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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Fabrizio Bregoli

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 07/05/2017 12:00:00

 

L’autore qui intervistato è Fabrizio Bregoli, primo classificato nella Sezione A (Poesia) del Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, III edizione 2017, con “Diversa densità degli infiniti”.

 

 

 

Ciao Fabrizio, chi sei? Come ti presenteresti a chi non ti conosce?

 

L’anno scorso ho risposto alla stessa domanda:

“A chi non mi conosce direi che sono un uomo che vicino ai quarant’anni ha riscoperto una passione che coltivava durante gli anni del liceo: la poesia, da cui si era indebitamente sottratto per le vicissitudini della vita e la scelta di un curriculum di studi e professionale squisitamente tecnici (sono un ingegnere). Sono dunque un uomo che scrive poesie, che spera attraverso di esse di suscitare riflessioni nella coscienza di chi le leggerà, perché la poesia consente di trasformare l’individuale (dell’autore) in universale (di tutti) grazie all’opera fattiva di chi la legge e la fa rivivere dentro di sé.”

Quest’anno aggiungo che sono sempre più incapace di pensarmi senza l’esercizio costante della poesia, il suo valore terapeutico.

 

 

Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?

 

Sono in realtà numerosi, essendo costantemente mosso dalla curiosità e dal confronto col nuovo. Fin dall’adolescenza uno dei miei numi tutelari è stato Pavese, a cui poi sono seguiti Montale e più recentemente Sereni, Caproni, Giudici, Bellezza, Raboni, Fortini, Luzi. Principalmente autori italiani, non perché non consideri di pari valore gli stranieri, ma perché credo che la traduzione possa solo restituire parzialmente il senso di un’opera poetica – e conosco discretamente solo l’inglese, per cui mi familiarizzo maggiormente con la letteratura anglosassone dove ammiro Eliot e Pound. Credo ineluttabile per chiunque voglia fare poesia la lettura di Cavalcanti, Dante, Leopardi, Rimbaud, Rilke.

Nel corso dell’ultimo anno sto approfondendo con entusiasmo Zanzotto.

La varietà e la diversità delle letture credo siano lo stimolo più importante per la scrittura.

 

 

Secondo te quale utilità e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?

 

Il mondo contemporaneo tende ad escludere lo scrittore in quanto eversivo, coscienza di cui non vuole ascoltare le ragioni.

Credo che non esista poesia che non sia politica. Proprio nella misura in cui la poesia ambisce ad essere universale si fa interprete dell’umanità, delle sue pulsioni, dei suoi vizi, delle sue aspirazioni. Non si dà poesia che abbia una finalità puramente estetica o consolatoria. La poesia deve poter trasformare le coscienze, scavarle negli antri più riposti e sommuoverle attraverso la forza dirompente della parola, che va restituita al suo cuore primordiale e depurata dalle brutture e dal depauperamento del linguaggio quotidiano. La forma è essa stessa una declinazione del contenuto: forma e contenuto sono la stessa cosa, vivono dello stesso respiro. Sono l’inscindibile magma in cui si fa concreta la poesia.

 

 

Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittore? Gli incontri importanti, le tue pubblicazioni.

 

Ho iniziato da adolescente, con un evidente intento imitativo degli autori che preferivo. È poi seguito il lungo silenzio fino alla soglia dei quarant’anni in cui si è risvegliata questa passione. Ho ricominciato per gioco a scrivere versi, ho scoperto che esistevano premi letterari a cui ho partecipato per curiosità ottenendone da subito positivi riscontri che mi hanno incoraggiato a continuare. Oggi pratico la scrittura con una certa regolarità, ispirazione e tempo permettendo.

Un incontro importante è stato quello con Alberto Casiraghy con il quale ho realizzato il mio libriccino PulcinoElefante; nella sua casa ho potuto confrontarmi con altri autori, parlare con loro di poesia, da loro apprendere ed essere consigliato. I premi letterari mi hanno consentito il dialogo con altri autori, creazioni di sodalizi e scambi di suggerimenti e punti di vista.

Poi c’è stata la frequentazione della casa della poesia di Milano, dove ho partecipato ai seminari tenuti dai fondatori fra cui Tomaso Kemeny in particolare. Mi hanno aiutato a costruirmi una maggiore coscienza critica.

