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L’elefante e i salici

Racconti

Murakami Haruki (Biografia)
Einaudi

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 08/04/2011 12:00:00


L'elefante scomparso 

 
I salici ciechi e la donna addormentata



In questi giorni di tragedie dal Giappone, e per rendere omaggio a tutte le vittime dell’Impero, siano essi ancora in vita, siano trapassati, o dispersi, voglio parlare di queste due bellissime raccolte di racconti di Murakami Haruki, già candidato al premio Nobel e tuttora uno dei massimi esponenti della gloriosa letteratura nipponica. Poco e molto hanno a che vedere le raccolte di racconti col dramma di questi giorni, ma se andassimo ad analizzare le tematiche dei racconti, forse sveleremmo quel sottile filo rosso che lega raccontare storie e vivere tragedie. I Giapponesi, si sa, hanno già vissuto una immane tragedia nel passato recente, tragedia che apparentemente ha reciso i legami col passato, ma dalla narrazione di Murakami ecco i fili che legano passato e presente, tradizione e spinta tecnologica, riapparire con tutto il loro inquietante presagio di mistero. Per esempio il telefono che squilla improvvisamente a mettere in contatto il mondo reale con quello del forse possibile, dell’esistente, ma in una dimensione parallela da quella alla luce del sole. Oppure sono i bar o i grandi parcheggi quelle zone di riflessione, o di incontro in campo neutro, dove gli spiriti del passato parlano a chi è presente, ma in bilico fra le due dimensioni. E di due dimensioni si occupano sottilmente le due raccolte di racconti, che se per certi versi sono assimilabili nella forma e in certi contenuti, si differenziano invece per le modalità, chiamiamole così, di interferenza del mondo misterioso che ci circonda con quello che vediamo abitualmente. In “L’elefante scomparso”, come già il titolo lascia presagire, spesso qualcosa viene a mancare improvvisamente, può essere un elefante, macroscopico esempio di sparizione, come può essere un’idea, una alterazione dell’atmosfera che regna in una normale abitazione, a porre in contatto le persone con quel che si immaginano, forse presentono ma non crederebbero mai di vivere. Nel procedere dei racconti talvolta sono pagliai a sparire, bruciati per gioco, oppure in “l’ultimo prato del pomeriggio” è una persona a mancare e così via, una linea di sparizioni lega quasi tutti i racconti. Chiude la raccolta il bellissimo “Silenzio”, dove Murakami abbandona per un attimo le atmosfere a lui care e narra una storia assolutamente realistica, dove a rischiare di mancare è la stima in sé stessi, ed è solo recuperandola che il protagonista riesce ad uscire da un brutto vortice di amarezze; un racconto bello, che può essere un esempio per molti, giovani, in primis, ma non solo. I racconti sono narrati con semplicità, ma sempre con quella dovizia di particolari che rende un racconto di Murakami, anche breve una perfetta ricostruzione di un mondo davanti gli occhi del lettore, il quale si trova catapultato improvvisamente in un jazz bar, oppure in un appartamento di Tokio ove aleggia una strana aria bluastra.

Nell’altro libro di cui voglio parlare, lo scrittore racconta più in particolare di quei misteriosi punti di contatto tra il mondo fatuo ed immaginario con quello tangibile, ma il primo di essi, benché etereo – e forse inesistente - riesce a lasciare una indelebile traccia su chi giunge sino a quel confine e riesce a tornare indietro senza mai più essere quello di prima. All’interno di “I salici ciechi e la donna addormentata” troviamo un racconto, “Il settimo uomo” triste presagio dell’attualità, su di uno tsunami e del suo prendersi vite umane senza guardare in faccia nessuno, e le conseguenze che ciò può avere su chi rimane. In questa raccolta il soprannaturale fa spesso il suo ingresso in modo vistoso, mostriciattoli, “uomini tv”, scimmie e corvi che governano una fabbrica, si mescolano in modo assai naturale ad elementi più consueti delle vite quotidiane, dando un senso di instabilità a tutto, creando l’illusione che sebbene tutto sia tranquillo in un attimo qualunque cosa può succedere. E lapalissianamente aggiungo che ciò rende i racconti assolutamente unici, capaci di stregare il lettore avvincendolo alle pagine.

Nel corso delle due raccolte si incontrano anche gli scenari tipici della scrittura di Murakami, spaghetti e birre bevute a profusione a tutte le ore del giorno e della notte, la moglie che se ne va, il gatto, il jazz bar, e altri, creando un’atmosfera in cui il lettore si trova a suo agio, fra situazioni che già conosce, quasi un andare in casa di un amico ad ascoltarlo raccontare. Ma il ritornare di certi elementi non dà un senso di ripetitività, anzi aiuta nella brevità dei racconti a contestualizzarli meglio e a concentrarsi sulle vicende, sempre belle e sempre geniali, narrati col bellissimo, tipico stile di Murakami. Il tessuto dei racconti è, come sempre, fitto e ricco di annotazioni, sulla temperatura, sulla qualità dell’atmosfera, sull’odore dell’aria, tutto creato in modo mirabile, e tale da rendere il lettore partecipe dello svolgersi degli eventi, una scrittura tridimensionale, capace di attirare chi legge in un magico mondo, quasi immaginario, ma altrettanto reale di quello in cui ci si trova, e il cui confine è molto più labile di quel che si pensa.

Nei due libri si trovano sparsi alcuni “semi” di romanzi poi pubblicati da Murakami, che il lettore fedele riconoscerà immediatamente e, con interesse, noterà quali idee si sono poi sviluppate e quali sono rimaste in sospeso, forse per romanzi futuri o forse definitivamente abbandonate, o tornate nell’ombra da cui erano scaturite.

Due note personali, la prima è che leggendo questi racconti penso che chiunque voglia scriverne di propri abbia qualcosa da imparare; la seconda suona un po’ come la canzone dei Beatles “Norwegian Wood” che nell’omonimo romanzo evoca un mondo: “L’elefante scomparso” è stato il mio primo incontro con Murakami avvenuto tanti anni fa, rileggendolo, bè, chi conosce Murakami sa cosa intendo.

Termino con le amare riflessioni sul presente del Giappone, augurandomi veloce quella che sarà la certa ricostruzione della nazione, e l’ennesima rivincita dell’uomo contro le avversità, in questo caso immagino sarà una rivincita capace di dare nuova linfa anche alla letteratura giapponese, in bilico com’è fra tradizione e futuro con le radici che si alimentano costantemente sia del reale che dell’immaginario, sia dalle gioie che dalle disgrazie.

Citazione:

“[…] invece, inutile negarlo, la memoria si sta allontanando, e ho già dimenticato troppe cose. Nello scrivere seguendo i ricordi come faccio adesso, a volte vengo preso da una terribile angoscia. All'improvviso mi assale il dubbio di stare perdendo la memoria delle cose più essenziali. Il dubbio che tutti i miei ricordi più preziosi, accumulati in qualche zona buia del mio corpo, in una specie di limbo della memoria, si stiano trasformando in una massa fangosa […]”.



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