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Centralità

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 10/12/2022 12:42:23

CENTRALITA’

Aveva passato quei tre giorni di festa chiusa in casa. Impigrita dal tempo grigio e dall’umore.
La tastiera, sempre là sul tavolino, le lanciava il suo irresistibile richiamo e lei trovava indispensabile ricorrervi e soddisfare comodamente ogni necessità.
Fuori, il mondo poteva essere significativamente più vivibile, ma spesso risultava contrariante. Alcuni discorsi diventavano insopportabili, alcune richieste pretenziose, il conversare banale.
Invece, la tastiera assicurava stimoli, e tempi che risollevavano da frustrazioni, metteva al riparo da attese deluse, da incomprensioni, affrancava completamente dalla schiavitù della maschera.
Più terrificante che salvifico le risultava l’intreccio con le realtà altrui. I tunnel, in cui si doveva calare per raggiungere sottosuoli umani, richiedevano un duro e spoglio servizio che stimolava non di rado tentazioni di fuga.
Trovava, infine, che l’esclusiva compagnia di sé era la migliore e che il proprio io, sdoppiato sul palco, o moltiplicato per tanti interlocutori diversi, era la moltitudine privilegiata con cui confrontarsi.
Così, se ne stava deliberatamente tra le quattro mura. Un sorso di the, un biscotto, un nido di riso, l’affaccio alla finestra sulle stradine quiete, l’andirivieni dei pensieri e la loro assenza, la radio accesa e la voce della cantante commemorata in quei giorni: “Non, je ne regrette rien”.
Je ne regrette rien.
Si era rimessa di nuovo alla tastiera. Sulla schermata i sottosuoli umani l' interpellavano con le loro elucubrazioni astratte, i loro perché. A correnti alternate le davano la scossa.
L’insofferenza la prese, la stanchezza, la desistenza.
Doveva uscire, benché fosse tardi e buio. Doveva prendere aria.
Indossò il giaccone, la sciarpa e i guanti e fu in strada.
Camminò un po’ verso il centro e raggiunse la piazza. Era deserta, illuminata appena, con un abete piccolo non ancora addobbato in un angolo. E di fronte, il campanile. Il campanile delle ore, a segnare il posto e il tempo. Il campanile antico, fisso, solitario, da cui si dipartivano i fili delle luminarie non ancora accese.
Tutto sospeso, tutto in attesa.
Respirò. Prima piano, poi forte.
Rimase a guardare abbagliata. Stupita. Rapita.
Specchiata nella pietra miliare che le diceva di sé.
E di lei.



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