Importanti anche il supporto e lo sprone che ho sempre avuto dal collega poeta Ivan Fedeli e dal mio attuale editore e poeta Mauro Ferrari, e con loro di molti altri.

 

 

Come avviene per te il processo creativo?

 

La poesia nasce sempre dall’ispirazione dalla quale non può esimersi; può essere anche solo il lampo di un verso o un’embrionale materia da costruire. Ne segue la decantazione mentale con l’architettura interiore del rapporto fra ritmo/musica e contenuto. Spesso articolo questo lavorio mentale per ore o giorni costruendo nella mente quella struttura che solo successivamente scrivo su carta per rielaborarla e cesellarla per stadi progressivi fino all’esito ritenuto finale. Spesso non è tale, comporta la revisione di singoli passaggi a distanza di settimane o mesi; la mia è una scrittura per certi versi in fieri che riesce a consolidarsi solo poco prima della scelta – per così dire irreversibile – della pubblicazione. Da quel momento la poesia non è più mia, diventa patrimonio di tutti, vive negli altri. Talvolta si maturano rimpianti, ritrattazioni, ma in fondo è giusto considerare ogni poesia lo specchio di un proprio momento interiore che va cristallizzato a documentare una fase della propria vita, buona o cattiva che ne sia la riuscita.

 

 

Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi con la tua scrittura?

 

Scardinare i luoghi comuni, screditare l’ovvio e riscoprire l’inconsueto, il tutto con il tramite di un linguaggio necessariamente ibridato e spurio che possa rappresentare le contraddittorietà del presente. La poesia presuppone sempre la propria proposizione personale di un linguaggio.

 

 

Che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?

 

Mi è difficile rispondere. Credo tuttavia sia il bisogno di trovare un equilibrio fra la grande tradizione letteraria del passato e la prepotenza della modernità, del suo linguaggio destrutturato e frammentario. Rifuggo l’imitazione, adoro la citazione. Per me è un gesto d’affetto alla poesia e agli autori che amo. Cerco di essere originale, personale. Agli altri giudicare se sia tale.

Non mi reputo nulla di più che una delle tante voci in un coro, uno degli attori fra tanti.

 

Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Come si è evoluta la tua scrittura dalle tue prime pubblicazioni?

 

Un poeta deve rappresentare il suo tempo, viverlo.

I miei temi ricorrenti sono la riscoperta memoriale del passato e delle nostre radici, la critica spietata del conformismo che impone la contemporaneità mediante il ricorso a un’ironia sferzante sul presente, il disvelamento del labile equilibrio fra individuo e società, verità e scienza. Rispetto a quanto sostenuto nell’intervista dello scorso anno credo che questa cifra personale si stia consolidando e sedimentando.

 

 

Quale rapporto hai con la poesia e quale con la narrativa? Hai scritto sia in versi sia in prosa (racconti o romanzi)? Se la risposta è no, pensi che, un giorno, ti accosterai all’altro genere letterario?

 

Attualmente scrivo solo poesie e non narrativa Mi sembra che la misura del racconto o del romanzo sia lontana dall’esigenza di sintesi che la società frenetica di oggi richiede. Il romanzo è un’impresa titanica: ammiro chi se ne fa carico, mi è impossibile sostenerla. Non ne ho forse gli strumenti idonei.

La narrativa contemporanea tende ad essere sempre più svago e sempre meno letteratura, difficilmente coglie il senso delle cose. La poesia deve ambire di converso ad essere letteratura. La vita procede sempre più per frammenti che solo la poesia può cogliere; la mia è quasi una scelta di merito.

Mai direi mai per il futuro, tuttavia.

 

 

Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?

 

Direi che è un’ossessione costante e salutare. In particolare lo è il contatto con la campagna, con la vita di provincia, il valore del suo essere frusta e al contempo inimitabile, inquieta nella sua fissità. Molte mie poesie sono sospese sul filo del ricordo, della riscoperta di quei valori che si trasformano fino a divenire una mitologia interiore che si auto-rinnova, dà linfa alla mia materia poetica. Questo anche quando parlo d’altro.

 

 

Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittore si trova a cavallo di due mondi?

