Ultimamente, nel mio attuale tempo senza tempo, sto rileggendo alcuni libri letti molti anni fa. Oggi ci scivolo dentro quasi senza accorgermene e, soprattutto, senza prestare alcuna attenzione a trama o stile, come facevo una volta.
Cosa mi resta allora di quel che leggo o, per meglio dire, ri-leggo? Qualcosa che non ni aspettavo, tipo una serie di associazioni involontarie, che quasi mi sorvolano la mente mentre leggo, non su quel che leggo ma su chi lo ha scritto. Non penso tuttavia all’autore. Si tratta invece di associazioni proprio sulla narrazione, sulla capacità di dire, e questo mi stupisce.
Quali gli autori (o il loro raccontare) in considerazione? Dostoevskij e Faulkner, Faulkner e Dostoevskij: narratori. Quanto ai romanzi, si tratta de L’Idiota e La paga del soldato.
Due romanzi lontani nel tempo – non il mio, proprio tra loro – dove tuttavia rintraccio qualcosa di comune: un destino. Una specie di ineluttabilità, qualcosa che trascina verso un punto senza che nessuno se ne accorga o riesca a farci niente. Ma lì trascina e arriva, inevitabilmente.
Lì vanno, senza saperlo, Joe o Donald, un vero e proprio morto che respira che neppure sa di esserlo. Lì vanno Margaret – che si accorge di tutto ma non può farci niente – o Il principe Minskij, e le donne che ama (o crede di amare) e che di lui faranno quello che lui è: un idiota.
Gli uni si muovono nella provincia americana del sud, gli altri nello splendore di Pietroburgo e delle ville che la circondano, ma tutti vanno dalla stessa parte.
Non starò a riassumere la trama di questi romanzi né le molteplici sfaccettature dei personaggi che li popolano; a questo hanno pensato i narratori. A me è venuto altro per la testa e quello devo cercar di tirar fuori.
I narratori, dunque, la loro capacità di narrare; cos’è questa capacità? Semplicemente costruire mondi, con tutte le enormi complessità che i mondi hanno. Occorre ricostruire l’ambiente dove i fatti si svolgono, la natura che li avvolge; la cultura da cui essi sono plasmati e le esperienze e i traumi che hanno reso fatti e personaggi come i narratori li descrivono.
Passioni, passioni, passioni; preferibilmente sconvolgenti. Ogni tanto un po’ di raziocinio, ma di rado. Si, qualcuno a volte pensa; di rado. Un lavoro di immensa complessità. Tuttavia semplicissimo: basta osservare. I narratori non inventano nulla: osservano. Ovviamente, occorre anche saperlo fare e raccontare.
E rendere piacevole ciò che si racconta, interessante; persino avvincente. Coinvolgerci devono - i narratori – e spesso ci riescono perfettamente.
Dunque coinvolto, rintraccio il mio destino – essere coinvolto – e il loro. Tuttavia, il loro destino (quello dei personaggi) non lo hanno deciso i narratori; essi lo hanno solo descritto: quel destino esisteva già. Attraverso gli intrighi, gi intrecci, le nevrosi, gli amori, gli inganni, quel destino si snoda. Tra boschi, fonti e ruscelli, pascoli e vigneti, scintillii di metropoli e campagne. Giorni tormentosi o luminosi; canti di uccelli e luna. Sere, spesso; comunque notte. La notte si dipana al suo calare e coinvolge tutti.
Dove mi trovo io in quelle notti? Dovunque con loro; e inevitabilmente in nessun luogo.
Un mondo, molti mondi, tutti i mondi; comunque lo stesso mondo: il nostro. Però attenzione; come ho detto, i narratori non inventano nulla: osservano. Magari esagerano un po’, ci intingono un po' la penna, ma al fondo fanno del particolare, dei casi della signorina tale o del signor comunque una generalità che va bene per tutti perché ci rappresenta tutti. Con stile più o meno variegato, discorsi espliciti o impliciti. Si, a volte, i narratori ci lasciano immaginare.
Descrizioni di banalità e frasi meravigliose, orrori e splendori, atrocità e amore, proprio come la vita, banale e splendida sempre.
Fino alla dissoluzione. Così come avviene. Semplicemente. Senza alcuna volontà.
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