garbo moderno ma con un forte legame col passato, si ritrova una passione delicata per i fini arredi, le decorazioni accennate che non rimangono elementi astratti ma si animano di ricordi, pensieri, anche speranze. Basti pensare al familiare comfort di certe poltrone dette Bergère che non si fanno più ma che sono ben presenti nell’immaginario di ciascuno: La poltrona logora, detta dagli attempati proprietari la “bergère”, attendeva da giorni il ritorno di Hughes, scomparso durante una tempesta con la sua barca Hinithial. Odette ne aspettava il ritorno, ma di Hughes nessuna traccia fino a quando una sera non sentì qualcosa pulsare dietro di lei. L’uomo aveva fatto ritorno a casa, deponendo il suo cuore nello schienale della poltrona come in un candido nido. Per sempre (pag. 70). Il noir di cui dicevamo non è fatto per spaventare o per stupire, è presentato con naturalezza, come parte integrante di ciascuno di noi, o forse solo dei più sensibili. Spesso si narra di apparizioni, di fantasmi, di presenze, ma non sono spiriti vendicativi o minacciosi, semplicemente rappresentano il passato che non vuole rassegnarsi a scivolare via in silenzio e venire dimenticato. Talvolta il fuoco di una passione, la forza delle idee o il forte legame non cessano col trapasso, o la sparizione, ma restano talmente vividi da attraversare la materia tangibile e ritornare come sogni ad occhi aperti, o sogni che si protraggono nella veglia. Spesso le apparizioni rincuorano, danno nuova forza e speranza a chi le vive, spazzano via la patina grigiastra del quotidiano sostituendola con pagliuzze dorate, poco percettibili ai più, ma che scaldano il cuore a coloro a cui sono destinate. La solitudine non è mai così completa come può sembrare, ci sono presenze che ci aspettano nell’ombra, arrivano a dare un senso alle giornate. In alcuni dei racconti, l’apparente caso disegna un nuovo destino per chi sa cogliere coincidenze nei numeri, o nella targhetta di un abito. Allo scrittore sembra concesso il potere speciale di modificare la realtà, trasformare una torrida giornata in una suggestiva notte invernale, o di trasformare una automobilina giocattolo in un minaccioso bolide nero e al lettore viene chiesto solo di fidarsi, farsi condurre in un gioco di specchi in cui nulla è come o dove sembra essere, sino a perdersi in un mondo fatato, che affascina e fa riflettere, spesso stupisce per la rapidità con cui la scena viene presentata e poi quasi capovolta a mostrare un’altra realtà. E al lettore non resta altro che lasciarsi scivolare in questo bellissimo mondo fatato, noir ma sornione, creato abilmente da Maria Pia Moschini, sino a prendere commiato, con un po’ di rimpianto per la fine di una lettura tanto bella, insieme alle quattro tazze francesi del titolo, che si animano in un “piccolo teatro d’ambientazione” (pag 75) in cui l’autrice commemora qualcuno che è scivolato via, ma che resta vivo nella penombra dei ricordi e, come i personaggi dei racconti della raccolta, non se ne va: resta legato, da un tenace filo invisibile, a chi è rimasto a tessere ricordi per ricordare che il passato non scivola via invano e non se ne va per sempre, è solo un’altra faccia della realtà che conosciamo. Ecco cari signori, il vostro the ben caldo, nelle tazze francesi, le migliori per l’aroma… Oggi è metà novembre, una data speciale, ricordate? Volammo via come foglie quella notte, lungo il fiume, giù giù fino alla foce… E per concludere Quel che sembra distante è qui fra noi, reale. Non siamo soli. Il vento porta voci: quattro foglie strappate all’autunno da un albero di luce. Il libro è dedicato a Mariella Bettarini e Gabriella Maleti, fondatrici della casa editrice che ha pubblicato questa raccolta ed infaticabili anime del panorama letterario e poetico italiano. Loro ricambiano la dedica, rispettivamente, con un acrostico e una poesia, delicati incipit e gioielli nel prezioso diadema.

 


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