 

Il poeta riplasma la realtà con il tramite della sua immaginazione e la rende quindi fruibile nei suoi aspetti più nascosti, la svela. Si potrebbe dire che diventano una sola essenza.

 

 

Quali difficoltà hai incontrato nel pubblicare i tuoi testi?

 

Il mio primo lavoro è stato auto-pubblicato, i successivi sono stati realizzati come riconoscimento per la vittorie a premi letterari, l’ultimo dopo essere stato vagliato da una casa editrice.

Il limite principale che oggi l’autore di poesie incontra è la necessità di dover contribuire economicamente alla pubblicazione, perché la poesia difficilmente è remunerativa per l’editore – anzi non lo è quasi mai. Non tutti hanno mezzi per farlo, rischia di essere escluso chi è realmente valido. La situazione si aggrava nella misura in cui l’editore snaturando il suo ruolo diviene solo a pagamento, ossia una sorta di stamperia prezzolata. Questo alimenta naturalmente le puerili pulsioni dei presunti poeti o scrittori.

Credo che iniziative come la vostra de La Recherche servano proprio a scardinare queste logiche.

 

 

Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?

 

Sono soprattutto curiosi che non si fermano davanti all’interpretazione ovvia della realtà, che hanno voglia di sfidare il codificato, che non temono di cimentarsi in una lettura irta e tutt’altro che rassicurante.

Ho pochi lettori, ma molto fedeli e critici, spero possano crescere giorno per giorno. Per la più parte sono anche loro autori e quindi ci si scambia opinioni, idee, talvolta critiche.

 

 

“Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?

 

Credo che la poesia viva solo se letta; è il lettore interiorizzandola a trasformarla in qualcosa di diverso da sé, a dargli quel significato che il poeta da solo non riesce a cogliere. Spesso lettori mi hanno fatto osservazioni su miei lavori, che sottendevano interpretazioni molto lontane dal germe di quei versi, ma che ho poi dovuto ammettere fossero contenuti congeniti, insopprimibili effetti collaterali senza i quali forse quei versi non avrebbero avuto senso. Questa per me è la polisemia – termine abusato - di cui spesso si ragiona.

 

 

Hai mai fatto interventi critici, hai scritto recensioni di opere di altri autori? Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura?

 

Considero la critica letteraria un lavoro molto serio che richiede professionisti imparziali e con una grande cultura e un’illuminante visione della letteratura e del mondo. Non credo, ad oggi, di potermi annoverare in quel numero.

Secondo il mio metro personale reputo valida un’opera poetica che sia originale pur nell’eredità culturale da cui non può esimersi, che usi un linguaggio distintivo e trascenda la mediocrità del parlato quotidiano, si faccia interprete della contemporaneità, riesca a redimersi dai cliché e dalla retorica storica e letteraria, mi sorprenda con l’inatteso, mi trasmetta novità ad ogni reiterata lettura.

 

 

In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?

 

L’affermazione, da parte degli scrittori e dei poeti che stimo, che scrivo poesia. Può essere un’ovvietà, ma non la considero tale. Rientrare nella categoria poesia con i propri scritti è un grande traguardo.

 

 

A cosa stai lavorando? A quando la tua prossima pubblicazione?

 

Sto lavorando su un possibile manoscritto che credo di consolidare entro fine anno. La mia intenzione sarebbe di pubblicarlo per inizio 2018, con il mio attuale editore Puntoacapo con il quale vige un rapporto di reciproca stima. Credo che vi includerò anche gli inediti presentati a questo premio.

 

 

Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?

 

Soprattutto la lettura che ne è il presupposto. Oltre alla poesia da sempre sono appassionato di storia contemporanea, epistemologia, fisica nucleare e quantistica, storia della scienza. Ci sono poi le letture imposte dal lavoro, più subite che godute.

Gradisco ascoltare musica contemporanea, meno la classica per cui ho scarsa educazione.

Quando mi riesce viaggio, mi metto a curiosare per il mondo.

 

 

Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale italiana?

 

È il terzo anno consecutivo che partecipo e questo dimostra di per sé il mio presidio dei premi letterari che reputo validi.

