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Giulia Tubili ’Codice a sbarre’ – Storie di assenti e di ...

Argomento: Libri

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 11/03/2023 06:40:01

Giulia Tubili “Codice a sbarre” – Storie di assenti e di simbionti in cattività - Il ramo e la foglia - edizioni 2022.

 

Un vero peccato che ogni riferimento sia puramente casuale, quando ci sarebbe piaciuto, a noi lettori, e non parlo solo per me, individuare i molti personaggi che si affacciano fra le pagine di questa raccolta di racconti accattivanti e spregiudicati da “cabaret degli orrori”. Sì perché tutti, o quasi, gli avventori di questo albergo a ore per scambisti di professione hanno almeno una cosa in comune: condividono lo stesso spazio, quasi entrassero/uscissero nottetempo da dietro i paraventi di un guardaroba teatrale per ‘simbionisti’ che si contendono la scena. Laddove raccolti gli abiti messi e dismessi, paillettes et out-couture, boa di struzzo e falpalà, si denotano mani allenate al ‘trucco e parrucco’ di un’arte mai venuta meno, sì da felicitare aspiranti ‘queen en travestì’ che farebbero la gioia d’ogni spettacolo di successo…

 

“Onestamente? La cosa mi lusinga. Mia madre, così, mi dimostra da aver compreso il perché volessi intraprendere la strada della commedia. Mi fa capire, seppur troppo tardi, che il senso dell’umorismo devo proprio averlo ereditato da lei”.

 

Ma se l’alta moda s’addice a quello schianto di donna (?) che è “Salomé” languida e viziosa, beh lasciamo stare, l’outlet sta più che bene a “La Polena” (Mia moglie), così come i colori variegati s’addicono a “Ziggystein”, (figure femminili presenti nei racconti); senza ombra di dubbio ‘il nero s’addice ad Elettra’, tanto per fare una citazione letteraria, che poi fa il paio con “il cazzo è come il nero, sta bene su tutto”, tanto per dire, spontaneamente parlando. Quandanche, va detto, che un siffatto copione (l’intera raccolta), non solo si presta ad essere interpretato sulla scena ma ne ha tutte le caratteristiche e, se vogliamo, sul tavolaccio di un teatro ‘colto’, per palati raffinati e letterati di un certo pregio, di quelli che che a suo tempo hanno applaudito seriosamente l’“Edda Gabler” di Ibsen, che hanno acclamato con parsimoniosa ilarità l’“Ulisse” letterario di Joice, ma che pure gridarono allo scandalo alla ‘prima’ de “La traviata” di Verdi…

 

“Era accorta, affettuosa e implacabile… peccato fosse anche petulante. Talmente petulante da non permettermi un confronto lucido. La sua parlantina mi terrorizzava.[…] Inaccettabile. […] Con prepotenza torna Alma fra le pieghe del mio cervello ed ecco che gli scialbi coiti avviliscono l’atmosfera. Sì, mi manca l’ardore di un amplesso , ma preferisco contare i semi di questi frutti che mi restano fra i denti. […] Lo dicevo che era petulante. Lo dicevo che era frigida. Nessuno ha ritenuto questi motivi abbastanza validi ed eccoci qui. Perciò inspiro ed espiro prendendomi qualche secondo. Sulla faccia da schiaffi un’espressione enigmatica, ma assurdamente amichevole per un simile colpo di scena, giusto? Dovreste vederla, in effetti”.

 

Come sempre accade la ‘risalita’ di un personaggio dapprima sconvolge gli schemi (letterari e/o teatrali), ma al dunque la genialità viene a galla e Giulia Tubili, affatto turbata dall’esito, ha smesso il segreto che pure deve aver custodito per parecchio tempo e lo ha dato in pasto alle belve – che siamo noi lettori affamati del nuovo – i suoi vicini più prossimi che la spiavano per cercare di sapere qualcosa dei suoi rapporti proibiti, dell’esilio in cui si era immolata per così tanti anni, cosa ci fosse da sperare e cosa da temere da lei. Quand’ecco l’idea di scrivere un libro, “il libro” del suo esordio, la dice lunga in fatto di comunicazione, di attualità, che s’avvale di una scrittura strepitosa, aperta a tutte le sfrontatezze che – i suoi vicini – volevano conoscere, e che lei con uno scambio osmotico di sovrapposizioni figurative di personaggi diversi, ha così messo in scena per il ‘suo teatro’, fin troppo umano…

 

“Certo, ora è prevedibile anche lo stoico ghigno che le riserbo puntualmente. Forse prima ero spaventata, ma ora quei rozzi approcci mi scivolano addosso come lo strato viscoso di sapone scadente con cui celermente mi ricopro. L’acqua ci mette cinquanta secondi netti a diventare gelida ma Consuelo se ne fotte: si umetta i baffi, spreca il suo getto tiepido, poi si mette a leccare la fica di una Alice urlante nella speranza che io assecondi il teatrino e mi unisca incantata da quel colloso tripudio animale. […] Sembra che io interessi solo in ambito meramente sessuale. Passatemi l’espressione ma penso di possedere una mercanzia notevole, ricevo complimenti grevi anche quando sono china a tirar via matasse di capelli aggrovigliati dagli scarichi”.

