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Commenti al testo di Antonio Terracciano
Naturalezza dell’endecasillabo

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 Ferdinando Battaglia - 24/04/2018 16:23:00 [ leggi altri commenti di Ferdinando Battaglia » ]

Scusate ancora, volevo dire sinalefe...

 Ferdinando Battaglia - 24/04/2018 13:48:00 [ leggi altri commenti di Ferdinando Battaglia » ]

Grazie, Giulia, il tuo contributo mi aiuta a capire la stonatura del mio orecchio e del mio respiro, che si ostina ad interrompersi dopo la sillaba finale di "pallido" per riprendere con la dialefe in "eas-sorto".
Non credo ci sia chi possa sostenere che in endecasillabi si possano scrivere brutti versi, sarebbe una tesi assurda; non si può neppure però sostenere, che solo in metrica classica ed in rima si scrivano belle poesie o siano solo i versi con queste caratteristiche a potersi definire poesia (tra l’altro l’endecasillabo è sì il verso naturale della lingua italiana, ma non l’unico); ed hai certo anche ragione che testi altrettanto brutti vengano fuori con il verso libero. Ciò ci induce a pensare che la poesia sia anche altro rispetto a misura o dismisura delle sue costruzioni sillabiche.

Un caro saluto

 Giulia Bellucci - 24/04/2018 13:14:00 [ leggi altri commenti di Giulia Bellucci » ]

Scusate se intervengo. La dialefe è una licenza ma sempre nell’ambito del concesso. La naturale lettura richiede che l’incontro tra due o più vocali, di cui una in finale di parola e l’altra all’inizio della successiva, e tutte atoniche o solo la prima tonica, come nel verso del Montale, siano computate come un’unica sillaba. Per cui il suddetto verso è esattamente un novenario così come affermato da Antonio.
La dialefe è una licenza del poeta che senza di essa non riuscirebbe a rispettare il verso scelto ma non è una norma. Comunque pur usando la dialefe, il verso deve avere comunque gli accenti sulle sillabe che lo caratterizzano.
Vorrei comunque aggiungere che oggi non si scrive più in metrica e per noi non è più naturale usarla , ecco perché non ricordiamo neppure le regole. Credo che per Dante Alighieri fosse così naturale scrivere in endecasillabi così come parlare. Non condivido perciò chi dice che necessariamente scrivere in endecasillabi porti a brutti versi. Esistono versi non particolarmente belli anche tra quelli liberi.
Questa ovviamente è solo una mia opinione.

 Klara Rubino - 23/04/2018 21:31:00 [ leggi altri commenti di Klara Rubino » ]

Anch’io la leggo come Antonio, ma anch’io ho letto che dalla sinalefe si può derogare, volendo e che esiste anche il suo opposto,la dialefe, per questo dico che la metrica è uno strumento a disposizione del poeta non un vincolo che lo condiziona!
Il poeta se è vero che è un creatore non può rinunciare all’assoluta libertà d’espressione: tutto è una sua scelta.
Complimenti Antonio per la simpatia della tua risposta! Ma...ancora e sempre un cittadino urbanizzato? Io amo l’acquazzone! E poi quanta vita normalmente invisibile nelle pozzanghere!

 Ferdinando Battaglia - 23/04/2018 21:07:00 [ leggi altri commenti di Ferdinando Battaglia » ]

No, Antonio, non mi sembra sia corretta tale suddivisione: non riesco a pronunciare con un’unica emissione di fiato "doeas", mi viene al limite più naturale "do-eas"; ma siccome sono ignorante, mi rimetto al tuo giudizio ovvero a quello di chi, esperto, penso ad esempio, tra gli altri, ad un Melandri, possa sciogliere i miei dubbi nonché mitigare gli effetti della mia ignoranza.
Antonio, il gusto non si discute, ma resta vero che la metrica non basti a fare una buona poesia (e la metrica comunque non è solo la conta delle sillabe), ci vogliono altri elementi, però non è questa l’occasione di dilungarmi sul tema. Grazie ad ogni modo per questo tuo essere così presente e appassionato della poesia: una ricchezza per tutti.