Credo che i premi siano uno strumento per sottoporre i propri lavori al giudizio altrui, sperabilmente ad una giuria qualificata ed equamente critica; consentono quindi di essere un momento di verifica per capire la strada che si sta percorrendo, evitando di cadere nel solipsismo e nell’autocelebrazione di sé. Peccato che i premi siano veramente troppo numerosi, solo pochi – come il vostro – rispondano a quei requisiti di cui sopra. È sempre più diffusa la credenza che chiunque possa fare poesia e i cattivi concorsi alimentano questa assurdità, premiando spesso testi mediocri, scontati, inutili. Questo alimenta attese che non possono avere riscontri, screditando la poesia nella sua totalità. Consiglio chiunque – me in primis – prima di pubblicare o inviare un proprio lavoro a un premio, di porsi la seguente domanda: “Sarei disposto a dedicare alcuni minuti a leggere questo scritto? Che valore potrei trarne? Cosa dice di nuovo o autentico? Può significare qualcosa per gli altri?”. Ma sappiamo che nulla è più difficile che giudicare con obiettività sé stessi…

Concordo soprattutto con la vostra analisi inclusa nell’antologia del premio dove invitate gli autori a lasciar sedimentare il materiale letterario, sottoporlo a revisione nel tempo: la poesia è la negazione della estemporaneità (salvo che si sia geni assoluti, ma è per pochi).

 

 

Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?

 

LaRecherche.it è un bastione a difesa della poesia e della letteratura in genere, consente la condivisione e la comunità degli autori. Ancora più importante questo per la poesia, che non potendo neanche lontanamente – e fortunatamente – ambire ad una oggettiva remunerazione economica, deve essere patrimonio comune, a tutti indistintamente fruibile. Io stesso ho aderito all’iniziativa e condivido miei lavori, sperando siano di stimolo o per lo meno di piacevole lettura per gli altri. Questo non esclude ovviamente la pubblicazione tradizionale tramite case editrici.

 

 

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?

 

Credo che le vostre domande abbiano dato un quadro abbastanza completo della mia persona e della mia scrittura. Nulla da aggiungere se non ringraziare per questa opportunità

 

 

Grazie.

 

 

***

 

Di seguito è pubblicata l'intervista rilasciata da Fabrizio Bregoli, pubblicata il 30 aprile 2016, in quanto autore terzo classificato nella Sezione A (Poesia) con l'Opera “Queste care, fragili ossa”.

 

 

Continuiamo la pubblicazione delle interviste ai primi tre autori classificati di entrambe le Sezioni (Poesia e Narrativa) del Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, II edizione 2016, allo scopo di farli conoscere, come persone e come autori, un poco oltre i loro testi che è possibile leggere nell’e-book del Premio: www.ebook-larecherche.it/ebook.asp?Id=200

 

*

  

Chi sei? Come ti presenteresti a chi non ti conosce?

 

Sono un uomo che vicino ai quarant’anni ha riscoperto una passione che coltivava durante gli anni del liceo: la poesia, da cui si era indebitamente sottratto per le vicissitudini della vita e la scelta di un curriculum di studi e professionale squisitamente tecnici (sono un ingegnere). Sono dunque un uomo che scrive poesie, che spera attraverso di esse di suscitare riflessioni nella coscienza di chi le leggerà, perché la poesia consente di trasformare l’individuale (dell’autore) in universale (di tutti) grazie all’opera fattiva di chi la legge e la fa rivivere dentro di sé. Spero di restituire frammenti di verità e bellezza, distrarli dalla patina opaca dell’esistere.

 

 

Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, e che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?

 

Sono in realtà numerosi, essendo costantemente mosso dalla curiosità e dal confronto col nuovo. Fin dall’adolescenza uno dei miei numi tutelari è stato Pavese, a cui poi sono seguiti Montale e più recentemente Sereni, Caproni, Giudici, Bellezza, Raboni, Fortini, Luzi. Principalmente autori italiani, non perché non consideri di pari valore gli stranieri, ma perché credo che la traduzione possa solo restituire parzialmente il senso di un’opera poetica – e conosco discretamente solo l’inglese, per cui mi familiarizzo maggiormente con la letteratura anglosassone dove ammiro Eliot e Pound. Credo ineluttabile per chiunque voglia fare poesia la lettura di Cavalcanti, Dante, Leopardi, Rimbaud, Rilke.

