Lorena Turri
- 11/04/2010 15:19:00
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Rispondo a Giuliano. Stamattina ho letto una poesia che recita così: CELIBATO Larmadio, ove nessuno confonderà i suoi vestti coi miei. Un letto a una piazza. Nessuno che mi preceda, nessuno che mi segua, nella mia camera. E uno specchio tutto per me.
E di Sergio Mercanzin.
Non sapevo chi fosse, ma quando ho letto questa poesia ho pensato a questa mia e se potevano assomigliarsi. Qui il celibato è inteso come una camera da letto non condivisa nè condivisibile ("nessuno confonderà/i suoi vesti coi miei). Ma quel "confonderà" lo trovo terribile! Io invece parlo di unassenza "naturale". Come lacqua da bere. Poi ho scoperto che Sergio Mercanzin è un prete. E qui sta la differenza. Nella "singletudine" lassenza dellaltro/a è accettata (seppure con dolore sottolineato da "quel piatto pronto scaldato al micoronde", così squallido!), nel celibato è una sofferenza vissuta dentro a uno specchio che riflette il proprio egoismo.
Sbaglio?
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