 

Il suo colloquiare forbito è pressoché esilarante sebbene riguardi l’incontro con un’assenza che le restituisce in pieno il senso di solitudine che l’attraversa dall’inizio alla fine, quasi fosse addirittura il primo contatto avuto con l’essere antropico dal giorno della sua nascita e/o rinascita che sia. E lo fa senza cercare o sperare in una risposta di soggettivazione, intimidita quasi, tuttavia per niente turbata di mettersi a nudo, e lo ha fatto solo per differire un’ultima volta la cattività relazionale dei ‘simbionti’ che lei stessa ha creato. Non un alter ego, ma molti, differenziati secondo i suoi stati d’animo, assecondando talvolta l’idea pirandelliana di “Uno, nessuno, centomila”, dandosi in pasto di quel “Così è se vi pare” e/o di “parlatene male purché ne parliate” indifferentemente da ciò che direte, e che, tra menzogna e ironia, pur la diversifica dagli altri…

 

“Nel piccolo ambiente del ristorante piombò una surrealtà placida i cui ricami sanguigni rievocavano una fine certa sin dal prologo di quel pasto. […] Vitree biglie coronate dalla funerea secchezza creavano contrasto con la bava vermiglia che, schiumando, trasformava l’orrore labiale del morto in un sorriso senz’anima. […] L’infanzia delle gemelle , unite nel peccato come una Salomé bifida all’epilogo della propria danza tossica. Una Salomé neanche sfiorata dalle conseguenze dei propri crimini.”

 

Neppure Oretta Bongarzoni di “Pranzi d’autore”, tantomeno Max Aub di “Delitti esemplari”, entrambi noti per la loro beffarda eccentricità, avevano osato fino a questo punto, mentre noi, i suoi cattivi vicini, avremo sì che riparlare dello strato di fango che fino a ieri abbiamo tirato contro chi poteva essere diverso, che era diverso, non bastante a ricoprire la scorza/corazza che con questo libro Giulia Tubili ha saputo crearsi addosso, protetta da una sorta di ‘velo d’ombra’ che cela il segreto dei suoi spiriti ignoti, di quelle che forse erano e/o sono le sue aspirazioni giovanili che pure si riversano e si spandono nel biancore della pagina di questo suo primo libro sorprendentemente emaciato, come se fosse scritto tutto d’un fiato sulla carta da culo. Secretato in un ‘codice a s-barre’ che non si concede se non al lettore più attento…

 

 

"Sentiva nelle narici quell'odore da persona di un certo livello e gli scattava in testa un principio di rispetto. mi capisci? E' tutta una roba neuronale. un amplesso di sensi. [...] Nel mio caso, ancora di più. Come la sottolineatura su un riassunto già unicamente formato dei suoi concetti basilari. [...] Non chiedo l'assoluzione, non chiedo d'essere immediatamente benvoluto, ma, vi prego, considerate questo macro-dettaglio! Perché vi comportate come se nulla fosse?! Perché vi comportate come se niente fosse accaduto?!".

 

“Mentre i miei coetanei venivano deportati nei campi di morte, io seguivo la mia fila verso la sede di un giornale per cui avrei pubblicizzato dello shampoo con la mia immagine. […] Suona irrispettoso credersi gli unici presenti nel camposanto ma, tra i vivi, ero la sola. […] Ma forse chissà, fanno bene loro. Però al contrario loro, io non so fingere il distacco. Non sono in armonia con me stessa, né con gli eventi in corso.”

 

 

Di certo noi cattivi, oltre ad augurarle ‘tanta merda’ (si dice così), ci aspettiamo quella parola in più che da sola illumini la strada fin qui intrapresa in questo suo ‘mondo estremo’, peraltro così vero, in cui ci ha condotti per mano… “Eppure da bambina, mi dicevano che ero una brava attrice.”

 

 

L’Autrice: Giulia Tubili nel pur breve excursus della sua vita si racconta così: “Sono cresciuta ribadendo che avrei fatto l’attrice e, nel frattempo, oltre che improvvisare siparietti domestici, leggevo e scrivevo, scrivevo e leggevo. Dopo aver seguito l’Actor Studio e l’Accademia Cinematografica e stage di perfezionamento a tempo indeterminato, oggi ho al mio attivo un buon numero di cortometraggi, alcuni spettacoli teatrali, set fotografici (ecc. ecc.), scrivere riempie le notti, i vuoti incolmabili, le cicatrici di un’adolescenza negata. Scrivere è come cavalcare a briglie sciolte e, poi, tornare a compiere lo stesso percorso cercando il giusto passo”.

 

Note: (“) Tutti i virgolettati sono dell’autrice Giulia Tubili.


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