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Tamerisco XVI

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XVI

 

Preoccupazioni del commissario Tango




Un dì si venne a me Malinconia / e disse: “Io voglio un poco stare teco”.

Il primo verso di questa bellissima poesia di Dante Alighieri, che per me potrebbe essere il testo di una canzone francese dell’epoca della Piaf e di Sartre, stava a titolo di un libricino che trovai sui tavoli di un congresso di Psicologia che si teneva nelle sale attigue alla biblioteca.

L’acquistai senza sapere di che cosa trattasse, soltanto attratto dal titolo. Quante volte acquistiamo un libro perché ci piace il titolo o il disegno sulla copertina: 

“I fiori del male” di Baudelaire, per esempio, è in prima fila sui banchi di tutte le librerie. Chi, pur non avendo mai letto una poesia, non ha comprato quel libro? E magari qualche anno dopo, dimenticatosi di possederlo, lo ha acquistato di nuovo.

Così tutti noi ci troviamo a possedere almeno due o tre edizioni di “Les fleurs du mal” avendone letto se va bene due o tre poesie.

La fortuna presso il grande pubblico e la sua diffusione, pur non essendo un testo di facile lettura, sta nel felice ossimoro costituito dai fiori e dal male, e dal fascino che la malvagità esercita sulla nostra anima.

Così a causa del bel verso di Dante in copertina non seppi resistere all’impulso di acquistare il libro. Quando lo sfogliai capii che l’argomento era difficile e complesso e richiedeva una lettura attenta e continua, non frammentaria e superficiale, come usa essere la mia. Decisi pertanto di dedicargli il tempo delle vacanze. Proposito che non ho mai mantenuto, sebbene siano passati alcuni anni e parecchi periodi di ferie.

Fu nelle prime pagine di questo libro che trovai la considerazione che gli antichi Greci, fino al quinto secolo AC., non avevano la nozione del corpo come un tutt’uno, come armonia delle parti. Essi, bensì, concepivano le parti del corpo a seconda della loro funzione: la pelle come involucro, gli arti per il sostegno e la motricità, la psiche  era pneuma, cioè respiro. Essa era parte fisica del corpo e fuggiva con l’ultimo respiro, oppure col sangue, dalla ferita mortale, per divenire ombra nell’Ade.

Il soma, il corpo intero, era il cadavere inerte. Soltanto dopo il quinto secolo, i Greci acquistarono un’immagine unitaria e armoniosa del corpo umano. La Psiche divenne allora anima immortale, in un certo senso antagonista del corpo stesso.

Facevo pressappoco questi pensieri una mattina in bagno mentre mi sbarbavo, operazione che per me è fonte e occasione di profonda meditazione. Mi dissi che ero un greco arcaico, che dovevo evolvermi, progredire; dovevo considerare Adelina come un’armonia, un bel corpo di donna viva, con un’anima ricca e interessante. Consideravo che se avessi raggiunto a letto una forma così elevata di civiltà, sicuramente il nostro rapporto ne avrebbe tratto un notevole giovamento, sia per quanto riguardava l’attrazione puramente fisica, sia per l’amore spirituale. Questi due processi dovevano incontrarsi a letto: la mia anima doveva baciare il corpo di Adelina, il mio corpo doveva baciare  la sua anima. Come fare? Decisi di parlarne con lei nei termini chiari, come ora ne ho riferito.

Stavo appunto sbarbandomi quando una scampanellata nervosa mi distolse bruscamente dalle meditazioni. Andai alla porta: era Gina in veste da camera, il viso sfatto e assonnato. “Mi sono alzata all’alba per te” Mi disse con aria di rimprovero “Per parlarti. Ieri è venuta quella ragazza bionda, molto bella, ti cercava, aveva premura. Io non sapevo dov’eri né come cercarti. Avevi il cellulare spento. Così è andata via. Era molto agitata” Mi disse con un tono come se fosse stato mio dovere informarla d’ogni recapito; mi sentii colpevole di avere spento il cellulare, quasi a volermi nascondere, a volere interrompere il cordone ombelicale che mi teneva legato alle sue premure materne. 

“Quale ragazza?” Domandai cercando di capire, infastidito da quel gusto di fare indovinelli e misteri che spesso Gina aveva per mettere in imbarazzo l’interlocutore. Mi irritava quell’aria da vittima, quando poi si capiva chiaramente che spesso voleva trarne un suo tornaconto.

“Quella ragazza bellissima che era venuta a trovarti proprio la sera che ti ho portato l’opera” Disse indicando il monolito.

Era dunque venuta a cercarmi Susanna dicendo d’avere urgente bisogno di me. Lo stupore mi aveva fatto seccare il sapone da barba sul viso. Ero uscito da casa con la faccia rasata per metà. Completai la rasatura nel gabinetto della biblioteca con una lametta comprata strada facendo in un tabacchino. Adelina aveva riso vedendomi conciato in quel modo. Le raccontai della visita di Gina e lei disse che forse avrei dovuto avvertire Tango. 

Michele venne a trovarmi in Biblioteca e questa volta andammo a prendere un caffè al bar di fronte; passeggiammo sul marciapiede percorrendo un centinaio di metri. 

Era visibilmente preoccupato: “Vedi, più che Pietro e Maria, mi preoccupa Susanna. Sembra che l’abbiano presa di mira. Non credo che vogliano punirla perché ha aiutato Pietro. Per quanto possano essere pazzi e criminali, questo non può essere il solo motivo”

Fece una lunga pausa ciondolando il capo quasi volesse contare le pietre che recingevano l’aiuola al bordo del marciapiede. “Se torna da te, trattienila con una scusa e fammi uno squillo sul cellulare, intesi? Basta uno squillo”.




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