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La prova

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 07/06/2023 17:21:40

LA PROVA

Il suo paese non era mai stato bello. Somigliava a un ragazzo sfortunato, ingobbito dalle avversità, da un’estetica e da un destino ingiusti.
Per tanto tempo quel grumo di case era stato un porto fluviale, l’inizio o forse la fine di una strada di selce che lo collegava col grosso centro di origine romana, da cui partivano e giungevano le merci.
Dopo i lavori di bonifica, i nugoli di zanzare fameliche erano in parte spariti, il grumo di case si era esteso, ma i segni del passato, come la cinta muraria, non esistevano più e i nuovi edifici erano delle modeste abitazioni, cubicoli allineati lungo strade strette, intersecate tra loro.
Strappato alle acque, confinante a nord con le risaie, era un paese dall’aspetto dimesso ma, proprio per questo, per la sua insignificanza, racchiudeva in sé un non so che di fascino: il fascino delle persone semplici, lo stesso dei suoi abitanti.
E lei, Chioma Rossa era convinta che a farne la ricchezza non dovessero essere le poche ville o i palazzi ma il carattere determinato e stoico degli abitanti.
In passato si erano verificati degli episodi che avevano lasciato traccia. A tutti piaceva ricordare non solo la protesta delle mondine o il sacrificio della giovane partigiana, ma anche il contributo dei contadini che, nelle case poste sotto l’argine del Sillaro, celavano le stampatrici da cui usciva il materiale necessario alla lotta contro l’occupazione.
Quando giunse la scadenza del suo primo mandato, Chioma Rossa si ricandidò per la seconda volta.
In qualche modo desiderava associare il suo destino di persona timida, che si era autoproposta per un ruolo guida, al destino del suo paese che vedeva capace di risollevarsi da realtà difficili, da un passato a lungo anonimo ma splendente nei piccoli ricordi di coraggio e tenacia.
Da ragazza, il suo peggiore cruccio era stato quello di non riuscire ad affermare giusti motivi senza che le salissero le lacrime agli occhi. Nel volgere di una lunga stagione, dedicata prima all’approfondimento degli studi e poi a mansioni lavorative, aveva acquisito più sicurezza di sé e di quello che voleva e poteva fare. Adesso era una donna a tutto tondo e la chioma rossa, arricciata, serviva allo scopo: apparire, e percepirsi, forte.

Un paese che giace nella bassa, e per anni è stato cinto dalla palude, è destinato a ritornare allo stato originario per qualche tempo. È destinato a morire ciclicamente sotto l’acqua.
Quando, dopo un numero infinito di giorni siccitosi, le piogge torrenziali di maggio prospettarono la certezza dell’eventualità, Chioma Rossa si adoperò ai limiti del disumano perché quella morte inevitabile, quel destino di alluvione e rinascita, fosse il più indolore possibile, vivendo in segreto i contraccolpi delle proprie decisioni.
I fiumi che delimitavano il territorio, compreso il canale a destra del Reno, la buona opera idraulica deputata all’irrigazione dei terreni e allo sgrondo delle acque, in poche ore subirono la rottura degli argini. L’acqua tracimò e, dopo avere invaso i campi, occupò l’area urbana. La massicciata della ferrovia non poté evitare la totale inondazione come era successo, invece, nel ’59.
Dal suo ufficio, postazione di comando sul mondo, con le carte geografiche dell’Istituto Militare srotolate sui tavoli, Chioma Rossa si trovò a coordinare e a dirigere notte e giorno le squadre di Soccorso che, con mezzi anfibi e camion, giungevano da molte parti nel paese dall’aspetto dimesso, nel paese in cui i ranocchi dei fossi erano stati comune alimento per la popolazione, in un passato feroce ma semplice.
Quando si delineò chiaro e inevitabile lo scenario che anche una frazione, ubicata più a nord, si sarebbe allagata, Chioma Rossa invitò la cittadinanza del luogo a evacuare nel centro limitrofo.
Sembrava che il naturale corso degli eventi fosse irreversibile ma un imprenditore, che aveva i beni posti sotto il sole di quella terra, decise di procedere seguendo un piano personale e, con le idrovore, cominciò a pompare l’acqua in eccesso per buttarla, non nel canale dagli argini rotti ma direttamente nel Reno.
Chioma Rossa arrivò sul posto, accompagnata da una squadra di carabinieri, e invitò l’uomo a eseguire gli ordini della Protezione Civile, ma l’uomo, dall’alto del trattore, mostrò di non volere arretrare, mentre una folla inferocita, la medesima descritta da Manzoni e da Verga nelle famose scene di massa, a suon di turpiloqui minacciò di avventarsi sulla donna. La squadra dei carabinieri fu veloce a farle quadrato intorno e a metterla in salvo.
Ma, per quanto colpita, Chioma Rossa non giunse a concepire risentimento verso i suoi concittadini. Anzi, il giorno successivo si unì alla catena umana per posizionare sacchi di sabbia in fila parallela al canale.
La frazione venne salvata, l’acqua non vinse.
E Chioma Rossa constatò con soddisfazione che i suoi compaesani avevano trovato la soluzione all’ emergenza andando oltre i rimedi suggeriti dalla Protezione Civile.
Adesso rimaneva da prosciugare l’acqua alta, ferma col suo fetore insopportabile lungo le vie del centro principale. Il vecchio modo di dire, svuotare il mare con un cucchiaio, divenne improvvisamente realtà: l’operazione avrebbe richiesto tempo, nottate insonni, capacità di fronteggiare veementi opposizioni.
Ma lei sapeva che il suo paese sarebbe riemerso dallo stagno in cui era precipitato.
Sapeva che ce l’avrebbero fatta.

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