 Antonio Terracciano - 23/04/2018 20:57:00 [ leggi altri commenti di Antonio Terracciano » ]

Posso sbagliare, Ferdinando, ma il verso di Montale lo dividerei così: "Me-rig-gia-re-pal-li-doeas-sor-to" (il grande premio Nobel avrebbe fatto sicuramente un endecasillabo se avesse scritto, poniamo, "E’ questo meriggiar pallido e assorto" ) . La tua metafora del vestito, poi, è una variante di quella di Klara sull’acqua, per cui credo di essermi già espresso (secondo i miei discutibili gusti, è ovvio! )

 Ferdinando Battaglia - 23/04/2018 20:38:00 [ leggi altri commenti di Ferdinando Battaglia » ]

Apprezzo anch’io ogni contributo erudito, anche se in questo caso mi piacerebbe comprendere meglio la misura novenaria del verso montaliano, poiché, denuncio la mia ignoranza, con la sinalefe mi risulterebbero tutt’al più dieci (tra l’altro lessi in un libro sulla poesia, scritto credo da un docente e poeta, che la scelta di applicare o meno dilatazioni o contrazioni sillabiche rientri nella libertà di ogni autore, quindi niente di automatico mi sembra di aver capito), allora sarei grato ad Antonio se riportasse la suddivisione corretta;ma il punto che m’intertessa non è questo, è quest’altro: non si può, a mio miserrimo parere, presumere che la poesia inizi e si concluda con l’endecasillabo o che sia necessaria la rima, credo che sostenere una simile tesi significhi assumere una posizione "ideologica" rispetto alla realtà storica della produzione poetica e della visione che i poeti stessi hanno avuto della poesia, diverse tra di loro, a volte credo anche contrapposte. In conclusione, di là delle mode, la poesia è un universo e, come tale, non si può credere che in tale immensità solo un modo di far poesia esista; tra l’altro, forse è meglio una "prosa verticale" che emozioni per bellezza, ad un "abito" (la metrica) troppo stretto da indossare per cui saltano i "bottoni" e si strappano le "cuciture". Altra e a la questione del gusto, su cui, insegnavano i latini, è inutile discutere.

 Antonio Terracciano - 23/04/2018 20:38:00 [ leggi altri commenti di Antonio Terracciano » ]

Ti ringrazio, Klara, per quel "naturale" ! Certo, sono anch’io del parere che sia meglio aggiustare l’espressione inserita in una forma metrica (non solo endecasillaba) quando essa rischia di non rispettare bene il contenuto che si vuole esprimere e, nel caso che non ci si riesca, allora è meglio avere il coraggio di buttarla, quella poesia! Però credo anche che quell’ "acqua" poetica (come la chiami tu) sia meglio incanalarla, per far sì che possa sgorgare comodamente dal rubinetto, e abbeverare così il lettore senza che egli debba essere costretto ad assumere posizioni scomode e innaturali, cioè chinarsi per andare a raccoglierla nelle pozzanghere...

 Klara Rubino - 23/04/2018 19:27:00 [ leggi altri commenti di Klara Rubino » ]

E coerentemente Antonio la tua poesia è tutta in endecasillabi naturali!
Questo è discriminante secondo me, che la forma rispetti il contenuto.
Nella vita materiale di tutti i giorni l’acqua s’adegua al calice, ma la poesia è acqua che scorre e l’acqua quando scorre plasma il suo territorio: erode e deposita, sgorga spontanea, crea un alveo naturale ed il percorso suo proprio.
Ogni poeta ha la sua indole e quindi un suo stile, ma
a volte può essere opportuno un acquedotto altre volte vapore!

Non credo nella superiorità dell’endecasillabo: basta studiare ed applicarsi, più valore ha per me il messaggio, a volte si finisce col distorcere l’intento o inquinare l’emozione per un endecasillabo non naturale.

