Maria Musik
- 29/03/2016 09:22:00
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Che altro si può dire di una donna che seppe scrivere versi di questo spessore e che, malgrado ciò, mi dicono, seppe amare e insegnare/trasmettere/tramandare e, malgrado tutto, vivere?
da Parola e silenzio (anni Novanta) Ediz. Gazebo, Firenze, 2004
L’ho rivista. Dividiamo da anni il quartiere: lei passa per tartaruga, io per fuggitiva. E lei, la nana, che ora sale sull’autobus. Si tende, agguanta qualcosa della porta, alza il piede, quasi cade dal contraccolpo, dondola, poi torna stabile. La mano corta paffuta d’angelo seriale s’ingegna, quell’altra regge la borsa dai manici corti e questa oscilla (la luce va a colpirla in barbagli acciaio) smilza, piena di niente, forse un fazzoletto, quattro soldi, un fischietto. Il culo prominente è zavorra per quell’altezza, lei manda pesanti respiri e s’impunta, si spinge, il piede muove l’aria (zampetta), cerca lo scalino, poi ricade. Allora la nana ballonzola, tende di più braccio e busto la vaga stellina, poi riagguanta la porta, si sforza, alza di nuovo la gamba (un seno si schiaccia al mento), il collo è tirato, guarda alto, la testa s’impunta. Soffia la nana dalle gote. La sua borsa floscia è metronomo, altalena.
Piccina, tu così bassa, così completa, figlia della non vanità. E quel culo che le tira la gonnellina e o è la coscia da maialuccio, quella polpa da bambina gonfia che la irridono, la fanno balocco, incanutita piccola regina?
Ora suda, forse trema, pare una larga falce che s’appigli alla sua rovina, un fardello che si scuote, un essere che più di prima e sempre s’accorge d’un sortilegio che non è dote, né premio, ma una scala corta, lunga, un fervente broglio.
Allora tu che non sali, che t’immoli - ed è il trionfo della brevità - fa che io cada e non mi rialzi, io che cm 40 ho in più mi avvicinerei, devi salire, poter partire, una spinta... poi una mano s’allunga dall’autobus, le prende il braccio teso e tira, ecco la nana in paradiso, sorride di tutti i colori, ora, come un tramezzino, stringe la borsa, si stringe all’autobus, ci arriva: guarda dal finestrino.
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marzia alunni
- 28/03/2016 21:26:00
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Addio Gabriella! Questo 27 marzo rinnova in me il dolore del 28 aprile 2009. La finitudine che i tuoi versi riportano lievi, mai sottotono, e’ il grande mistero per noi umani. Eppure c’e’ anche il sorriso nei tuoi testi, lo sguardo che salva una scintilla di poesia dall’offesa della barbarie. Lasci un mondo triste che ti ha persa, colpevole di soverchio disincanto. Una realta’, la nostra, che dimentica, tace e sorvola quando la risposta dovrebbe essere di accoglienza e impegno. Noi restiamo però saldi, uniti nel diritto di testimoniare sempre la validità della poesia che tu hai incarnato. I tuoi versi sfuggono alla logica di "gabbie poetiche" forse anche per questo mostrano quella limpidita’ di dettato e chiarezza che solamente una sicura vocazione interiore consente di esprimere. Mi rammarico infine di averti rivolto per la Pasqua innocentemente gli auguri, che muto nella preghiera di salvezza. Marzia Alunni
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