Gabriella Maleti
L’areadiBroca, Semestrale di letteratura e conoscenza Anno XLII-XLIII - n. 102–103 (luglio 2015 – giugno 2016)
[ Editoriale a cura di Paolo Pettinari ]
Per Gabriella
Gabriella Maleti ci ha lasciato il 27 marzo 2016, se ne è andata silenziosa e gentile dopo una lunga tenzone con la vita e una coraggiosa partita a scacchi con la morte. Mai pacificata, mai soddisfatta, Gabriella ha sempre interrogato la vita con timore, con rabbia, con l’umiltà di chi sa di non sapere: ne ha esplorato le pieghe dolorose, l’ha sbeffeggiata, l’ha subita, ha approfittato delle sue debolezze, è penetrata nelle sue crepe, confondendosi in essa l’ha catturata, incatenata in una scrittura che riproduce le rugosità, il calore, il nonsenso dell’esistere. Il suo lavoro poetico negli anni è divenuto un punto fermo e uno stimolo per tutti noi che frequentiamo l’Area di Broca. La sua forza, la sua sincerità, il suo calore magmatico ci hanno fatto capire in che modo l’arte sia essenziale al vivere. In verso o in prosa o per immagini, il linguaggio di Gabriella Maleti non è mai approssimativo: è vero! E’ una misteriosa verità, il modello di una complessità del reale che potrebbe sopraffarci se non ci fosse la scrittura a proteggerci. E’ il lavoro magico della poesia, che esorcizza il dolore (o la paura di perdersi nella vertigine) non solo descrivendone gli abissi quotidiani, quelli più temuti perché più consueti, ma imitandone le forme nelle spirali di un linguaggio complesso, sorvegliatissimo, duro a volte nella perfezione lessicale, straniante a volte nell’accostamento delle parole, come può essere straniante la struttura di un cristallo o come può esserlo la struttura di un organismo multicellulare. Le poesie, le prose, le foto di Gabriella non descrivono la vita, ma cercano di riprodurla, raffigurando briciole di sé, frantumi di mondo, e mimandone la forma cangiante. Curiosa della vita, ha tuttavia sentito costantemente accanto a sé la presenza silenziosa, ripugnante e fascinosa, della morte. Si fosse girata di scatto avrebbe potuto vederla, un’ombra dietro un angolo o una porta, e Gabriella lo sapeva. Per questo ha cominciato a giocarci una partita costruita su parole sontuose, frasi inopinate, testi formidabili. Una partita in solitaria fatta di mosse impreviste su una scacchiera poetica di rara perfezione, per imbrogliare la nemica, per affascinarla, per non lasciarsi prendere ed anzi catturarla, lasciarla a bocca aperta come lasciava noi quando ci leggeva le sue cose. E’ così che Gabriella è riuscita a confondere la morte che, pensando di prenderla, ha invece lasciato l’anima sua ben salda dentro di noi. Questo numero della rivista è dunque dedicato a lei che ne è stata per decenni autrice e redattrice. Così, attraverso una selezione di testi dalle sue opere, proviamo a suggerire una lettura, tentiamo una prima timorosa disamina critica del suo multiforme e rigorosissimo lavoro, ma soprattutto offriamo pagine di bellezza (ai lettori e a noi stessi) in omaggio a un grande poeta dell’età presente: Gabriella Maleti.
Paolo Pettinari (per la redazione)
Indice
Paolo Pettinari, Per Gabriella 3
Bio-bibliografia-videografia 5
Poesia: Vita contadina 6
Natura e Passione 9
Gli altri 12
Questioni e libertà 15
Vecchiaia 17
Prosa 19
Antologia critica 23
Testimonianze per Gabriella
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Due inediti di gabriella maleti tratti dalla rivista
Da “E’ bene saperlo”
(Inedito, 2014)
Indefinita è l’anima quando dico anima,
e tutto cambia.
Vedo il cane Thomas che immobile mi guarda,
gli alberi promanano la loro presenza, e
lo sguardo non sa più dove andare, se non
a qualche nuvola.
Ma che vuoi sapere, mi dico, l’anima si
immagina in tutte le cose, l’erba vibra scossa
dal vento, la pioggia cade e il sole splende.
Che vuoi di più? Nulla.
Solo un po’ di tregua per ciò che sento.
✳
Encomiabile vita.
Siamo passati da un tritacarne ad una
rosa di maggio che solletica la guancia.
Da frange d’una tenda corrosa ad un
pastrano nuovo per l’inverno.
In America si direbbe l’odiato waw,
qui si fa un balzo arrivando al primo
ramo di un albero.
Dall’impegno materno ci siamo trovati fuori
impiastrati di placenta, poi via, candidati
alla “resistenza”, subito infastiditi.
Dovere di non piangere, di non deturpare
nel tempo l’avvenimento sommo,
canaglie di bimbi silenziosi, ammalati di
pathos e derelizione.
Poi piano piano abbiamo cominciato a capire.
Le gambe si allungavano e così le braccia.
Siamo stati imprecisi nei giudizi, è vero, lumache
nel distinguere il bene dal male, ribelli e miti.
Guardavamo l’aria, le stelle, l’erba e gli alberi,
pensando di essere loro figli.
Una volta ogni quindici giorni mangiavamo una
banana e, nonostante, ci fermammo a m 1,55.
Ma bastava.
Capimmo le sonorità diverse di una voce,
gli strappi, le incongruenze. E fu tutto una
domanda silenziosa, un allarme costante, poi
l’acquiescenza e l’impromptu della giovane vita.
Fummo, fummo. Ma cosa? Non lo so.
Anche ora, tirando le somme, non so niente.
Mi sparpaglio nella tranquillità dei passi,
dei lumi celesti che fanno piovere e talvolta ridere,
che fanno luce e ritorni.