In ogni caso credo che ogni autore dia il proprio contributo in un unico diuturno dialogo attraverso il tempo e lo spazio con tutti gli altri autori, celebri o sconosciuti – questa è per me la poesia. Quindi ogni autore – anche il più sconosciuto – è una necessaria voce del coro, lascia un segno di cui siamo comunque eredi, anche se inconsapevoli.

 

 

Quale utilità e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?

 

Credo che non esista poesia che non sia politica. Proprio nella misura in cui la poesia ambisce ad essere universale si fa interprete dell’umanità, delle sue pulsioni, dei suoi vizi, delle sue aspirazioni. Non si dà poesia che abbia una finalità puramente estetica o consolatoria. La poesia deve poter trasformare le coscienze, scavarle negli antri più riposti e sommuoverle attraverso la forza dirompente della parola, che va restituita al suo cuore primordiale e depurata dalle brutture e dal depauperamento del linguaggio quotidiano. La forma è essa stessa una declinazione del contenuto: forma e contenuto sono la stessa cosa, vivono dello stesso respiro. Sono l’inscindibile magma in cui si fa concreta la poesia.

 

 

Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittore? Gli incontri importanti, le tue pubblicazioni.

 

Ho iniziato da adolescente, con un evidente intento imitativo degli autori che preferivo. È poi seguito il lungo silenzio fino alla soglia dei quarant’anni in cui si è risvegliata questa passione. Ho ricominciato per gioco a scrivere versi, ho scoperto che esistevano premi letterari a cui ho partecipato per curiosità ottenendone da subito positivi riscontri che mi hanno incoraggiato a continuare. Oggi l’esito è che sono un poetry-addicted.

Un incontro importante è stato quello con Alberto Casiraghy con il quale ho realizzato il mio libriccino PulcinoElefante; nella sua casa ho potuto confrontarmi con altri autori, parlare con loro di poesia, da loro apprendere ed essere consigliato. I premi letterari mi hanno consentito il dialogo con altri autori, creazioni di sodalizi e scambi di suggerimenti e punti di vista. 

Poi c’è stata la frequentazione della casa della poesia di Milano, dove ho partecipato ai seminari tenuti dai fondatori fra cui Giancarlo Majorino e Tomaso Kemeny che curerà la postfazione della mia prossima opera “Il senso della neve” con i tipi di Puntoacapo Editrice. Anche se ho già pubblicato alcuni lavori dal 2013 ad oggi, considero questo libro la mia autentica opera prima perché raccoglie e porta a compimento l’insieme di riflessioni, ricerche contenutistiche e formali, in una sola parola il laboratorio poetico del mio, ancorché breve, cimento poetico.

 

 

Come avviene per te il processo creativo?

 

La poesia nasce sempre dall’ispirazione dalla quale non può esimersi; può essere anche solo il lampo di un verso o un’embrionale materia da costruire. Ne segue la decantazione mentale con l’architettura interiore del rapporto fra ritmo/musica e contenuto. Spesso articolo questo lavorio mentale per ore o giorni costruendo nella mente quella struttura che solo successivamente scrivo su carta per rielaborarla e cesellarla per stadi progressivi fino all’esito ritenuto finale. Spesso non è tale, comporta la revisione di singoli passaggi a distanza di settimane o mesi; la mia è una scrittura per certi versi in fieri che riesce a consolidarsi solo poco prima della scelta – per così dire irreversibile – della pubblicazione. Da quel momento la poesia non è più mia, diventa patrimonio di tutti, vive negli altri. Talvolta si maturano rimpianti, ritrattazioni, ma in fondo è giusto considerare ogni poesia lo specchio di un proprio momento interiore che va cristallizzato a documentare una fase della propria vita, buona o cattiva che ne sia la riuscita.

 

 

Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi con la tua scrittura?

 

Scardinare i luoghi comuni, screditare l’ovvio e riscoprire l’inconsueto, rivitalizzare le coscienze, stilisticamente avere come riferimento costante la metrica anche quando deliberatamente la si viola.

 

 

Che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?

