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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

EL SALSERO


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Pubblicato il 24/01/2022 12:00:00

 

para o Manuel João Fradique

 

I

 

Os homens são assim. Bebem de mais,

cantam, esconjuram a morte

chamando-a para mais perto – e ela vem.

É uma ciência nocturna, a dos

homens, enquanto copos e garrafas

martelam sobre o balcão

os compassos de uma música sem saída.

 

É tão triste às vezes saber

que «à sombra do milho verde

namorei uma cachopa» – ou

pedir ao rosto de ninguém

que nos beije muito, como se fosse

esta noite a última vez.

Tão triste, numa noite realmente

última, lembrar outra vez os amigos

que hoje aqui não estão por terem

bebido mais depressa o mesmo copo

letal que nos afasta da morte.

 

Amores, desamores, injúrias

e palavras vizinhas dos punhais.

Coisas que os anos foram sepultando,

quase com doçura ou escárnio.

Porque os homens, quando bebem,

conhecem imensamente a loucura,

sentem nos ombros mais velhos

o peso insidioso da melancolia.

E não é fácil de ver, tanta dor.

 

Isso mesmo que certas canções

ou a névoa do haxixe nos fazem esquecer

por breves instantes uma vida inteira.

Isso mesmo, ainda, que na derrota

de um sorriso se confunde com o

sudário dos dias. Porque dentro destas

quatro paredes, sabíamos bem, era

proibido amanhecer. Só muito mais tarde,

já sem alma nem dinheiro, os corpos

voltariam a rastejar para a

maldição da luz. Com uma canção

mais fria a escurecer-lhes os lábios.

 

II

 

Empalidece agora o sorriso do gusano

na parede, ferem mais as palavras

sem mesura de Chavela Vargas

e a certeza subitamente real deste último

trago entre os últimos da festa.

As garrafas de várias cores não voltarão

a derramar o seu cálido perfume

e há, talvez, um mapa de afectos que

soçobra, um poema que ninguém escreveu.

 

Mas a perdição continuará, noutros

sítios, em casa de gente que morre

e entristece de tanto viver. Os dolorosos

amigos. Existirá sempre um vinho forte

a alimentar o epicentro do pânico,

aí onde apenas o vazio tem mãos

capazes de nos amparar na queda.

 

O que não lemos, o que não amámos,

os países que desconhecemos – tudo isso

ficará dentro destas paredes condenadas

à destruição e às prepotentes razões do lucro.

Perder – eis a nossa vocação, a única. Com um

relâmpago de sombra nos olhos apagados.

 

III

 

O teu amigo, porém, regressa – abre

pela última vez a porta larga do inferno

e anuncia para a escuridão dos rostos

que «já é dia». Finge também ele sorrir,

perder de pé. Porque há evidências inaceitáveis,

manhãs de metal que nos surpreendem vivos.

Só no táxi abraçamos a certeza do fim, agora

mais palpável, e o dia demolido que nos espera.

Há horas assim – de que a própria morte

se apiedaria, se tivesse tempo.

Uma canção que regressa só para nos dizer

que a perdemos, que é tão tarde o corpo.

 

 

 

EL SALSERO

 

per Manuel João Fradique

 

I

 

Gli uomini sono così. Bevono troppo,

cantano, scongiurano la morte

chiamandola più vicina – e lei viene.

È una scienza notturna, quella degli

uomini, mentre bicchieri e bottiglie

martellano sopra il bancone

le battute di una musica senza uscita.

 

È così triste a volte sapere

che «à sombra do milho verde

namorei uma cachopa» – o

chiedere al volto di qualcuno

che ci dia baci abbondanti, come se fosse

questa notte l’ultima volta.

Così triste, in una notte davvero

ultima, ricordare di nuovo gli amici

che oggi non sono qui per avere

bevuto troppo in fretta lo stesso bicchiere

letale che ci allontana dalla morte.

 

Amori, disamori, ingiurie

e parole simili a pugnali.

Cose che gli anni hanno sepolto,

quasi con dolcezza o disprezzo.

Perché gli uomini, quando bevono,

conoscono immensamente la follia,

sentono sulle spalle invecchiate

il peso insidioso della malinconia.

E non è facile da gestire, così tanto dolore.

 

Lo stesso che certe canzoni

o la nebbia dell’hashish ci fanno dimenticare,

per brevi istanti una vita intera.

Lo stesso, ancora, che nella sconfitta

di un sorriso si confonde con il

sudario dei giorni. Perché tra queste

quattro mura, sapevamo bene, era

proibito fare l’alba. Solo molto più tardi,

già senz’anima né denaro, i corpi

sarebbero tornati a strisciare nella

maledizione della luce. Con una canzone

più fredda a scurire loro le labbra.

 

II

 

Ora impallidisce il sorriso del gusano

sulla parete, feriscono di più le parole

irriverenti di Chavela Vargas

e la certezza improvvisamente reale di quest’ultimo

sorso tra gli ultimi della festa.

Le bottiglie di vari colori non torneranno

a versare il loro caldo profumo

e c’è, forse, una mappa di affetti che

sovverte, una poesia che nessuno ha scritto.

 

Ma la perdizione continuerà, in altri

luoghi, in casa di gente che muore

e intristisce per tanto vivere. I dolorosi

amici. Ci sarà sempre un vino forte

ad alimentare l’epicentro del panico,

lì dove solo il vuoto ha mani

capaci di attutirci la caduta.

 

Ciò che non abbiamo letto, ciò che non abbiamo amato,

i paesi che non abbiamo conosciuto – tutto questo

rimarrà tra queste mura condannate

alla distruzione e alle prepotenti ragioni del lucro.

Perdere – questa è la nostra vocazione, l’unica. Con un

fulmine d’ombra negli occhi spenti.

 

III

 

Il tuo amico, tuttavia, ritorna – apre

per l’ultima volta la porta ampia dell’inferno

e annuncia al buio dei volti

che «è già giorno». Finge anche lui di sorridere,

si allontana. Perché ci sono evidenze inaccettabili,

mattine di metallo che ci sorprendono vivi.

Solo nel taxi abbracciamo la certezza della fine, ora

più palpabile, e il giorno demolito che ci aspetta.

Ci sono momenti come questo – di cui la morte stessa

s’impietosirebbe, se avesse tempo.

Una canzone che torna solo per dirci

che l’abbiamo persa, che è davvero in ritardo il corpo.

 

[ da Poco allegretto, Manuel de Freitas, Il ramo e la foglia edizioni, traduzione di Roberto Maggiani ]

 

 

Copertina: murales di J.M. Samina in una strada pubblica di Lagos

fotografia di R. Maggiani


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