Argomento caro al filosofo Giulio Giorello l'ateismo, già affrontato in “Di nessuna chiesa” e svariati articoli.
Qui viene particolarmente eviscerato cercandone i fili, le origini, attraverso un'analisi non leggera.
All'autore “non interessa l'esistenza o la non esistenza di qualche divinità quanto il fatto che Dio può venire impugnato come clava per sottrarci ogni forma di autonomia...si deve evidenziare l'infondatezza di tale pretesa da parte di chiunque: maghi, incantatori, sacerdoti, funzionari di partito, imbonitori televisivi”.
Altra tesi è che “I vizi non sono crimini” (Lysander Spooner) ma questo non è ammesso dalle chiese e nemmeno dai totalitarismi.
Hitler, ad esempio: “Quanto più si allentano i freni e si lascia libero il campo alla libertà individuale tanto più la storia di un popolo si avvia al regresso civile”.
I fari che sorreggono l'analisi sono John Stuart Mill che mira a ridurre non l'eccesso di libertà dell'individuo ma del legislatore e Baruch Spinoza il teorico della potenza del libero intelletto. Non tralasciando Darwin e la selezione naturale.
Giorello però denuncia anche la futilità di quell'ateismo che fonda sulle prove la non esistenza di Dio. Il sottotitolo è infatti “Del buon uso dell'ateismo”.
Perché la forza dell'ateismo non sta nel dimostrare che Dio non c'è ma nel rifiuto di riconoscerlo come padrone. Di conseguenza non ci può essere mai nessun abbassamento, nessun inginocchiamento.
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