Questo romanzo trae spunto da un episodio realmente accaduto all’autore. Rugarli ci ha abituati alle sue rivisitazioni grottesche della realtà, con la sua scrittura riesce sempre a puntare il dito sul marcio della società riproponendolo in una forma che lo potrebbe far sembrare frutto di fantasia o un’ipotesi di lettura dei nostri tempi. I contorni, a volte, appaiono sfumati, chi è corrotto forse non lo è, così come è onesto, forse aspira a mire ben poco chiare. In questo romanzo la postfazione dell’autore sottolinea la parte di verità contenuta nel testo e ci indica i fatti come accaduti a Rugarli medesimo. Tuttavia anche il lettore più ingenuo riesce a individuare la traccia di realtà contenuta fra le righe del libro, e se magari non riferibile a qualcuno in particolare, la certezza della veridicità del narrato è facilmente confrontabile con quanto si legge ogni giorno sui quotidiani. Ebbene, dopo aver detto ciò, non è difficile intuire di cosa parla il libro: corruzione. Il settore esattoriale di una grande banca riesce, tramite mance, ad evitare ai suoi clienti di pagare le tasse. Un uomo ne diventa il direttore e vuole far luce sulla vicenda e riportare l’ufficio al rigore dovuto. Naturalmente ha immediatamente contro la direzione della banca e i colleghi. La sua testa deve saltare, e quale miglior pretesto se non quello di aver mancato di rispetto alla santa patrona della città. Ed è subito cronaca di ogni giorno, è lecito rubare a più non posso, essere corrotti e corrompere ma bisogna rendere il dovuto omaggio alle gerarchie ecclesiastiche, e tutto ridiventa candido e immacolato.
Nel romanzo, a questa vicenda portante, si intreccia tutto il mondo del protagonista, la moglie fedifraga, i ricordi del passato, l’amore per la scrittura. Ne esce un bel romanzo, raccontato col linguaggio tipico di Rugarli, ricco di citazioni, dotto in misura gradevole e venato di ironia e sarcasmo. Le atmosfere sono spesso crepuscolari e caliginose; attraverso il grigiore di una città è facile leggere, in trasparenza, il grigiore di una vita circondata dalla menzogna e dall’inganno. Un misterioso ponte che attraversa un fiume ribollente, dalle acque anch’esse misteriose, è il confine tra sogno e realtà, fra ricordi reali e tentativi di ricostruzione del passato. E rappresenterà anche la soluzione a parte dei problemi del protagonista. La forte amarezza che questo libro sprigiona sta anche nell’impunità dei misfatti, in una sorta di via di uscita che non risolve nulla ma riesce a dare una pace fittizia. Malgrado queste atmosfere, a volte cupe, la lettura è molto gradevole, il libro è scritto con l’abituale maestria dell’autore e riesce a divertire col suo sarcasmo amarognolo e, pur con i notevoli voli della fantasia, si mantiene sempre ancorato alla realtà quotidiana.
Riporto un breve passo:
«Le irregolarità sono state sanate?» domandai, ma già conoscevo la risposta. Tutto era stato lasciato al punto di partenza.
«Lei è un bel tipo» protestò Tantumergo, «e mi scusi se le parlo in libertà. Non è stato sanato un bel niente, e io sono diventato il capo della baracca proprio perché nulla venisse modificato. Mi sono messo contro di lei, e mi dispiace; ma sono stato costretto. Come si dice? Mors tua, vita mea. Che cosa voleva facessi? Ho dei figli da tirar su, e sono solo. Posso confidare soltanto nell’aiuto della Madonna e della Santa Melania, e la preghiera è l’unica forza della quale dispongo.»
«La preghiera e la delazione» sorrisi con ironia.
Quanti dialoghi così si svolgono ogni giorno negli uffici del cosiddetto potere? E quanti tentano di celare i propri misfatti e la disonestà della propria vita dietro il paravento della devozione?
Un grazie a Rugarli per la bella lettura e per la denuncia di un caso tra i tanti, ma pur sempre significativo, che non può passare sotto silenzio.