 

Mi è difficile rispondere. Credo tuttavia sia il bisogno di trovare un equilibrio fra la grande tradizione letteraria del passato e la prepotenza della modernità, del suo linguaggio destrutturato e frammentario. Troppi contemporanei sono tassidermisti, robivecchi, rabdomanti. Rifuggo l’imitazione, adoro la citazione. Per me è un gesto d’affetto alla poesia e agli autori che amo. Cerco di essere originale, personale. Agli altri giudicare se sia tale.

 

 

Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Come si è evoluta la tua scrittura dalle tue prime pubblicazioni?

 

I miei temi ricorrenti sono la riscoperta memoriale del passato e delle nostre radici, la critica spietata del conformismo che impone la contemporaneità, l’ironia sferzante sul presente, il disvelamento del labile equilibrio fra individuo e società, verità e scienza. In questi anni direi che sono passato dal primo balbettio di un neonato alla capacità di esprimere la compiutezza di un pensiero, declinarla in contenuto e forma, darle spazio certo. Tuttavia credo che il mio percorso sia ancora tutto da scoprire, probabilmente demolendo quanto credo sia più definito e immodificabile. 

 

Quale rapporto hai con la poesia e quale con la narrativa? Hai scritto sia in versi sia in prosa (racconti o romanzi)? Se la risposta è no, pensi che, un giorno, ti accosterai all'altro genere letterario?

 

Attualmente scrivo solo poesie. Mi sembra che la misura del racconto o del romanzo sia lontana dall’esigenza di sintesi che la società frenetica di oggi richiede. La narrativa contemporanea tende ad essere sempre più svago e sempre meno letteratura, difficilmente coglie il senso delle cose. La poesia deve ambire di converso ad essere letteratura. La vita procede sempre più per frammenti che solo la poesia può cogliere; la mia è quasi una scelta di merito.

Tuttavia nella vita è interessante scoprire di poter cambiare. Magari in futuro anche la narrativa potrà incuriosirmi.

 

 

Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?

 

Direi che è un’ossessione costante. In particolare lo è il contatto con la campagna, con la vita di provincia, il valore del suo essere frusta e al contempo inimitabile, inquieta nella sua fissità. Molte mie poesie sono sospese sul filo del ricordo, della riscoperta di quei valori che si trasformano fino a divenire una mitologia interiore che si auto-rinnova, dà linfa alla mia materia poetica anche quando parlo d’altro.

 

 

Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittore si trova a cavallo di due mondi?

 

L’immaginazione e la realtà sono la stessa cosa, è la poesia a fonderle e a ricondurle alla loro comune radice. La poesia è azione. Non si dà poesia che non si ponga come obiettivo la trasformazione della realtà.

 

 

Quali difficoltà hai incontrato nel pubblicare i tuoi testi?

 

Il mio primo lavoro è stato auto-pubblicato, i successivi sono stati realizzati come riconoscimento per la vittoria di premi letterari.

Il limite principale che oggi l’autore di poesie incontra è la necessità di dover contribuire economicamente alla pubblicazione, perché la poesia difficilmente è remunerativa per l’editore – anzi non lo è quasi mai. Non tutti hanno mezzi per farlo, rischia di essere escluso chi è realmente valido. La situazione si aggrava nella misura in cui l’editore snaturando il suo ruolo diviene solo a pagamento, ossia una sorta di stamperia prezzolata. Questo alimenta naturalmente le puerili pulsioni dei presunti poeti o scrittori.

Credo che iniziative come la vostra de La Recherche servano proprio a scardinare queste logiche.

 

 

Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?

 

Sono soprattutto curiosi che non si fermano davanti all’interpretazione ovvia della realtà, che hanno voglia di sfidare il codificato, che non temono di cimentarsi in una lettura irta e tutt’altro che rassicurante.

Ho pochi lettori, ma molto fedeli e critici, spero possano crescere giorno per giorno.

 

 

“Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?

 

Credo che la poesia viva solo se letta; è il lettore interiorizzandola a trasformarla in qualcosa di diverso da sé, a dargli quel significato che lo scrittore da solo non riesce a cogliere. Spesso lettori mi hanno fatto osservazioni su miei lavori, che sottendevano interpretazioni molto lontane dal germe di quei versi, ma che ho poi dovuto ammettere fossero contenuti congeniti, insopprimibili effetti collaterali senza i quali forse quei versi non avrebbero avuto senso. Questa per me è la polisemia – termine abusato - di cui spesso si ragiona.

