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Commenti al testo di Domenico Cara
Deserto d’orme (esplorazioni)

Sei nella sezione Commenti
 

 Eugenio Nastasi - 25/05/2010 20:27:00 [ leggi altri commenti di Eugenio Nastasi » ]

La pagina indomita di Domenico Cara, che ci ha abituati a spazi di indagine senza confine, in questa raccolta mette in gioco anche il tempo, da quello primordiale di Adamo fino a quello incommensurabile degli Angeli. E nello scavo linguistico rigenera continuamente quel che rimane da quello che scorpora, saettando versi a macchia di leopardo, dove la parola diviene metafora quasi di se stessa, cioè vorticante nel continuo ricambio di lieviti analogici. Una tale poesia ingromma senso e metro, inventa, per così dire definizioni sapienziali poichè smuove memoria e tempi ravvicinati, resi leggibili dal "valore fonico" di cui la Alaimo nella prefazione, ribadendo la forza comunicativa del sorvegliatissimo labor limae di Cara.
Questa poesia dà vita a vibrazioni che non possono essere intese se non in polivalenza semantica, utilizzando, per così dire, la normale allusività verso una distorsione di significati sollecitati dal contesto e da ambizioni sincere, al limite del surrealismo.
Ma questi versi, in ultima nalisi, sono anche l’intonazione e/o la morale delle ombre che in "Deserto d’orme" solecitano nel lettore, evocazioni compiute, suggestioni e scampoli di vertà mirabili per un certo incantato nitore. E di questo bisogna dire grazie a uno sperimentaore di razza, a un poeta che conosce l’arte del bulino.
Con affetto, Eugenio

 Carmine Tedeschi - 15/04/2010 09:22:00 [ leggi altri commenti di Carmine Tedeschi » ]

Parole come aquiloni lanciati nel cielo bianco della pagina. Tutta visiva appare questa poesia che sfarfalla libera. Eppure..., se vai a mettere insieme con ascolto umile e fiducioso abbandono al volo quei frattali disegnati senza i costrittivi legami logici del ragionamento, essi ti svelano strutture concettuali improvvise come nugoli di stornelli, ma di inusitata portanza. Dove, giusto per fare un esempio, al centro c’è senzaltro un io, ma sottaciuto, impersonale, che ci rappresenta tutti, agli antipodi del fatuo egotismo di tanta modernità (anche poetica). Così il Mito, la Storia, la Natura vengono riumanizzate dalla Parola, con rara, fine, sincera perplessità.

 EUGENIA SERAFINI - 14/04/2010 21:54:00 [ leggi altri commenti di EUGENIA SERAFINI » ]

Domenico Cara,DESERTO D’ORME

Mi piacciono queste tue parole disperse sulla pagina, che improvvisamente si condensano in significato, alludono, graffiano, disegnano immagini e sentimenti, irridono liberandosi nell’infingimento poetico.
Eugenia Serafini

 Domenico Cara - 13/04/2010 22:49:00 [ leggi altri commenti di Domenico Cara » ]