 Franca Colozzo - 23/04/2018 18:18:00 [ leggi altri commenti di Franca Colozzo » ]

@Antonio Terracciano. Almeno spiega dall’alto della tua grande cultura, che da modesto tieni nascosta, ma poi comunque traspare, cos’è una sinalefi per tutti i bambini ignoranti, me compresa. Allora, ho aperto il grande vocabolario della rete, una delle poche cose buone che ci offre per l’immediata accessibilità, tra tanta paccottiglia dei social, ed ecco che cosa esce fuori.
Lo scrivo per i pigri, che si fanno scivolare tutto via, anche a volte l’approfondimento:
sinalefe si·na·lè·fe/sostantivo femminile
La pronuncia monosillabica di due vocali o dittonghi appartenenti a due parole diverse venute a contatto nel verso, come per es. nell’endecasillabo dantesco:
"E quind i u scimm o a riveder le stelle", la pronuncia unitaria delle vocali i-u e o-a riduce a 11 il numero delle sillabe che altrimenti sarebbero 13.
Origine: dal lat. synaloephe, dal gr. synaloiphḗ, der. di synaleíphō ‘fondo insieme’ •sec. XVI. (DIZIONARIO sul web).

Grazie per avere consentito a me e ad altri di comprendere meglio la struttura del verso attraverso le tue spiegazioni. Mi ricordi tanto mio suocero, professore di greco e latino, che amava approfondire persino le parole dialettali, riconducendole alle fonti originarie (mantile, ad es., termine di derivazione spagnola). Perciò mi piace commentare le tue poesie che mi danno adito ad approfondimenti dotti. Sono una patita del "Longlife Learning System", oggetto del mio ultimo master.
C’è sempre da imparare nella vita. Buona serata.

 Antonio Terracciano - 23/04/2018 17:52:00 [ leggi altri commenti di Antonio Terracciano » ]

Se, come mi fa sapere Lorenzo, qualche sedicente critico letterario sostiene che "Meriggiare pallido e assorto" sia un endecasillabo, c’è da pensare che egli abbia la mentalità più da maestro elementare che da conoscitore di poesia ( "Dividete in sillabe, bambini! " " Me-rig-gia-re-pal-li-do-e-as-sor-to" ) . Questo critico, evidentemente, non conosce l’esistenza delle sinalefi, che trasformano l’apparente endecasillabo montaliano in un (piuttosto anomalo) novenario, all’inizio di una poesia (tra le primissime di Montale) del resto famosa anche per "l’effetto generale di una metrica e di una rima che contravvengono alla più usuale funzione di accentuazione armonica e son piegate invece a creare angoli e fratture, una nuova e lacerata disarmonia" (Giuliano Manacorda, "Montale" , ed. "La Nuova Italia. Il Castoro" , 1970 , pag. 27) .
Alla domanda di Rosa Maria Cantatore, rispondo rapidamente: per la musicalità (che è una qualità aggiunta, se vogliamo, ma certo da non disprezzare né da liquidare tanto facilmente) .

 Rosa Maria Cantatore - 23/04/2018 15:40:00 [ leggi altri commenti di Rosa Maria Cantatore » ]

ma perchè mai bisognerebbe porsi il problema della lunghezza di un verso, piuttosto che della sua poeticità...

Bravo Antonio, come sempre :)

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 Antonio Terracciano - 23/04/2018 00:20:00 [ leggi altri commenti di Antonio Terracciano » ]

Dopo avere doverosamente ringraziato Franca Colozzo, sempre attenta alle mie modeste pubblicazioni, faccio notare ai lettori che in questo lavoro sono riuscito ad emendare il mio stile (non ho, finalmente, usato le rime! ) , anche se mi è stato impossibile (almeno per ora) privarmi dell’endecasillabo, che forse ormai, secondo non pochi critici di poesia, non è altro che un indesiderato avanzo di un’epoca passata definitivamente di moda... Chissà, può darsi che in una prossima pubblicazione (anche se so che sarà molto difficile) migliorerò ulteriormente...

 Franca Colozzo - 22/04/2018 19:21:00 [ leggi altri commenti di Franca Colozzo » ]

Vero Antonio, l’endecasillabo ha una forza particolare e viene spesso spontaneo usarlo. Chissà come poi le mode, a volte anche straniere come l’Haiku, si siano insinuate nella nostra cultura occidentale, portandoci a scrivere in maniera difforme. Infatti, fu proprio Dante nella Divina Commedia a usare l’endecasillabo, rimasto un sublime esempio del poetare. La terzina incatenata, è la strofa più famosa, di cui il primo e il terzo verso rimano tra loro, mentre il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva. Ma tu lo sai meglio di me. È un piacere leggere le tue poesie. Ti auguro una buona serata.