 

 

Hai mai fatto interventi critici, hai scritto recensioni di opere di altri autori? Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura?

 

Non ho mai preparato recensioni o studi di lavori altrui. Considero la critica letteraria un rovello che è bene affidare ad altri, responsabilità troppo grande giudicare o pesare l’oro o l’ottone altrui.

Secondo il mio metro personale reputo valida un’opera poetica che sia originale pur nell’eredità culturale da cui non può esimersi, che usi un linguaggio distintivo e trascenda la mediocrità del parlato quotidiano, si faccia interprete della contemporaneità, riesca a redimersi dai cliché e dalla retorica storica e letteraria, mi sorprenda con l’inatteso, mi trasmetta novità ad ogni reiterata lettura.

 

 

In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?

 

Recentemente un autore che stimo, leggendo il mio prossimo libro a lui mandato in anteprima, mi ha detto che ho potenzialità di crescita che nemmeno immagino. È la mia visione della poesia: cercare sempre di rinnovarsi, riscoprire le potenzialità inespresse della parola, appropriarsene, esserne testimoni.

 

 

A cosa stai lavorando? A quando la tua prossima pubblicazione?

 

Ho consegnato il mio nuovo lavoro “Il senso della neve” all’editore PuntoaCapo e ne è prevista l’uscita a Maggio 2016, con prefazione di Ivan Fedeli e postfazione di Tomaso Kemeny. È un lavoro che verte interamente sulla riscoperta del ruolo della poesia come unico strumento possibile per redimerci dal ghetto di arrendevolezza e conformismo in cui siamo afflitti dalla società contemporanea. Includerà anche i lavori presentati a questo premio.

 

 

Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?

 

Soprattutto la lettura che ne è il presupposto. Oltre alla poesia da sempre sono appassionato di storia contemporanea, epistemologia, fisica nucleare e quantistica, storia della scienza. Ci sono poi le letture imposte dal lavoro, più subite che godute.

Gradisco ascoltare musica contemporanea, meno la classica per cui ho scarsa educazione.

Quando mi riesce viaggio, mi metto a curiosare per il mondo.

Nel tempo libero con una certa regolarità pratico attività fisica per una punta di narcisismo che non guasta. Del resto quale autore di poesia non ne soffre?

 

 

Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale italiana?

 

Sono uno strumento per sottoporre i propri lavori al giudizio altrui, sperabilmente ad una giuria qualificata ed equamente critica; consentono quindi di essere un momento di verifica per capire la strada che si sta percorrendo, evitando di cadere nel solipsismo e nell’autocelebrazione di sé. Peccato che i premi siano veramente troppo numerosi, solo pochi – come il vostro – rispondano a quei requisiti di cui sopra. È sempre più diffusa la credenza che chiunque possa fare poesia e i cattivi concorsi alimentano questa assurdità, premiando spesso testi mediocri, scontati, inutili. Questo alimenta attese che non possono avere riscontri, screditando la poesia nella sua totalità. Consiglio chiunque – me in primis – prima di pubblicare o inviare un proprio lavoro a un premio, di porsi la seguente domanda: “Sarei disposto a dedicare alcuni minuti a leggere questo scritto? Che valore potrei trarne? Cosa dice di nuovo o autentico? Può significare qualcosa per gli altri?”. Ma sappiamo che nulla è più difficile che giudicare con obiettività sé stessi…

 

 

Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?

 

È un valore fondamentale, consente la condivisione e la comunità degli autori. Ancora più importante per la poesia, che non potendo neanche lontanamente – e fortunatamente – ambire ad una oggettiva remunerazione economica, deve essere patrimonio comune, a tutti indistintamente fruibile. Io stesso ho aderito all’iniziativa e condivido miei lavori, sperando siano di stimolo o per lo meno di piacevole lettura per gli altri.

 

 

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?

 

Sono già troppe le domande che affollano la mia mente ogni giorno, ho imbrattato già forse troppe pagine con le mie poesie e parlato troppo rispondendo alle vostre domande. Preferisco concludere invitando ciascuno di noi a riscoprire il ruolo del nostro più prezioso compagno, il silenzio.

 

 

Grazie Fabrizio.

 


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