La cavallina Stella
Storia breve di una cavalla speciale
“Elisa portami in veranda...” Elisa spinse sua madre, seduta sulla sedia a rotelle, lungo il corridoio centrale del primo piano della grande casa, dove avevano vissuto le generazioni della sua famiglia.
“Va bene qui, mamma.” Rispose Elisa, sistemando Emma, la madre novantenne, in modo che potesse contemplare i prati con l'erba alta incolti che degradavano verso il torrente, al di là del quale si intravedeva un fitto bosco.
Emma soffermò lo sguardo sul gruppo di acacie e salici, poi volse gli occhi verso quella che un tempo era stata una stalla. La proprietà ora era notevolmente ridotta rispetto a quando lei era una bimba di otto anni. Solo Elisa e Paolo le facevano visita, Paolo si occupava di far coltivare l'unico esteso campo rimasto, Elisa teneva in ordine la casa, del resto se ne occupava una badante rumena. Guardando la vecchia stalla Emma richiamò alla mente ricordi sepolti nella memoria, rivide Stella, la cavalla che suo padre portava alle corse dei concorsi ippici a Udine.
Stella era una cavalla veloce, dal mantello color cammello chiaro, e portava una macchia bianca che sembrava una stella sulla fronte, da qui il suo nome.
Emma era stata una bambina fortunata, era nata dopo la prima grande guerra in una famiglia numerosa. Il padre Enore, era carabiniere e aveva superato due guerre mondiali. Era un contadino, ma un contadino speciale. Aveva studiato grazie al nonno in Austria, conosceva la lingua tedesca ed era ben voluto dal conte, grande proprietario terriero, e rispettato dai suoi paesani.
Era a lui che tutti si rivolgevano quando c'erano delle controversie. Enore amava quella cavalla. Quando Enore la domenica ritardava in osteria, sua moglie Carla chiamava Stella e le diceva: “Stella vai a chiamare Enore, è tardi!”
Stella usciva dal cancello della proprietà e andava in paese, poi entrava in osteria, e nitriva, attirando l'attenzione degli uomini intenti a giocare a carte e di Enore.
“Stella, ho fatto tardi. Va bene, saluta i miei amici e c'è ne andiamo.” Stella annuiva con il muso, ed Enore usciva in compagnia della cavallina, dandole come premio una carota e delle carrube.
Enore aveva un'estesa proprietà terriera, acquisita nel tempo dalla sua stirpe con grandi sacrifici. Emma raccontava spesso a sua figlia di quando i partigiani durante il secondo conflitto mondiale avevano requisito diverse vacche e maiali. Enore aveva provato a opporsi.
“Ho 15 bocche da sfamare.” Ma il capo aveva risposto incurante.
“Non mi interessa.” Emma aveva raccontato a Elisa anche del pericolo che avevano corso quando avevano nascosto un ufficiale dell'aviazione americana che si era paracadutato tra i boschi della proprietà, dopo che la contraerea tedesca aveva colpito il suo aereo. I militari tedeschi avevano poi perquisito ogni casa del paese, e anche la loro, minacciando Enore di deportarlo in Germania, se avessero scovato il militare americano. Ma Enore era certo che non avrebbero mai cercato nella fossa del letame, dove durante la perquisizione si era seppellito l'ufficiale.
Questi ricordi frammentari uscivano dalla bocca di Emma in quei pochi momenti in cui riprendeva la lucidità. Emma, infatti soffriva di Alzheimer. Enore non c'era più da parecchi anni. I parenti rimasti erano emigrati per mezzo mondo, come molti friulani, chi in Australia, chi in Francia, Stati Uniti, Germania. Ormai la grande famiglia non si riuniva più come un tempo, a Natale o Pasqua.
“Guarda Elisa.” Disse Emma, puntando il dito all'orizzonte.
“Dove, mamma, dove?”
“Laggiù oltre il fiume. E li che mio padre aveva spianato un campo e tracciato una pista dove andava ad allenare Stella. La pista la teneva con la stessa cura che adoperava per i campi, il terreno doveva essere compatto ed allo stesso tempo elastico. Mi ripeteva sempre, ne troppo molle ne troppo secco.”
“Ma io non vedo niente...”
“Già, ora la pista non c'è più... ma quando la allenava, la faceva correre. Dovevi vedere quanta invidia aveva il conte. La sua domestica, la Rosina, me lo ripeteva spesso, quando la incontravo al mercato. Nine... ìl conte Alvise è invidioso, dice sempre, quando vede la cavallina di tuo padre: che bella cavalla, e pensare che è di un contadino.” Ed aveva motivo di essere geloso. Il papà, la domenica partiva presto all'alba per andare in città a Udine in groppa alla cavalla, non potendo permettersi di trasportarla con un'auto ed il necessario rimorchio, come il conte. E dopo tutta quella strada, pensa, vinceva le corse. Allora c'era una sola pista, dove si correvano i concorsi ippici. Non c'è n'era una più veloce. Sai Elisa, ero io che la governavo due volte al giorno quando il nonno era nei campi. Usavo la brusca.”
“Che cosa?”
“Prima la striglia per separare i peli incollati dal sudore, e poi la brusca, era una spazzola, grande, di crini o di setole di cinghiale, per pulire il mantello del cavallo. Sai a Stella piaceva, era come un massaggio. Poi usavo il nettapiedi per pulire lo sporco tra la suola e il ferro. E a fine allenamento per togliere il sudore la stecca. Cosi Stella si asciugava più in fretta. Ed infine le spugne per lavare: gli occhi, il naso ed il resto. Era come coccolare un neonato. Ci voleva la stessa cura e la stessa dolcezza. Il nonno voleva che lo facessi solo io. Solo il nonno ed io potevamo montare Stella.”
“Che vuoi dire mamma?”
“Gianni e Franco e tutti gli altri fratelli ci hanno provato, ma lei li disarcionava. Non ne voleva sapere. Era per questo che il nonno pretendeva, che me ne occupassi solo io.”
“Ma poi che fine fece la cavallina mamma?”
“Purtroppo scivolo sul ghiaccio, era febbraio e sbatté la testa su un palo. Non ci fu niente da fare, il veterinario dovette sopprimerla. Da quel giorno il nonno non ne volle più sapere di corse di cavalli, e non acquistò un'altra cavalla. Ripeteva spesso, che una cavalla come Stella non l'avrebbe mai più trovata. Stella era davvero speciale.
Pordenone 7 marzo 2014
Alessandro Carnier
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