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al testo di Gennaro Vernice
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Siamo nei pressi della Diga del Basentello, a circa 24 ore dalla “merendina che accarezzo”. Sulla Murgia addomesticata, dopo esserci allontanati per una manciata di chilometri da Poggiorsini…toh, guardatelo: un lago nel silenzio, a primavera. Tutt’attorno, il grano verde crea campi a cent’altezze, animati a intermittenza dato l’infrangersi della divina alitosi. Ossigeno, se lo gradite, che frastaglia le innumerevoli punte, tra un abisso e l’altro, colmo di fertile luce solare. -Che vertigini! Siamo su tre auto diverse, tutte da rottamare. Io sono sull’ultima e siedo sul lato anteriore di un posto a sedere, ricoperto sicuramente da moccoli, visto che alla guida, c’è una vecchia conoscenza. Ondate che intiepidiscono i miei pensieri mentre ammiro, l’umido celestiale, traboccare sugli occhiali che indosso. Si arrestino i motori e si aprano i sipari su questo pic-nic di Pasquetta, là dove incontro i tuoi occhi, cara Cri; intenti ad accudire le nostre spiaggiate salsicce di cavallo. Li osservo e li fisso e poi, finalmente, mi concedi un secondo. C’è qualcosa in essi…tra il marrone e il muschio. La vedo mimetizzarsi tra le stoppe e allontanarsi, rifugiandosi nel buio di questa sinistra pupilla selvatica. Rieccotela sbocciata dall’altro lato. -Fammi entrare, è una grande idea che grugnisce a squarciagola! -Ma sei fuori? -Non ancora per molto. -E io? Che ci rimango a fare qui, sola soletta, con questo branco di lupi affamati? -Non aver timori, farò in un batter d’occhio e sarà solletico! -Porco! Così comincia l’arrampicata. Dai suoi stivaletti, ripieni di melma, fin sopra le sue labbra. A carponi, vinco anche il suo naso dove concedo al mio essere, cinque decimi di Yoga. -Ed eccomi, dinnanzi al tuo infinito, mio amore; se hai la pazienza di udirmi, io ti dico che tra non più di sette minuti, staremo a far baldoria mangiando selvaggina. Ti va? -E il vino? -Il vino è a sacco. Chiederemo al giorno (Dì). * Stoppe ruotano lascive, rimpinzate da ignude correnti infreddolite, su un muschiato e serpeggiante sentiero discendente. Esso è illuminato, fin dove scorgo quei primi ramoscelli[1], da una luce che guizza a colpi di palpebra. Mulina spirante, fluendo dalla mia vista, dato l’umido, verso le distese inaccessibili di macchia bruciata, sul fuoco delle tue pupille. A sera, due astri solari, scaldano la mia notte. Lassù. Pazzi come la mia paura del fogliame che scodinzola, del profumo d’ombre e delle moltiplicazioni d’orma, che rivelano la reale presenza dell’arcigno selvatico. Pastulante nel forteto, sui miei passi da compire. -Quasi quasi mi arresto, per non destare alcun sospetto. Ma lo devo catturare!…e con che cosa? -(Semplice. Hai notato quei pensieri né in cielo e né in terra, che trascorrono, scivolando attorno alla sfera del tuo proponimento?) -Ne visualizzo i lampi, ma nulla che sgoccioli in me come colore e mi sorvolano diretti verso il buio del confine! -(Albeggerà e ti ritroverai faccia a faccia, col cinghiale a pancia all’aria. Non temere). -Sarà, ma i pensieri del mio “germoglio”, son personali e continuano ad attraversarmi estranei! * Piove ed è notte, sul fogliame decaduto. Fradicio di te mia dolce Christin. Odori intimi che preludono alla Donna: il fulcro, di questo incantevole sottobosco appisolato. Del verro smaliziato ho perso le tracce, tralasciando ingenuamente il fiuto del vento. Certo, la bagarre della cacciata si fa col naso e non con gli occhi, ma la pioggia bracca me che poso la stanchezza, sulle braccia di radici affioranti. Al mattino, imbalsamato dal freddo e controvento, ritrovo l’incantesimo nel regno impenetrabile di arbusti e rovi. La luce, avventurata, mi lascia comprendere di essere appollaiato nel ruvido abbraccio di ginepri e spinosi cespi di ginestra. I merli e i pettirossi, sembrano preferirmi; canticchiando e rendendo il mio risveglio, colmo di musica e sensazioni. Si fa concreta la retta via solo quando, dietro i tronchi, immagino baritono l’elemento. Puzzolente e fulminato mi rialzo. L’ora, sembra essere quella giusta. Spero solo che la preda, abbia in bianco solo il suo recente passato[2]. * Scappo e salto, affannato ma convinto di potergli tirare le orecchie e possederlo, solo con la forza delle braccia. Zig zag e poso, le mie prossime orme, in punta di piedi. -Schh, silenzio! Immobile astuto, stipato sull’argine di una proda, ronfa e scorreggia invisibile, dietro un cespo di stipa. Eccomi di sorpresa su di lui che si inalbera! -Lo tengo, lo tengo! Ci dimeniamo, rotolando come due giovani innamorati. Poi gli sferro un cazzotto, due ceffoni e mi sale in grembo; grugnendo e slinguacciandomi come se fossi io, la sua sposa (sbadiglio). Appesantito da * Eccovi, cari amici, quello che io credo possa digerire solo oggi: un forte odore di selvatico, tra le lenzuola di Pasqua. -Guarda laggiù! Il cavallo ricoperto dalle sue salsiccette, che se la squaglia! E guardate, miei illustrissimi, i vostri occhi! Come son buffi di fronte al sorriso della mia pazzia! -…Krisst, smettila di accarezzare la tua folta e balbuziente farfallina! -E perché? -Vedo che…deve ancora bisbigliarmi qualcosa, lo sento! |
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