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Altalene di neve (frammento)

di Veronica Mogildea
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Pubblicato il 27/04/2021 22:31:16

Gli orfani bianchi.

Il volto, rimasto in ombra, dell’emigrazione delle donne dell’Europa dell’Est.

Gli orfani bianchi. Una generazione intera nata sulle rovine di un sistema ormai tramontato, che tutti criticano e dal quale, spinti da un’illusione vasta quanto il mondo, si affrettano a prendere distanze. Senza proporre niente in cambio, a parte il caos, la corruzione, il degrado. La povertà. La disperazione. Il vuoto.

Da un momento all'altro tutti cominciano ad affannanarsi e a correre, come se fosse possibile erigere una vita su un domani più incerto che mai, che sbriciolato ancora prima di nascere, offre grande opportunità a pochi e toglie la speranza a tanti.

Gli orfani bianchi. Bambini senza identità, radunati sotto un’unica parola: orfani. Nelle statistiche sono privi di nome, nominando uno, nomini tutti. Bambini maltrattati. Bambini abbandonati. Bambini dimenticati. Vittime silenziose ed innocenti delle scelte sbagliate degli adulti. Bambini con genitori in vita, ma che per un motivo o l’altro sono costretti a vivere lontani da loro. Figli di madri e padri disperati, che annegano nell’alcool e miseria, o di quelli che, con la vita stipata dentro una valigia, partono in cerca di un lavoro.

 

Viviamo nell’epoca degli addii e dei saluti amari. Ormai è diventata una consuetudine che non ci stupisce. Si parte in fretta, senza guardarsi troppo indietro, ognuno convinto di fare la cosa giusta. E di conseguenza, anno dopo anno la serenità di migliaia di bambini viene sacrificata in nome di un benessere sfuggente, che è capace di cancellare tutto, perfino la sacralità di un legame di sangue.

I genitori partono. Ma il prezzo lo pagano soprattutto i figli. Lasciati in cura dei nonni, abbandonati a se stessi o accantonati come merce inutile negli orfanotrofi, si trovano da un giorno all’altro soli, spesso senza nemmeno capire il motivo.

«Lo faccio per voi! Per il vostro futuro!» si giustificano con i figli quelli chi partono.

«E il presente?» I bambini con il cuore vedono lì, dove gli occhi degli adulti non arrivano.

«Tornerò presto» promettono allora le mamme e i papà, i sensi di colpa spezzano le voci. «Tornerò!»

Dopo un periodo di lontananza, più o meno lungo, ritornano. Con la speranza di salvare il salvabile, ricostruire da capo il rapporto interrotto con i figli.

Alcuni ci riescono, alcuni invece, no. Altri ancora, semplicemente, non tornano. Scompaiono. Dalla vita dei figli. Dei loro figli. Lo sapevano già prima della partenza, che non sarebbero tornati. È la categoria di quelli che sfuggono le responsabilità, non sentendosi in grado di reggerle e che, con la leggerezza di una scrollata di spalle, cancellano legami e promesse.

Ma i loro figli non lo sanno. Attendono. Come tutti gli altri bambini, allo stesso modo. E sperano. Finché ne hanno la forza.

Nei cuori dei bambini dimora l’attesa. Che si rispecchia in colori di varia intensità dentro le pupille innocenti dell’infanzia. A seconda del giorno. In una sintonia perfetta con il tempo. Se splende il sole, i bambini sorridono e l’attesa è leggera come un raggio di luce. Se piove, si oscurano gli sguardi, perché con il grigiore del cielo l’attesa torna a schiacciare il respiro. Diventa spessa.

Senza una spiegazione il tempo diventa lungo, fuori dal controllo, si stringe e si dilata. Divora. Lascia soltanto un piccolissimo spazio alla speranza. Che continua a palpitare. A nutrire i sogni. Comunque.

Ma i bambini sanno attendere. L’attesa si trasforma con il passar del tempo nella ragione della loro vita. Non possono rinunciare. Non vogliono. Si renderebbero complici di un tradimento che non hanno ideato loro e che respingono con tutte le energie pure, ancora non contaminate, che scorrono nelle vene.

Arriverà quel giorno, dicono, mentre i loro sguardi si spingono fiduciosi al di là delle nuvole. Non c’è spazio per i dubbi nei loro pensieri. Generosi, costruiscono ponti di fiori, arcobaleni di luce. Nel mondo che sognano non ci sono persone infelici. Abbandonate. Il mondo dei bambini abbraccia. Unisce. Non respinge nessuno. È più piccolo di un foglio di carta. Più grande dell’Universo. Perché i sogni dei bambini sono casti.

Arriverà quel giorno. Tornerà la mamma. Tornerà il papà. Meglio se tutte due insieme. Ci sarà sole e gioia. Tanta gioia. E i baci pioveranno in cascate di luce su di noi. Non ci saranno più braccia senza abbracci. Né labbra senza sorrisi. Né lacrime dentro gli occhi. Né cuori senza amore. Non ci saranno bambini tristi. Non ci saranno orfani. 

I bambini sono come gli angeli, sanno perdonare. Nella loro immaginazione le mamme e i papà sono tutti buoni. Anche le mamme assenti sono buone. Anche i padri ubriaconi, gli orchi più crudeli possono diventare un giorno buoni. Anche la mano più dura può imparare a accarezzare. Ci credono.

Ti ho perdonato mamma. Ti ho perdonato papà. Tornate, non voglio altro, basta che mi vogliate bene. Mi basta questo, per davvero, perché io vi amo.

 


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