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Poesie per Mamma Elda

Poesia

Mariella Bettarini (Biografia)
Secop Edizioni

Recensione di Gian Piero Stefanoni
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Pubblicato il 12/07/2019 12:00:00

 

Non è nuova Mariella Bettarini (che non ha bisogno di presentazioni essendo uno dei nostri più importanti poeti) al racconto di figure amate, di cari ricordati e celebrati entro una esistenza che anche di questi volti, di questi affetti si è nutrita nella formazione della propria identità. Infatti già in "Zia Vera- Infanzia" nel 1996 si era misurata in tal senso. Il caso di queste poesie (per buona parte già uscite come ebook nel 2010 proprio per i tipi de LaRecherche) però è diverso giacché vanno a registrare un'assenza a tratti irraccontabile ma di cui è necessario fermare la forma, il suo costante bussare all'interno di una perdita cui tentare di colmarne il vuoto nel dire della parola insieme sofferenza e memoria, luogo del travaglio e incisione viva della figura materna nella "testimonianza (così povera, imperfetta) della sua serena, umile dolorosa Persona" generosa, non appariscente. e per questo viva. Il dire del lutto è sempre un dire dell'apertura in quello spazio di chiamata ad un procedere nuovo, spesso ingombrante in cui in "uno vanno tanti volti" (come ben iscrive Giovanni Stefano Savino nella poesia dedicata ad Elda nel giorno del suo funerale) a sgranare il rosario delle morti cui apparteniamo, andando ad aggiornare ogni volta il nostro personale rapporto con la morte cosicché il parlarne è, ovviamente, un parlare dapprima di se stessi. Pure è bene ricordare, ed in questo ci aiuta Angela De Leo nella postfazione, che la perdita della madre in quanto tale "priva di sé", mutila e sovverte l'identità cui la parola non può sopravvivere che per inciampo alla prova di un latente e ostinato pensiero, di una presenza che passa per sbalzi non cessando dunque, in realtà, di esistere. La scansione allora dei "lacerti di esistenza, di memoria, di doloroso amore" cui provare a "ritrovare minuzzoli di vita" è data giocoforza per controcanto e incastri di parole e immagini brevi, quasi a singhiozzo, ora a confermarsi ora a smentirsi all'interno dell'anima sola (in una indagine secca della scrittura di cui la Bettarini, il cui percorso ha abbracciato ed abbraccia cinquant'anni di interrogazione, è forse unica). Eppure già il testo d'apertura, nel ricordo della madre sul letto di morte sa cogliere esattamente il senso di un compimento di una vita che passa rilkianamente per la propria morte risolvendosi la donna così come è vissuta: "pacifica- paziente- illuminata" e "nel grembo delle cose". La lotta allora va a sciogliersi come in un antico procedimento, certo non conscio, in un tener dietro alla madre (come sole nella sua ineguagliabile luce) risolto poco a poco in una presenza viva proprio perché non pensata ma sospesa come "se nulla fosse passato", lei di là nelle consuete e care stanze adiacente a regnare nei suoi territori familiari, ubliqua nella sua "limpida storia lineare" entro una capacità d'amare espressa in vita con discrezione e devozione, capace di disfare dolore "amore alzando- diffondendolo fuori". Così soprattutto nella prima sezione la scrittura e l'anima finiscono con l'intrecciarsi nella dimensione di una chiarezza liberata proprio nell'agile disciplina di un Lume vivo perché iscritto nella sua esatta trasfigurazione- e maestria- di cielo e terra. Il verso risulta limpidissimo, toccando vertici cari alla nostra più grande tradizione lirica (vali tra gli altri questo piccolo passaggio:" se di te riprendo a ragionare/con te ragiono/senza te- e ancòra/delle tue belle stelle m'incorono"). Perché ciò che resta nel "destino della dimenticanza", e dunque indimenticabile, è la lezione e l'educazione all'Amore ("grande Anima e grande Cuore") che ha allora nella sezione seguente una breve ma significativo appendice nel susseguirsi caro di ricordi (toccante nello sprigionare dai ninnoli di una scatola un'alta e "sapiente povertà"), di vecchie storie familiari, calamità, pudori, sogni e "favolelle" vivissime seppur nella lontananza dei tempi e dei racconti familiari, Elda (cantante lirica fino all'incontro col suo marito, e Maestro, Luciano Bettarini) scomparsa nel 2003. Il lascito è quello di un credo, di una fede a non render vana quella più alta Volontà della vita per cui il canto di riconoscimento finale si scioglie: "sei la matrice-/il corpo lo devo a te-/sei la Matrice del mistero-/lo devo a te-/sei la matrice-se vivo/lo devo a te/sei tu/la Mediatrice e il Nulla/e me- il Tutto e me-/ sei la matrice-/colei che ha dato corpo a un Soffio/che vagava/che ha dato fiato/ a un corpo che (non volente) doveva/poi essere//sei l'orma del Mistero-/sei la Matrice". Un testo allora vivo, prossimo per la sua insanata ma carezzata, illuminata dolenza nella quale il lettore può riconoscersi e ricordarsi tra le pieghe di giorni e figure che mai disattendono e che ancora ci formano- e informano. Andando a concludere è bene sottolineare anche la raffinatezza dell'edizione corredata da alcune fotografie della cara Elda, una delle quali nel costume del suo debutto come soprano nell'opera "Il matrimonio segreto" di Domenico Cimarosa; e poi dalle poesie per lei di Gabriella Maleti, di Angela De Leo e come accennato di Giovanni Stefano Savino.

 

 

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