PERPETUE ORME E INCOMPIUTO OBLIO

La logica germinale di una poesia rarefatta, e quasi al di là del linguaggio, è in linea con un’immagine disposta a conferire il suo messaggio per sintagmi spezzati, come qualcosa che aspira ad una nuova igiene del verso: “So bene / che le ingiustizie palpitano / distratte derisorie / perché le menti / adottate decidono insospettabili / ragioni di libertà / e mutando / senso e inganno / faccia e colore / tacciono quasi per distillazione / preghiera penitente / sottintesi franti clamori / scapigliate uscite” (30); “Viviamo ancora oppressi / dal soffio affaticato di una mutilata verità / spinta nel vuoto / rimasta sola in ogni incendio / dove uno scandalo / è diventato centro del non essere / definitiva maschera / attiva per gioco / senza magia / e infine risorsa per lo spettro / irridente tiranno” (33). Indubbiamente la stessa esce dagli esercizi poetici di una scrittura tutta impostata sull’aforisma e la strofa mai disfatta, intrisa di categorici umori esistenziali ed emotivi, come è accaduto nell’innumerevole produzione che, da esteso tempo, il lettore delle mie scritture dirompenti e intense avrà colto, inventandosi un desiderio di relazione e di epifanie.
La parola diventa nuvola essenziale e quindi quasi lieve “orma” di un percorso (dall’incontro inedito di Adamo alla sofferenza trafitta del post –moderno) e tensione irreversibile, nuda e in attiva lotta contro l’impossibile felicità del gioco configurato per parole spoglie. E a più ritmi, cesure di sogno, usi della stanchezza, monologo fra lo stupore di un viaggio e le ripetizioni assidue della vita attraversata, animata dalle sabbie di un deserto, che abita l’essere e il non –essere, che peraltro si riconosce in una tesa anonimia del quotidiano. Fra i trasalimenti della lentezza, il cammino si articola sostanzialmente per frammenti, isole vaghe di senso, tagli dentro un en plein air che è anche scena del mondo e consecutiva patria della stravaganza, che porta ad un altrove di cui nessuno conosce il dopo e il divenire, e pur tanto dialettica. Infatti, nei testi sparsi e spersi sui fogli, le seduzioni non sono mai letterarie, né raccontate, ma in tutto somiglianti a un’iconografia di tracce non dissociate, a interrogazioni vibranti e in un tessuto smagliato, terso, di materiali per una ricostruzione priva d’ombre e di eventi, sia pur rosicchiati dai fatti anomali o stupefacenti, ma in equilibrio. L’io non recita le consuete solfe del sentimento, i drammi della memoria, il tango della nostalgia e degli affetti nella realtà. E la medesima mancanza di interpunzioni sottolinea ad ogni costo la differenza di emissioni di lessici crepuscolari imitati, o i diari di una verità che comunque sfuggono al retore, diventato ormai troppo moltiplicato dalle intuizioni di un adattarsi a una poesia in cui non si riconosce e –in ogni caso- malvissuta, tentando di dare prova della propria esistenza attraverso una soluzione così delicata (e specchio d’altri).
La serie di palpiti, di ludi e di effluvi, a cui non mancano sottili j’accuse, in embrioni o cocci brulicanti, mette poi questi happening in movimento, una costante naturale metafisica: allitterativa, amara, detta per tematizzazioni docili, erranti e in più danzanti segni (nessuno ineludibile per via di qualche senso barocco), guida l’ambiente referenziale, che riflette l’icasticità, le estasi, i tranches de vie, che nei testi (29) si susseguono brevi, duttili non incessanti o fuori orbita.
E –in più quadri informali- la partecipazione creativa della poesia e del pensiero a – convenzionali, regge l’intera e oggettiva pronuncia, insieme mutevole fino agl’intrecci (segreti?) di una mai grottesca parodia, e/o sulla verticalità e i trompe–l’oeil delle inesistenti e fondamentali “esplorazioni”, affatto alate e distanti dalle limitazioni delle mode più persuasive, che spesso si consumano in una sete isterica e formidabile.

 Antonio De Marchi-Gherini - 11/04/2010 20:18:00 [ leggi altri commenti di Antonio De Marchi-Gherini » ]

Non facile il compito della brava Franca Alaimo di introdurre un poeta militante e scrivente a tempo pieno come Domenico Cara. Il buon Domenico Cara a cui tutti, poeti noti e meno noti, sono debitori di qualcosa. Certo la sua poesia non é di facile ’consumo’; bisogna seguirlo nelle sue acrobatiche performance lessicali, nei continui giochi e intrecci tra significante e significato.
Un canto che si staglia netto e verticale sia che si cimenti in componimenti brevi e compatti, piuttosto rari, sia che espanda il suo estro in poemetti o poesia dal più largo respiro.
Ma ciò che in lui affascina é la sua straordinaria capacità di leggere il presente e il passato attraverso la storia e i miti, ed é lui che si fa soggetto, corpo unitario della società e della natura e grida, allarma, mette in guardia e si placa in piena armonia e perfetta unione solo col suo alto speculare filosofico e, per chi lo sa capire, nella sua denuncia al degrado cui tutti siamo soggetti troppo spesso passivi.

 Liliana Ugolini - 05/04/2010 07:48:00 [ leggi altri commenti di Liliana Ugolini » ]

Liliana Ugolini per "Deserto d’orme" di Domenico Cara.
L’esattezza del percorso poetico trova fossili e millenni, fiabe e albe. Assimmetrie. Affiorano romantiche allusioni d’abissi attuali e il punto si fa evidente. Le ricognizioni servono al tempo ignaro che così sempre resta "ai parapiglia". Solo tra i fori c’è lo spazio da cui intravedere gli opposti della nostra malattia "la goffa civiltà degli averi". Sintesi e densità nella poesia di Domenico Cara che abbraccia universi e quotidiano nell’eleganza del dire frammentato.

 Mariella Bettarini - 03/04/2010 19:07:00 [ leggi altri commenti di Mariella Bettarini » ]

Anzitutto, desidero ringraziare l’amico Roberto per questa bella opportunità che ci "regala" di leggere nuovi testi poetici di Domenico Cara, un amico poeta che leggo e profondamente stimo da tanti e tanti anni. Intanto grazie, dunque, e leggerò questo nuovo libro con l’attenzione e l’interesse che merita. Grazie anche alla cara amica Franca per l’ottima introduzione.
Un augurio e un saluto da Mariella Bettarini