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al testo di Alberto Rizzi
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Ho soppesato questo mestiere in molte circostanze in molti momenti
col ferro e col fuoco nell’abbraccio del vento su libri umidi di parole del tocco di mani
dentro le stanze e tra le stoviglie nell’incavo dei cassetti malriposte e strifellate come a volte le nostre stesse parole i nostri stessi scatti d’orgoglio come di torpore noi inconsapevoli al margine dei sonni
? Che vuoi che siano l’amore una donna questo foglio
(e questo inchiostro, di conseguenza)
questa lingua
(intesa tanto come insieme di suoni che come organo il quale batte e sbatte ad impastare l’aria)
questo mare ? i cui occhi mi guardarono dentro rovesciandomi l’acqua sozza del porto fino a una finestra di stamberga alcune vite or sono
La testa su una mano è sorretta in fondo da un tavolo non da volontà che puntelli un rantolo di tempo uno scampolo di qualcosa che s’erga a materia fra me e il passato
Può essere che sia questo l’inizio o che tutto s’estingua in una coscienza ammainata come morta cimice in un appartamento
Ad altri la pausa che conduce a nuovo passo a me continuare un cammino che si consuma in metri
(tratta dalla raccolta inedita “Il mestiere e altri accidenti”) |
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