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Lasciate in pace Marcello

Romanzo

Piergiorgio Paterlini
Einaudi

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 13/11/2015 12:00:00

 

Si dice spesso che l’amore è universale, che è un sentimento bello, bellissimo, fa sognare, eccetera; ci si costruiscono Imperi, lo si sventola di qua e di là come giustificazione o come viatico. Ma come ben sappiamo, soprattutto noi italiani, di questo bel sentimento spesso si fa strame. Lo si usa per giustificare le proprie idiozie, il razzismo, la falsa morale. Ed è quello che impara a proprie spese Marcello, un ragazzo normale, verrebbe da aggiungere, ma sappiamo molto bene che non esistono ragazzi non normali, come non esiste amore non normale. Tutto è normale quando viene spontaneo, lo si vive con naturalezza e ci si abbandona con fiducia.

Marcello è un ragazzo che si sta affacciando al mondo, comincia ad avere dimestichezza e fiducia di sé, nella prima pagina del racconto si guarda compiaciuto, sa che il suo corpo è capace di accendere desiderio, così come è capace di provarne, la sua fisicità inizia ad aderire al suo pensiero, la passione veicolata dallo sport preferito gli fa capire che corpo e passione, desiderio e piacere vanno perfettamente d’accordo e formano quell’armonia che accompagna gli adolescenti verso la crescita interiore che sarà la cifra di quel che saranno da adulti. È normale che tutto questo sfoci nella passione e nell’amore carnale verso un’altra persona. Quel che non è normale è che questa passione possa essere additata come sbagliata dalla società: non lo è, non lo è per chi la vive, ma la morale corrente pone un ostacolo che a Marcello appare insormontabile. Pone una sorta di barriera allo sviluppo armonico del Marcello senziente. Il ragazzo sa che se andrà a sbattere contro questo ostacolo ci saranno vittime, innocenti - perfettamente - e per questo ingiustamente colpevolizzate. Decide così di aggirare l’ostacolo, di aggirare anche la sua vita, tenendola al centro se ne allontana: comincia a percorrere una lunga e lenta spirale. Non rinnega il suo amore, non cerca di seppellirlo sotto strati di morale comune, ma lo tiene ancorato al proprio punto più profondo mentre se ne allontana percorrendo spire rapide e concentriche, al centro delle quali vi è la fedeltà al proprio essere. Marcello in questo percorso innalza barriere per chi lo vorrebbe anche solo vedere, sentire, ma che rischierebbe di giudicarlo senza averlo capito, osservandolo con un paio di spesse lenti deformanti davanti agli occhi. Il protagonista conosce l’allontanamento dal mondo per trovare il vero sé stesso,  potrebbe annullare quel sé che gli provoca dolore e sgomento ma invece sceglie di tenerlo vivo, di distillarlo nel vuoto e viverlo continuamente goccia a goccia, isolato in quel che crede essere un ambiente sterile. Finché un giorno il calore del sentimento viene di nuovo a bussare al cuore di Marcello, sotto l’inatteso aspetto di un uomo anziano, che si rispecchia nella fuga del giovane, quasi vi si sovrappone, e a lui Marcello riapre il suo cuore chiuso al mondo, e la forza del sentimento lo travolge di nuovo, intatta. Quel che si voleva far sparire è ancora vivo e pulsante, pronto a far inforcare di nuovo la bicicletta che attende paziente.

Un romanzo molto bello, pensato per ragazzi ma che in realtà è davvero per tutti, il tema è, come dicevo, universale e la singolarità dell’avventura di Marcello è molto ben presente nella società, basta avere gli occhi aperti per cogliere chi si è spostato dal baricentro del mondo per paura che il proprio amore possa cozzare con quel che la società indica come normale. Ma se va contro il cuore e la mente è certo che normale non può essere. Un romanzo sulla libertà di scegliere di seguire i propri istinti, leggerli e capirli, non farsene sopraffare ma viverli con pienezza e consapevolezza. Consapevoli che l’amore sicuramente non è mai qualcosa di sbagliato.

 


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