Loredana Savelli
- 17/06/2022 12:00:00
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Se pulire in realtà è coprire (le lacrime?), siamo di fronte a unentità (legnosa) che trasuda dignità, sia pure ruvida, e che non ama i "cortei di luce", cioè laudience (così la interpreto), e anzi la divide. Mi pare la metafora di una personalità integra (senza "incrinature").
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Darlene
- 01/11/2021 10:58:00
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Ad introdurre questa composizione, è un’immagine per molti aspetti contrastante. L’idea del pulire evoca, infatti, un’azione che «toglie», mostrando qualcosa di coperto. Credo sia proprio nella rappresentazione moderna questo impulso all’ordine, perché quel che non è «a posto» - e azzarderei «sporco» - è spesso indecifrabile, al punto da non permettere di «entrarci», di essere compreso. Ricavo questo principio, immaginando soglie che accolgono piattaforme indecise nella forma e negli spazi. La lacrima è la naturale intuizione delle nostre debolezze; ci sentiamo indifesi, anche mentre cerchiamo di eludere profonde insicurezze, ripulendole dell’impeto che le ha impresse su di noi. Ma non basta, e per ritrovarci, dobbiamo «decostruirci» di tutti i congegni e i meccanismi concepiti. È un passo indispensabile. Ecco allora che la consegna è da intendersi soprattutto come «dono», un evento che stavamo aspettando e che ha catapultato in noi, quasi soverchiando, la preparazione che gli avevamo dedicato. È stato evidente? No. Non per chi passandoci accanto non ha saputo e non sa osservare. La materia è in apparenza intatta, per sua indole - per sua «esperienza» - non si scompone. Ma si tratta di apparenza, appunto. L’indagine non è possibile se non muovendo da noi stessi, i soli a poter decifrare i moduli che ci contengono.
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