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Tamerisco XIII parte seconda

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XIII

 

La gita in campagna



Quella domenica prendemmo l’autobus e ci recammo a Vico Scanziano, una frazione di poche case attorno a una chiesetta medievale, che dista dalla città pochi chilometri. Dalla fermata dell’autobus si dipartiva un viottolo che portava in piena campagna. La fioritura era passata da molto tempo e le piante parevano al limite della resistenza nell’arsura che faceva da padrona, senza concedere loro una goccia d’acqua. Adelina le accarezzava amorevolmente e le nominava una per una man mano che si presentavano al lato dello stradino. Pensai ad Adamo ed Eva cui Dio aveva ordinato di dare un nome a tutte le creature viventi. Mi domandai se anche i nostri progenitori avessero avuto i nostri problemi nell’accoppiamento. Forse la forza del desiderio viveva in loro intatta, mentre in noi era indebolita dallo stress, dall’inquinamento, dal cibo artefatto, dai mille lacci psicologici che la società moderna ci impone. Et Venus in silvis iungebat corpora amantium, mi venne in mente. Certamente Lucrezio aveva sognato quell’epoca di felici amori, lui che faceva uso del precursore del Viagra e ne era rimasto vittima.

In un canale di scolo delle acque piovane, un gatto stava immobile a osservare un topino. Se questi faceva un benché minimo movimento, gli metteva sopra la zampa. Adelina ne rimase come ipnotizzata. Immobile anche lei, osservava la scena, e poi si mise a gridare parole sconnesse nell’intento di far fuggire il gatto. Siccome questo non le dava retta, scagliò una pietra che andò a cadere poco distante dai due. Il gatto ci fissò con occhi grandi e gialli e si allontanò indignato, il topo si imbarcò in un cespuglio scomparendo ai nostri occhi..

Dopo una passeggiata di circa trenta minuti, arrivammo a un prato, dove l’erbetta verde era sopravvissuta al calore della stagione. Posai per terra lo zainetto e distesi all’ombra di un castagno la coperta a righe azzurre e bianche che avevamo portato appresso. Sdraiati supini, guardavamo il cielo tagliato dal rapido volo delle rondini.

“Faresti l’amore qui all’aperto?” le domandai.

“Perché me lo chiedi, tanto so che non ne hai voglia. Tu sei troppo civile per fare l’amore senza avere a portata di mano l’acqua e il sapone per lavarti. Tu consideri l’amore un affare sporco”.

Fui sorpreso di questo discorso e un poco offeso. Risposi che certamente le comodità della civiltà non erano da buttare via, tuttavia il sole di mezzogiorno, l’azzurro del cielo, la presenza di qualche uccelletto che avrebbe assistito all’accoppiamento, erano tutti fattori stimolanti. Per non dire della bellezza sexy della compagna. Terminai il discorso, piuttosto insincero, con questo complimento che, sapevo, Adelina avrebbe gradito.

“Sai cosa ti dico io?” prese a dire Adelina ponendosi prona e lisciandosi i capelli, “C’è qualcuno che gioca al gatto e al topo con Pietro e Susanna, e pure con te. Forse faresti bene a partire. E’ l’unico modo per mettere fine a questa specie di persecuzione.”

“Verresti con me?” le domandai con voce che, a dispetto di ogni mio sforzo, tradiva l’emozione. Lei rimase pensierosa. Un leprotto sbucò da dietro un muretto di sassi e rimase ad osservarci per qualche minuto. Adelina disse, apparentemente con gioia: “Ma vedi quel guardone! Meno male che non siamo nudi. Rimpiangerai le giornate come questa. Voglio vederti solo e scontroso a scartabellare codici in biblioteca. Mi fanno una pena quando li vedo pallidi e affamati. Affamati poi di che cosa? Dell’intimità di personaggi che hanno ormai bruciato la loro esistenza e di cui non esistono nemmeno le ceneri. E tu sarai uno di quelli. Rimpiangerai queste ore all’aria aperta, a contatto della natura che a ogni istante si rinnova.”

“Hai ragione, è proprio bello. Si potesse rimanere per sempre distesi su un prato! Peccato che poi viene voglia di mangiare. Non hai fame tu?”

Ritornammo in paese e pranzammo sotto il pergolato di una piccola trattoria nella piazza della chiesa.



 

 

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