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Dux di Margherita Sarfatti

Argomento: Storia

di Alberto Castrini
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Pubblicato il 22/07/2022 23:36:37

Non è facile scrivere di un libro politico uscito quasi cento anni fa.

Però anche questo fa parte dell'analisi del fascismo italiano sul quale non si cessa d'interrogarsi.

Scritto tre anni dopo la presa del potere, con la Marcia su Roma, non si comprende se lo scopo della Sarfatti fosse di spiegare Mussolini agli italiani o chi dall'estero s'interrogava sulla natura del fascismo.

Margherita è stata in parte la fattrice del mito del “Duce” e dell'enorme culto della sua figura.

Intellettuale di pregio, proveniva anch'essa dalle file socialismo, come la stimata Anna Kuliscioff, quella che definì Mussolini un poetino che aveva letto Nietzsche.

Quello che però stupisce e rende illeggibile oggi il testo è il livello di sudditanza dell'intellettuale verso la sua creatura. Una vera intervista in ginocchio!

Si parla con entusiasmo della vittoria elettorale del 1924. Quella denunciata come chiaramente fraudolenta, in Parlamento, da Giacomo Matteotti e che gli costò immediatamente la vita.

Vittima, secondo la biografa, solo di un misfatto diabolico!

Ovviamente sin dalla nascita erano chiari i segni della genialità del nostro.

Ma specialmente si tratta della lettura post della Storia, che interpreta ogni atto come premessa dell'apice.

Perché, già nella trincea della I guerra, si presagiva a quali compiti fosse destinato il caporal maggiore Mussolini “circondato da italiani eccellenti e fedeli che ambivano solo a trovare un vero Capo”.

Quello che nel 1915 scrisse: “Sono sempre più convinto che per la salute dell'Italia bisognerebbe fucilare, ripeto fucilare, nella schiena qualche dozzina di deputati e mandare all'ergastolo un paio di ex ministri. Credo con fede profonda che il Parlamento sia il bubbone pestifero che avvelena il sangue della Nazione. Occorre estirparlo!”

Purtroppo non tutti nutrivano “disprezzo per la molle democrazia e le sue battaglie schedaiole” e allora “...dovevamo imporre le nostre idee ai cervelli a suon di randellate per toccare i crani refrattari”.

Individui che ignoravano “il magnetismo di uno spirito superiore”, paragonato dalla biografa, alla possanza del Colleoni immortalato dal Verrocchio.

Ovviamente non mancano autentiche invenzioni come “L'alta fraternità che mai si smentì fra il Poeta ed il Condottiero”! A proposito di D'Annunzio.

Verso la fine del libro l'adorazione oltrepassa ogni decenza perché: oltre all'uomo che rinnova le partecipazioni del divino alla vita umana, l'abolizione delle idee intermedie, al restauratore dell'intransigente verità, finisce con Duce che per pudico pathos rifugge dall'applauso con cura!

Si capisce allora perché, come risulta dagli atti, Mussolini fece alle bozze solo pochissime insignificanti correzioni ad un testo che gronda di un servilismo stomachevole.

Non è facile scrivere di un libro politico uscito quasi cento anni fa.

Però anche questo fa parte dell'analisi del fascismo italiano sul quale non si cessa d'interrogarsi.

Scritto tre anni dopo la presa del potere, con la Marcia su Roma, non si comprende se lo scopo della Sarfatti fosse di spiegare Mussolini agli italiani o chi dall'estero s'interrogava sulla natura del fascismo.

Margherita è stata in parte la fattrice del mito del “Duce” e dell'enorme culto della sua figura.

Intellettuale di pregio, proveniva anch'essa dalle file socialismo, come la stimata Anna Kuliscioff, quella che definì Mussolini un poetino che aveva letto Nietzsche.

Quello che però stupisce e rende illeggibile oggi il testo è il livello di sudditanza dell'intellettuale verso la sua creatura. Una vera intervista in ginocchio!

Si parla con entusiasmo della vittoria elettorale del 1924. Quella denunciata come chiaramente fraudolenta, in Parlamento, da Giacomo Matteotti e che gli costò immediatamente la vita.

Vittima, secondo la biografa, solo di un misfatto diabolico!

Ovviamente sin dalla nascita erano chiari i segni della genialità del nostro.

Ma specialmente si tratta della lettura post della Storia, che interpreta ogni atto come premessa dell'apice.

Perché, già nella trincea della I guerra, si presagiva a quali compiti fosse destinato il caporal maggiore Mussolini “circondato da italiani eccellenti e fedeli che ambivano solo a trovare un vero Capo”.

Quello che nel 1915 scrisse: “Sono sempre più convinto che per la salute dell'Italia bisognerebbe fucilare, ripeto fucilare, nella schiena qualche dozzina di deputati e mandare all'ergastolo un paio di ex ministri. Credo con fede profonda che il Parlamento sia il bubbone pestifero che avvelena il sangue della Nazione. Occorre estirparlo!”

Purtroppo non tutti nutrivano “disprezzo per la molle democrazia e le sue battaglie schedaiole” e allora “...dovevamo imporre le nostre idee ai cervelli a suon di randellate per toccare i crani refrattari”.

Individui che ignoravano “il magnetismo di uno spirito superiore”, paragonato dalla biografa, alla possanza del Colleoni immortalato dal Verrocchio.

Ovviamente non mancano autentiche invenzioni come “L'alta fraternità che mai si smentì fra il Poeta ed il Condottiero”! A proposito di D'Annunzio.

Verso la fine del libro l'adorazione oltrepassa ogni decenza perché: oltre all'uomo che rinnova le partecipazioni del divino alla vita umana, l'abolizione delle idee intermedie, al restauratore dell'intransigente verità, finisce con Duce che per pudico pathos rifugge dall'applauso con cura!

Si capisce allora perché, come risulta dagli atti, Mussolini fece alle bozze solo pochissime insignificanti correzioni ad un testo che gronda di un servilismo stomachevole.

Ma poi, succede spesso, che la creatura si ribelli al creatore e allora già nel 1929: “...Poiché voi non possedete ancora l’elementare pudore di non mescolare il mio nome di uomo politico alle vostre invenzioni artistiche o sedicenti tali, non vi stupirete che alla prima occasione e in un modo esplicito, io preciserò la mia posizione e quella del Fascismo di fronte al cosiddetto ’900 o a quel che resta del fu ’900”. 

Il loro rapporto troncò, oltre all'avvento della giovane Claretta Petacci, quando, nel 1938 alla promulgazione delle funeste leggi della Difesa della Razza, Margherita Sarfatti, di origine ebraica, varcò prontamente il confine svizzero che distava solo alcuni chilometri dalla sua residenza estiva.

 


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