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Commenti al testo di Mary Blindflowers
Io vedo!

Sei nella sezione Commenti
 

 massimo - 26/03/2010 15:50:00 [ leggi altri commenti di massimo » ]

un uomo racconta ad uno psichiatra la sua

inverosimile storia. l’uomo è un insegnante

precario a disagio per il

suo fallimento umano e professionale nei confronti

della moglie e dei parenti di lei, soprattutto il

marito della cognata, un ingegnere grasso ma di

successo che pare raccogliere con suo profondo

fastidio tutte le simpatie della suocera. a

spingerlo ad andare dallo psichiatra è stata la

moglie, preoccupata del suo stato mentale in seguito

ad un incidente occorso durante una cena di natale

coi parenti. è lo stesso marito a raccontare allo

psichiatra come si svolsero quei fatti incredibili.

durante la cena l’uomo aveva manifestato l’impulso a

comportarsi in modo rozzo e villano con l’intento di

scandalizzare la platea dei presenti. aveva

cominciato a mangiare l’agnello avidamente con le

mani finendo con l’insultare apertamente gli astanti

impegnati a suo dire in conversazioni stupide e

sciocche, spiegando allo psichiatra che ciò gli

aveva procurato un immenso piacere. poi era accaduto

che durante la masticazione dell’occhio dell’agnello

(la sua parte preferita) aveva sperimentato una

specie di allucinazione nella quale aveva percepito

se stesso nelle vesti di agnello sacrificale e la

odiata suocera in quelle di carnefice. ripresosi

dall’allucinazione si era reso conto di possedere

la capacità di prevedere eventi drammatici

riguardanti le persone che lo circondavano. ciò é

a suo dire conseguenza dell’occhio d’agnello che

aveva ingerito, che gli aveva conferito il potere

soprannaturale di vedere il futuro. alla fine della

cena aveva avvertito la madre di sua moglie di non

guidare, ma nonostante questo lei aveva preso la

macchina e aveva avuto un incidente riportandone

l’asportazione dell’occhio. successivamente aveva

messo in guardia il marito della cognata ingegnere

ma questo sprezzante aveva ignorato i suoi avvertimenti

finendo per morire sgozzato come un agnello nella

sua abitazione.

lo psichiatra ascolta le farneticazioni dell’uomo e

cerca di convincerlo ad assumere delle gocce

calmanti ma egli non ne vuole sapere, afferma di non

essersi mai sentito così felice e "vivo" come da

quando possiede questo "dono", e che se l’intento della moglie era

di ottenere una perizia di infermità mentale per

farlo interdire, il medico sappia che anche sul

suo conto è in grado di fare previsioni e che

soltanto se accondiscenderà ad attestare per iscritto la sua

sanità mentale gli rivelerà il motivo per cui il giorno seguente

non verrà all’appuntamento che egli ha testé concordato col

paziente, lasciando immaginare la possibilità di un incidente

a cui il medico andrà fatalmente incontro.

lo psichiatra è dapprima riluttante a cedere alla

richiesta del folle, ma un naturale istinto

superstizioso lo spinge a farsi rivelare il motivo per cui il giorno

seguente non si sarebbe recato allo studio, alché con maligno

sarcasmo l’uomo gli fa notare che il giorno seguente sarebbe stato

domenica, giorno in cui ovviamente non si lavora.


il racconto è scritto in uno stile semplice e

scorrevole come dialogo tra lo psichiatra e il

paziente ma è praticamente un monologo di

quest’ultimo. il personaggio principale ricorda

vagamente il personaggio dostoevskiano del

sottosuolo, soprattutto nel compiacimento per la

propria delirante abiezione in un contesto di rito

collettivo: la cena. la descrizione dei personaggi

di contorno non è priva di cliché (suocera con occhi

azzurri freddi e cattivi, ingegnere di successo ma

grasso, donne tutte intente alla propria

capigliatura), ma tuttavia funzionale allo scopo.

lo sviluppo della storia prende una piega

paranormale in linea sia con il dostoevskij del

sosia che con il più moderno stephen king (vedi la

zona morta) e potrebbe (anche considerato

l’interesse provato dallo psichiatra per la

previsione della sua sorte da parte del

paziente folle, tale da portarlo a falsificare la

perizia commissionatagli dalla moglie), far pensare ad un

risvolto "giallo" della vicenda, ma la conclusione della storia con

una barzelletta riporta l’intero racconto alla dimensione che le

compete, quella cioè più disimpegnata della farsa.

 Loredana Savelli - 10/01/2010 08:42:00 [ leggi altri commenti di Loredana Savelli » ]

Molto interessante. La follia smaschera tutti.

 Maria Antonietta Pinna - 04/01/2010 01:28:00 [ leggi altri commenti di Maria Antonietta Pinna » ]

Rispondo a Maria Musik. Quando lo scrittore posa la tastiera, non è responsabile di quello che pensano gli altri. Il racconto è nato così, se il lettore pensa che le concessioni a "sa limba" possano essere frutto involontario, è libero di pensarlo, nessuno glielo impedisce...

 Maria Musik - 02/01/2010 08:00:00 [ leggi altri commenti di Maria Musik » ]

Benvenuta: bell’ingresso. Il racconto è ben costruito, degno delle migliori saghe "parenti serpenti". Il finale arguto e divertente.
Solo una domanda: ho avuto l’impressione che le frasi in cui mantieni la costruzione classica del dialetto sardo (verbo alla fine, alla latina) non siano una disattenzione nella rilettura ma volutamente lasciate lì, quasi ad attestare una sorta d’identità, una contestualizzazione indiretta. Se è così, perchè limitarsi a questo escamotage che può essere scambiato per una involontaria contaminazione?